Il saggio che segue è tratto da L’oro e l’alloro. Letteratura ed economia nella tradizione occidentale, vale a dire dagli Atti del convegno tenutosi a San Salvatore Monferrato tra il 10 e il 12 maggio del 2001, oggi pubblicati in volume, a cura di Giovanna Ioli, da Interlinea, Novara 2003.

Massimo Bacigalupo

limpatto di un dollaro: economia e letteratura in America

                                               Make the whole stock exchange your own!

Robert Frost

Il motivo economico ha grande rilievo nella letteratura americana. Dopo tutto fra i padri fondatori degli USA è Benjamin Franklin, che escogitò una sorta di bilancio quotidiano delle virtù e spiegò come applicare il suo metodo nell’Autobiografia. Fra le tredici virtù che egli invita a scrutare di giorno in giorno c’è la Frugalità (“Non fare spese se non per il bene altrui o tuo, cioè non sprecare nulla”) e la Laboriosità (“Non perdere tempo. Sii sempre occupato in un’attività utile. Elimina tutte le azioni non necessarie”). Gli yankee, cioè propriamente i coloni della Nuova Inghilterra, avevano la reputazione di tenere ai soldi: coltivatori che dovevano badare alle spese o mercanti animati dallo spirito calvinista. Gli scrittori grandi e anomali della metà Ottocento -- Emerson, Hawthorne, Poe, Thoreau, Melville, Whitman -- scrutarono le maniere acquisitive dei contemporanei e spesso le sottoposero a critica. Thoreau ad esempio nel suo libro-diario-sermone Walden, prende alla lettera le ingiunzioni di Franklin, intitola il primo lungo capitolo “Economia”, e ci spiega quanto esattamente gli è costata la casupola che si è costruita sulle sponde del laghetto Walden; 28 dollari e 12,5 cents tutto compreso. “Scoprii così che lo studente che necessiti di un riparo può farsene uno per una vita a un costo non maggiore dell’affitto che ora paga annualmente” (una stanza al college di Harvard, spiega, costa trenta dollari all’anno). E continua trattando analogamente le altre prime necessità: cibo, abiti e “in questo clima” combustibile. Tutto il ragionamento paradossale di Thoreau dimostra che si può vivere con il lavoro delle proprie mani ed avere ancora molto tempo da dedicare alla lettura e alla riflessione. L’errore della società moderna è di lavorare indefessamente per produrre cose che ritiene necessarie ma non lo sono. Egli fornisce una versione romantica (non di rado barocca nello stile) dei precetti illuministici di Franklin. Thoreau è rimasto un maestro a generazioni di solitari in rotta con la società, oltre che in primo luogo uno scrittore notevole per quanto difficile.

            Melville, che come Thoreau ha uno stile che si ispira volentieri al Seicento, un secolo che ha lasciato molte tracce nel Nuovo Mondo, cita la borsa vuota di Ishmael nella prima frase di Moby-Dick come causa diretta della sua decisione di “navigare un po’ in giro e vedere la parte acquea del globo”. E quando Ishmael viene ingaggiato a Nantucket gli armatori sono tipici yankee nel concedergli una paga assai ridotta. La baleneria è un’industria che va a cercare e lavoraee la materia prima in tutti gli oceani. La pazzia di Ahab si rivela non tanto nella mania della caccia alla Balena Bianca, quanto nel sacrificare ad essa il motivo unico per cui gli è stata affidato il comando del “Pequod”: guadagnare soldi per sé, i suoi uomini e soprattutto gli  armatori quacheri che abbiamo conosciuto spassosamente all’inizio. Melville stesso combatté una battaglia perdente per mantenersi con la scrittura e la fattoria  presso Pittsfield, ma avendo famiglia numerosa scoprì che era assai meno facile di quanto sostenesse Thoreau. Mentre finiva Moby-Dick, nel giugno 1851, scrisse a Hawthorne: “I dollari mi dannano; e il Diavolo malvagio mi ride sempre in faccia, tenendo la porta socchiusa... Ciò che più desidero scrivere, è bandito: non paga. Eppure scrivere del tutto all’altro modo non posso. Così il prodotto ultimo è un minestrone, e tutti i miei libri sono pasticci. Sono forse un po’ amaro in questa lettera; ma ecco la mia mano: quattro vesciche sul palmo, prodotte da rastrelli e martelli negli ultimi giorni. E’ una mattina piovosa, così sono in casa, e il lavoro è sospeso. Sono abbastanza allegro, e per questo scrivo un po’ malinconicamente. Ci fosse del Gin!”. Pochi anni dopo Melville diede praticamente addio alla scrittura, e riparò in un impiego alla Dogana di New York.

