Carlo
Romano
il talento di Patricia
Andrew Wilson: IL TALENTO DI MISS HIGHSMITH. Vita e arte di
Patricia Highsmith. Alet, 2010
Dopo aver proposto con Robert Polito la
"biografia selvaggia" di Jim Thompson, attraverso Andrew Wilson la Alet di Padova è passata adesso al talento di Patricia
Highsmith. Due scrittori adiacenti nel legame col Texas e nella prossimità col
nichilismo, incapsulati nel medesimo genere ma lontani anche nelle cose
condivise, a cominciare dei delitti di cui scrivono. Diverso è anche
l'atteggiamento di fondo dei biografi. Mentre Polito seguiva Thompson nella
vita e nella letteratura per arrivare alla mente e ai suoi tormenti, Wilson
disegna la vita della Highsmith muovendo da questi. I libri della scrittrice,
la loro gestazione, le difficoltà con gli editori, la risonanza della critica
godono ovviamente di spazio e analisi adeguate, ma sono i suoi volubili e,
nella volubilità, un po' cocciuti rapporti lesbici a scandirne veramente il
racconto della vita.
Interessata più al crollo delle strutture morali che
alla virtù, come avrebbe scritto sul suo taccuino, e come dimostra
abbondantemente nell’opera narrativa, la scrittrice seguiva quella letteratura
che dopo il 1945 cominciava a riflettere sulle aumentate aspettative di libertà
che mal si conciliavano con le tradizionali restrizioni e l'alto numero di
responsabilità che toccava agli individui. Fra i saggisti e sociologi che
leggeva, c'era Daniel Bell, il quale dalle considerazioni sulla fine delle
ideologie non escludeva di osservare quella deformazione morale costituita dal
crimine, per cui proprio sui romanzi polizieschi gravava il compito di
documentare il "cuore di tenebra" dell'America moderna. Considerata
vicina ai contestatori della politica e della società americana, ai tempi di
Reagan pensò che il paese fosse nelle mani di uno scimunito, eppure apprezzò
l'omologo inglese del presidente americano, la Signora Tatcher,
per i suoi richiami all'individualismo ("non c'è la società, ci sono gli
individui").
Ciò nonostante la Highsmith, donna spregiudicata,
bella e mascolina, tendeva a celare le sue inclinazioni omosessuali, a non
renderle pubbliche, temendo una ricaduta sulla sua fama. Per quest'ultima la Highmith, quando ancora la scrittrice era all'inizio della
carriera, molto dovette al film che Hitchcock trasse da Delitto per Delitto facendo conoscere al vasto pubblico un soggetto
conturbante facile far discendere dalla letteratura europea dei Dostoevskij e
dei Gide, che effettivamente l'influenzavano. Solitamente non ostile ai film
ricavati dai suoi libri, non sopportò il suo Ripley interpretato da Dennis
Hopper ne l'Amico Americano diretto
da Wenders per via del'incongruo cappello da cow boy che indossava.
Alla pista esistenziale dell'omosessualità si deve
aggiungere quella di un'avarizia patologica che se non le impedì vari viaggi
dall'una all'altra sponda dell'Atlantico - soprattutto in Italia, Francia e
Inghilterra – le complicò la vita quando si installò prima in Francia e poi in
Canton Ticino. “Fogli di Via”,
Luglio 2011