Wolf
Bruno
Ostellino e la canaglia
Il libro è di quelli che entrano nelle classifiche. Non a caso è il
libro di un giornalista. C’è chi schifa il genere ma il genere in verità non
c’è. Ci sono, eventualmente, scrittori bravi e meno bravi. È banale? Sì, ma che
dire di diverso, che i giornalisti non sono “profondi”? Lo scrittore di razza
invece? Questioni di lana caprina, non c’è alcun dubbio. Ma il nostro autore
(altra e solo all’apparenza meno compromettente definizione) ci tiene a
distinguere la sua opera da quella di certi giornalisti che hanno scalato le
vette delle classifiche italiane descrivendo malefatte e pubbliche ipocrisie
degli uomini pubblici e della loro “casta”. A suo modo di vedere manca in
questi lavori, guarda caso, proprio la profondità, il chiarimento culturale,
l’interpretazione.
In “Lo Stato canaglia” (Rizzoli,
Milano 2009) Piero Ostellino largisce tutto questo.
Piero Ostellino è serio, profondamente serio. Lo è tanto che l’unica
volta che fa ridere è quando attribuisce a Beniamino Franklin una presidenza
americana (pp. 44). Umorismo involontario, per altro. Una svista, una deroga,
una divagazione dalla tanta e diligente apprensione per tenersi lontano dalla
frivolezza. E la sua diligente interpretazione non ha bisogno di molte pagine,
ne bastano poche all’inizio. Per il resto, qualora le poche pagine non
convincessero, ci si potrà immergere nell’analisi e lì trovare, almeno,
alcunché di persuasivo. L’eterogenesi dei fini fa miracoli, a volte! Ovvio che
per far volume anche in queste appetitose pagine l’interpretazione non ci sia
risparmiata. Si ha tuttavia buon gioco ad evitarla dal momento che è sempre la
stessa, seriamente ripetitiva ma con punte di eccitazione che scansandole non
si rischia vivaddio il baratro (ho detto che si tratta di “punte” così che si
potesse leggere “cime”).
Quel che vi si dice è tutto quello che hanno da dire gli assertori del
liberalismo che confondono “il mercato” con la vita. Ovvio che attraverso una
simile riduzione si finisca con aver ben poco da raccontare. Così il loro
asserito individualismo è paradossalmente privo di soggetto, è il mercato ad
esserlo, a sostanziare la vita di ognuno, le cose che ognuno può raccontare.
Gli utilitaristi avevano escogitato un loro peculiare sistema di calcolo, così
che si potessero quantificare anche le emozioni. Li seguì lo stesso Jevons – un
eroe archetipo dei liberali – affermando che se Pascal credeva di poter
misurare la fede, cosa ci impedisce di misurare ogni altro sentimento visto che
ne abbiamo il mezzo? C’è il mercato, cribbio!
Si fa troppa confusione nella prassi quotidiana, dice Ostellino,
intorno alle questioni etiche – e non solo in quelle. Lui sa come mettere
ordine (e lo auspica, il naturale disordine lo turba). Per farlo, viene da
pensare, è utile essere stati, come lui è stato, scolari di Norberto Bobbio e
Alessandro Passerin D’Entrèves. Quantunque lui come loro non scriva di turismo,
il mondo gli è privo di segreti. Se poi in certo ebete girovagare non si
sapesse come ordinare una pastasciutta si saprebbe almeno che la sua patria
(della pastasciutta) è una patria canaglia. Quel che non riesce ad essere
Ostellino – e non parlo di “patria”, alludo alla canaglia. Men che mai una
“canaglia pezzente”. Ha l’eleganza di una hostess, bisogna riconoscerlo. Ma non
dell’Alitalia, per carità!