            Ma è prevedibilmente verso la fine dell’Ottocento, con il realismo e il naturalismo, che il tema economico diviene centrale nel romanzo americano. Mark Twain dà un nome all’“età dorata” -- la Gilded Age, postbellica, età di corruzione politica e grandi fortune - e spesso parla di denaro nei suoi racconti (per tutti L’uomo che corruppe Hadleyburg). Henry James, per quanto lontano dal realismo sociale, pone il motivo economico al centro del suo primo capolavoro, Ritratto di signora. Infatti la molla della vicenda è la fortuna che la protagonista Isabel riceve in dono per intervento del cugino, convinto di assicurare così campo libero alle sue eccezionali doti umane, e invece rendendola facile preda del primo cacciatore di dote. Per cui il denaro si rivela tentazione e maledizione, anche se si può dire che, esponendo Isabel al suo tragico errore, la sua fortuna le permette anche di iniziare un processo di maturazione, di divenire veramente “signora”. Il denaro come felix culpa, dunque. Un’altra spietata vicenda di cacciatore di dote è Washington Square, operetta che lascia poca speranza nel rivelare un mondo gretto e privo di amore dove la sgraziata protagonista non ha nemmeno il riscatto della dignità tragica per il suo amore inappagato. Invece nelle protagoniste di Ritratto di signora e poi Le ali della colomba James ha sognato delle eroine purissime che affrontano e debellano il drago dollaro.

            E’ superfluo suggerire al lettore di rivisitare i bassifondi di Theodore Dreiser e Frank Norris, il cui McTeague  è un romanzo cupo sull’efferatezza del bisogno e dell’avidità, molto notevole anche dal punto di vista letterario tanto da non avere nulla da invidiare al capolavoro del muto che ne ricavò Stroheim, Greed. Il sogno dell’agiatezza economica è anche quanto conduce alla rovina Clyde Griffith in Una tragedia americana di Dreiser, e l’obiettivo perseguito da Sister Carrie, la ragazza di Chicago che da commessa e mantenuta e sciupauomini si avvia a divenire un’anima forte al centro della cultura di New York. Per Dreiser la legge della giungla ha una sua logica, e chi ha la meglio è anche il migliore.

      Quando Fitzgerald scrive i suoi romanzi nell’età del jazz egli difende Norris e Dreiser e ne riprende la struttura di ascesa-caduta e il motivo economico. Belli e dannati è la storia dell’attesa di un’eredità in cui i protagonisti si rovinano; Tenera è la notte è una parabola sulla spietatezza dei “ricchi” nell’assumere i loro partner e accompagnatori-curatori e liberarsene quando non servono più; Il grande Gatsby ha tema analogo nel narrare ascesa e caduta di Jay Gatsby che con il denaro accumulato in operazioni poco pulite non riesce a comprarsi l’accesso al mondo esclusivo della sua amata, la cui voce ha “il suono del denaro”, per cui paradossalmente è lui, il faccendiere Gatsby, a fare la parte dell’innocente che cade nella trappola di chi è più astuto e ricco e spregiudicato di lui, e ci rimette anche la pelle.        Fitzgerald presenta più brevemente il sogno della ricchezza nel racconto Sogni d’inverno, dove il giovane protagonista si licenzia da caddy nel golf club per non essere trattato da “ragazzo” dalla ancor più giovane ricca bellezza che gli è comparsa davanti, riesce ad arricchirsi e a divenire uno dei suoi corteggiatori per apprendere infine che ha fatto un matrimonio infelice e che è precocemente sfiorita,  e con ciò assistere al dissolversi del suo sogno. Qui non c’è un giudizio morale sulla corruzione del denaro, solo l’affermazione di un sogno che poi finisce. Fitzgerald era fin dalle prime prove sensibile alle tematiche sociali, ciò nonostante egli ricrea a tratti il fascino inattingibile delle grandi ricchezze e ne narra lo spegnersi. Donde le affermazioni spesso citate nel racconto Il ragazzo ricco (1926):

