Charles de Jacques

Oscar

Matthews Sturgis: OSCAR. Vita di Oscar Wilde. UTET, 2020

Un contemporaneo di Oscar Wilde, George Gissing, in un romanzo del 1891 (New Grub Street, in italiano pubblicato recentemente da Fazi) accostando in sostanza la vita di due diverse tipologie di scrittori - uno devoto alla letteratura e l'altro al favore del pubblico - scriveva, come rimproverando una cultura di massa non del tutto acerba, che fra i letterati ci sono "abili mercanti" che san bene come adeguare le loro fonti di reddito a sempre nuovi clamori. Rifilare alla clamorosa originalità di Oscar Wilde - e al suo esibito autocompiacimento - la medesima fisionomia è una tentazione comprensibile che però, a mio parere, porterebbe fuori strada. Wilde, anche nelle apparenze della finzione, anelava a uno stato di grazia tanto godibile per sé medesimo quanto necessario all'intero genere umano. I suoi stessi richiami alla "bellezza" evitavano la vacuità dell'accezione astratta e sentimentale del termine riempiendo invece di un significato ulteriore l'inclinazione umanistica - e socialista - della sua eccentrica personalità nella direzione di una vita pienamente vissuta per tutti.

Se ricordo bene le vecchie biografie dello scrittore (Hyde, Ellmann, Jullian, per citare le più accreditate) gli riconoscevano di essere un padre affettuoso e un marito innamorato che a un certo punto per riempire la vita di nuove esperienze sceglieva - con criteri giustificati da una visione estetica - di collaudarsi omosessuale. Fra l'altro, su un piano di motivazioni estetiche non troppo diverse si può collocare l'inclinazione di Wilde nei confronti della chiesa cattolica romana e dei suoi rituali, cosa che in relazione all'omossessualità rimanda alla nozione di peccato e quindi a una consapevole trasgressione. La dimensione della scelta suggerisce tuttavia, e in un certo senso aggrava, l'inserimento di Wilde in quel clima che il suo contemporaneo Max Nordau raffigurava come "degenerazione", quando il richiamo a una ineludibile natura l'avrebbe reso lombrosianamente, per quanto socialmente pericoloso, innocente. Della stessa idea era Krafft-Ebing che considerava l'omosessualità una malattia, per giunta ereditabile. Un altro contemporaneo di Wilde come i suddetti, Havelock Ellis - vicino al socialismo fabiano - dissentiva da queste impostazioni e teneva piuttosto in considerazione la libera sessualità (termine che si deve a Krafft-Ebing) che osservava in certi popoli extra-europei e negli animali.

Penso che un biografo, anche nel caso ritenesse troppo astratte riflessioni di questo tenore, dovrebbe ad ogni modo tenerne conto. Il più recente biografo, Matthew Sturgis, non lo fa ma potremmo ipotizzare che ogni ragionamento in tal senso lo ritenga sufficientemente espresso nelle letture wildiane, a cominciare dalle opere di Swinburne e Baudelaire come esploratori della bellezza corrotta e del peccato. Su questo piano della formazione letteraria e, più in generale, intellettuale di Wilde, il biografo Sturgis non è avaro, e non potrebbe essere il contrario data la monumentalità del libro. Il disegno del "movimento estetico" inglese è ampio quanto basta, ma soprattutto questa biografia è attenta a una fattualità che può apparire anche sbilanciata (tuttavia la lunga disamina degli anni giovanili di Wilde e del suo contorno familiare è accurata al punto di sembrare unica) non fosse che l'impressione principale che rilascia non riguarda l'equilibrio fra le sue parti, bensì quella freddezza di chi ha riguardo solamente per una personale idea dell'oggettività.

“fogli di via”, luglio 2020