Carlo Romano
musica italiana. Una storia sociale
Paolo Prato: LA
MUSICA ITALIANA. Una storia sociale dall’Unità a oggi. Donzelli, 2010
L’Italia opera unita da 150 anni. L’Opera, che è un’invenzione
italiana, da molto più tempo. I popoli europei, anche trasfigurandole nell’invenzione,
si riallacciavano romanticamente alle loro tradizioni. La musica popolare aveva
un ruolo di rilievo dovunque fuorché in Italia dove era relegata al vernacolo.
Prima che si unisse politicamente, questa penisola
del meridione europeo aveva già diversi punti di convergenza sul piano della
cultura, tanto che gli altri europei parlavano di cultura e stile italiano
senza fare troppe distinzioni fra le per altro ovvie aree vernacolari e
politiche. Un punto di convergenza formidabile era fornito proprio dall’Opera
la quale aveva una sua dislocazione capillare di teatri e artisti, in un
reticolo di arte, economia ed emozioni che non avrebbe avuto eguali fino all’invenzione
del cinematografo. Si deve tener presente questo elemento per seguire lo
sviluppo della musica in Italia e per capire il peso che avrà “il bel canto”
sulle formule della canzonetta nel paese unito. Edoardo Sanguineti escogitò la definizione
di “folk d’autore”.
Paolo Prato, che è “international advisor” della
Continnum Encyclopedia of Popular Music of the World, edifica la sua storia
sociale della musica italiana a partire da questa specificità melodica.
Ancorché non assoluta ma, viceversa, contagiosa, altrove non soverchiò tuttavia
come in Italia le tradizioni locali. Qui anche le canzoni politiche, le ballate
e i canti di lavoro si livellarono sugli usi della cultura musicale accreditata
(era comune imporre alle celebri arie dell’Opera i nuovi contenuti sociali,
come nell’Inno del Primo Maggio di Pietro Gori che riprende il celebre coro del
Nabucco). Eppure l’Italia si rivelò ricettiva quanto (se non di più) gli altri
paesi europei nei confronti del jazz e poi del rock and roll, per non dire del
Tango argentino, cui gli emigranti italiani contribuirono in maniera rilevante.
Riesce tuttavia difficile compendiare un libro come
questo, così ricco di spunti e di analisi, che passa dai suonatori ambulanti
italiani che percorrevano l’Europa alle avanguardie musicali, da un per molti
versi illuminante lungo paragrafo su Fratelli d’Italia allo Zecchino d’Oro, dai
grandi esecutori agli strumenti del mondo popolare, sempre impegnato per giunta
sulle contrastanti e diversamente contrastate posizioni che sono all’origine
dei dibattiti teorici.
Risalendo dal grammofono all’iPod, dai foglietti
volanti tipo “pianeti della fortuna” alla radio, dagli spartiti alla TV, dai
luoghi pubblici a quelli privati; nell’attraversare i gradimenti della ricca
borghesia e del popolo, del mondo contadino in crisi e degli affluenti ceti
operai; nel seguire culture e sottoculture, Paolo Prato ha elaborato uno
strumento che lungi dall’omettere la storia cumulativa la ricomprende in un
vasto piano di lettura dove il classico e il popolare, la musica e la canzone,
esistono sia nelle loro tipicità estetiche, sia nei talvolta spiazzanti
radicamenti collettivi.
“Fogli di Via”, luglio 2011