 

            Lasciate che vi parli dei molto ricchi. Sono diversi da voi e me. Possiedono e godono presto, e questo gli fa qualcosa, li fa morbidi dove siamo duri, e cinici dove siamo fiduciosi, in un modo che, se non siete nati ricchi, è difficilissimo da capire. Pensano, nel profondo del cuore, che sono migliori di noi perché abbiamo dovuto scoprire i compensi e rifugi della vita per nostro conto. Anche quando entrano veramente nel nostro mondo o scendono sotto di noi, pensano ancora di essere migliori. Sono diversi.

 

Affermazioni citate soprattutto da Hemingway in Le nevi del Kilimanjaro, dove il protagonista moribondo prova risentimento nei confronti della moglie ricca, Helen, ha cui ha venduto il suo talento di scrittore per condurre una vita superficiale e agiata. E ricorda “il povero Julian e la sua venerazione romantica per i ricchi e come una volta aveva iniziato un racconto così: ‘I molto ricchi sono diversi da voi e me’”. Nella prima stampa di Le nevi Fitzgerald era citato per nome, e l’interessato protestò: “Tieni giù le mani da me per iscritto... Senza dubbio avevi le migliori intenzioni ma mi è costata una notte di sonno. E quando ristampi il racconto in un libro ti dispiace togliere il mio nome? E’ un bel racconto, uno dei tuoi migliori, anche se ‘il povero Scott Fitzgerald’ l’ha un po’ guastato per me” (agosto 1936). Dove si vede la tolleranza di Fitzgerald rispetto all’amico e collega maligno. Così anche Le nevi presenta come peccato originale l’oro. La fanciulla ricca sognata da Fitzgerald è divenuta una corruttrice, o una tentatrice che serve allo scrittore come scusa per tradire la sua vocazione più ardua. E come si sa, Harry aspettando la morte passa in rassegna gli episodi che avrebbe ancora voluto raccontare. E ora son perduti per sempre. Ma non nel testo di Hemingway.

            In un clima quasi naturalista si inserisce anche il ruolo del denaro nell’epopea sudista di William Faullkner. In L’urlo e il furore abbiamo un grandioso personaggio di gretto avaro, Jason Compson, borghese decaduto, modesto impiegato in una bottega,  che deruba la nipote adolescente dei soldi che la madre le manda e li accumula nella sua stanza, dove la nipote spalleggiata da un bellimbusto riesce a stanarli prima di scomparire nel nulla. L’inarrestabile ascesa del demoniaco mercante Flem Stopes è il filo conduttore della trilogia Il borgo, La città, Il palazzo (1940-1959): Faulkner è affascinato dal personaggio negativo che schiaccia tutto sul suo passaggio, ma non entra qui dentro Flem, lo lascia cogliere con stralci di racconti dei tanti testimoni, come un coro tragico in una cittadina miserabile. Del resto nel suo mondo non è dato libero arbitrio, tutto avviene ineluttabilmente e gli uomini sono come forze della natura, per lo più distruttive. Flem riesce a sposare la ragazza più desiderata, la madre-terra, perché incinta e abbandonata dal fidanzato; come Alberich nell’Oro del Reno, per ottenere l’oro deve rinunciare all’amore.

      Uno dei più originali esponenti del naturalismo di fine Ottocento, Stephen Crane, è autore anche di poesie in versi liberi di carattere meditativo-sarcastico. Fra queste una singolare evocazione del mercantilismo, L’impatto di un dollaro:

 

L’impatto di un dollaro su un cuore

ride calda luce rossa,

espandendosi roseo dal focolare sul tavolo bianco,

con le ombre fresche di velluto appese

che muovono piano contro la porta.

 

L’impatto di un milione di dollari

è un rovinio di servi,

ed emblemi sbadiglianti di Persia

appoggiati a quercia, Francia e sciabola,

il grido della vecchia bellezza

prostituita da mercanti ruffiani

che la sottomettono a vino e chiacchiere.

Sciocchi contadini arricchiti pestano tappeti degli uomini,

morti che sognarono fragranza e luce

nei loro orditi, le loro vite;

il tappeto di un orso onesto

sotto il piede di uno schiavo indecifrabile

che parla sempre di gingilli,

dimenticando stato, moltitudine, lavoro e stato,

tramestio e mastichio di cappelli,

con uno squittio rattesco di cappelli,

cappelli.

 

Non posso dire di capire questo testo, che sembra descrivere l’effetto della ricchezza attraverso gli interni che essa crea col suo “impatto”: da quello più modesto del singolo dollaro (nella prima strofa, dove c’è un gioco di parole su heart “cuore” e hearth “focolare”), a quello di un milione di dollari che riempe palazzi di tappeti persiani. Qui abitano servi e schiavi (i milionari) che pestano i tappeti emblemi di sogni parlando come topi di “cappelli”, con frivola dimenticanza delle masse, vedi il quart’ultimo verso, che illogicamente ripete la parola state, tanto da far venire il sospetto di un errore di stampa. L’impressionismo di Crane sembra celare i suoi contenuti, ma evidentemente l’impatto del denaro accumulato in grandi quantità dà il via a una serie di associazioni sgradevoli e sprezzanti. L’insistenza sui “cappelli” è un altro elemento paradossale. Se pensiamo al mondo americano e inglese della fine dell’Ottocento, con le sue ricchezze e disuguaglianze sociali, forse cominciamo a comprendere la critica indiretta ma corrosiva di Crane.

            Uno dei maggiori poeti del secolo XX, Robert Frost, nato in realtà solo quattro anni dopo Stephen Crane, offre delle notevoli rappresentazioni dello spirito yankee nelle sue poesie che combinano realismo con un buon senso economico assai prossimo al cinismo. In Alberi di Natale (1916) un coltivatore tratta con un compratore giunto dalla città per acquistare “qualcosa che aveva lasciato dietro e di cui non poteva fare a meno per solennizzare il suo Natale”, cioè gli alberi. Il campagnolo esita, ma poi riflette che la ragione economica deve dire la sua:

 

... I’d hate to hold my trees except

As others hold theirs or refuse for them,

Beyond the time of profitable growth,

The trial by market everything must come to.

 

Mi spiacerebbe tenere i miei alberi, se non

come altri tengono i loro o per essi rifiutano,

più del tempo della crescita vantaggiosa,

la prova del mercato a cui tutto deve sottoporsi.

 

Ma viene tolto dall’impaccio quando l’acquirente, verificato che ci sono mille piante adatte al commercio, offre 30 dollari in tutto. Tre centesimi per un albero che agli amici cittadini costerà un dollaro è davvero troppo poco. Il conto viene fatto per esteso nei versi colloquiali di Frost, che pure riescono a seguire soavemente lo schema della pentapodia giambica:

 

Then I was certain I had never meant

To let them have them. Never show surprise!”

But thirty dollars seemed so small veside

The extent of pasture I should strip, three cents

(For that was all they figured out apiece)

Three cents so small beside the dollar...

 

Allora fui certo di non aver mai pensato

a venderli. Mai mostrarsi sorpresi!

Ma trenta dollari mi parve così poco

per tutto il pascolo che avrei dovuto spogliare,

tre centesimi (tanto veniva per albero),

tre miserabili cent...   (trad. G. Giudici).

 

Fare umorismo e poesia di una contrattazione è un bel risultato, e anche assai insolito. C’è tutta la filosofia bonaria di Frost, che procede per cenni. Nella sua poesia è difficile capire non il senso primo ma l’atteggiamento mentale. Ed egli dimostra un realismo sorprendente nell’enunciare il principio del “trial by market” a cui tutto deve sottoporsi. Anche la poesia: come ben sanno, ma di rado dicono, i poeti.

            In un tardo testo altrettanto facile-difficile, Provide provide (1936), Frost parla delle brutture della vecchiaia e di come occorre provvedere per tempo per porvi riparo:

 

Muori presto, evita questo fato.

O se un tardo morire t’è destinato

fa modo di morire in ricco stato.

 

Fa tua la Borsa, tutta la borsa valori!

Occupa un trono, se questo bisogna,

dove nessuno darà a te di vecchia carogna...

 

Meglio un tramonto bene ossequiati

con al fianco amici comprati

che nessuno. Rimediate, rimediate!

 

Sono consigli ironici, perché tutti sperano di avere vicino amici fidati nella vecchiaia, ma l’esperienza insegna che non sempre è così. Il consiglio è anche ironico perché i rimedi suggeriti, come divenire re o milionari, non sono alla portata di molti. Sicché  -- questa probabilmente la filosofia -- non c’è rimedio. Se non un altro ordine di valori, che però il sermone sardonico di Frost lascia solo immaginare, anche se la terzina sulla borsa (Make the whole stock exchange your own!) è seguita dai versi misteriosi:

 

Alcuni hanno puntato sul loro sapere;

altri sull’essere semplicemente sinceri.

Per te, come per loro, questo può valere.   (trad. G. Giudici)

 

Sono consigli e detti della Sibilla che pongono più domande di quante ne risolvano. Ma vediamo un poeta che guarda spassionatamente la realtà economica senza per questo compromettere la sua forza lirica. La poesia (sembra di capire) non addolcisce la pillola, è un modo più robusto e spietato di guardare la realtà e dunque in qualche modo (ironico) dominarla.

            Nella tradizione americana esiste una forte tensione fra federalismo e populismo, centro e periferia, capitale finanziario e mondo agrario, est e ovest (e nord e sud). Gli eroi della periferia agraria sono stati i presidenti Jefferson, Jackson e Van Buren, e più tardi William Jennings Bryan, candidato democratico alla presidenza nelle elezioni  del 1896, 1900 e 1908, rimasto famoso per il motto: “L’umanità non sarà crocefissa su una croce d’oro” (e per aver rappresentato l’accusa nel processo Scopes intentato a un insegnante del Tennessee colpevole di divulgare il darwinismo). Fra i poeti americani il populismo è rappresentato dalla scuola di Chicago di Edgar Lee Masters, Carl Sandburg e Vachel Lindsay, quest’ultimo una sorta di menestrello vagabondo che cantava i suoi versi su motivi popolareschi. Nel poemetto Bryan, Bryan, Bryan, Bryan. La campagna del 1896 come la vide  all’epoca un sedicenne evoca lo spirito con cui le masse lavoratrici riconobbero i loro campioni in Bryan e John Peter Altgeld (1847-1902), L’aquila dimenticata di un altro testo di Lindsay, e la sconfitta di questa spinta popolare:

 

Notte di elezioni, mezzanotte:

sconfitta di Boy Bryan.

Sconfitta dell’argento dell’ovest.

Sconfitta del grano.

Vittoria delle filze

e miglia di plutocrati                                                  

con simboli di dollari sulle giacche,

catenelle di orologi di diamanti sui panciotti

e ghette ai piedi.

Vittoria dei custodi, di Plymouth Rock,

e tutta la progenie dei padroni consanguinei.

Vittoria degli schizzinosi.

Sconfitta di pinete e delle valli del Colorado,

campanule delle Montagne Rocciose,

e cuffiette del vecchio Texas, da parte dei vicoli di Pittsburgh.

Sconfitta dell’alfalfa e della Mariposa.

Sconfitta del Pacifico e del lungo Mississippi.

Sconfitta dei giovani da parte di vecchi e sciocchi.

Sconfitta dei tornado da parte di serbatoi supremi di veleni.

Sconfitta della mia giovinezza, sconfitta dei miei sogni.

 

Questa è poesia-canzone come passione politica con uno sfondo di rivendicazione sociale nonché economica.

            Ciò che in Lindsay è epica popolaresca diventa nel suo quasi coetaneo Ezra Pound una vera e propria storia del “bellum perenne fra l’usuraio e l’uomo che vuol fare un buon lavoro”, la distinzione restando altrettanto categorica. Ma in Pound più discutibile in quanto Lindsay narra una situazione politica “vista da un sedicenne” cioè Lindsay giovane, Pound racconta la storia americana come la vede lui oggi. Nei Cantos, il poema iniziato intorno al 1915 come una sorta di moderno Pellegrinaggio del giovane Aroldo di Byron, e che tale rimane nella sua struttura profonda, Pound -- traumatizzato dalla guerra, Woodrow Wilson e la crisi del 1929 -- si volse a partire dal 1930 a un compito di riesumatore delle guerre condotte nel corso della storia americana contro lo strapotere della “Banca” nazionale, ad opera appunto di Jackson e successori. Aveva sviluppato la forma del “canto” cioè del testo di diverse pagine che con altri “canti” forma dei gruppi (“decadi”), alternando temi storici, mitici, letterari, autobiografici secondo la forma-sonata (tema, controtema, ripresa ecc.). Ed ecco dunque una serie di ritratti di eroi antimonopolistici trattati in uno o più canti contigui: Jefferson (canti 31-33, 1934), John Quincy Adams (34), Martin van Buren (37), John Adams (62-71, 1940), Andrew Jackson (88-89, 1955). Il metodo è un collage di citazioni tratti da diari discorsi e lettere con interventi e commenti del poeta-cronista, che da Rapallo e poi da Washington  propone la sua immagine alternativa dell’America nel nome dei grandi presidenti. E intanto espone una interpretazione della storia basata sull’economia. Pound partiva dalle arti e lamentava la loro decadenza soprattutto nell’odiato Ottocento mercantilista, mentre vagheggiava con Ruskin un Medioevo e Rinascimento di popoli artigiani e principi mecenati. A differenza di Frost, che accetta ironicamente la legge ineluttabile del mercato, Pound pensa a un Eden di libertà dal bisogno creata da una saggia amministrazione in cui finalmente l’espressione – e la vita -- non sarà condizionata dal mercante, e poi la storia mondiale non sarà condizionata dai mercanti di armi e dalle banche. Arrivato agli anni euforici del presunto trionfo di Mussolini in Etiopia, egli dedica diversi canti (42-44) alla storia della Toscana e in primis a Siena e al Monte dei Paschi dal suggestivo nome agrario, per poi lanciarsi in quella chiave dei Cantos che è l’invettiva contro l’usura del canto 45: un elenco di tutto ciò che l’usura distrugge e di tutto ciò che senza di essa l’uomo ha fatto.

 

con usura

nessun Gonzaga vedrà eredi e concubine

nessuna pittura sarà fatta per durare e per viverci

ma sarà fatta per vendere, vendere in fretta

con usura, peccato contro natura,

il tuo pane sarà sempre più di stracci stantii

il tuo pane sarà secco come carta,

senza frumento di monte, senza grano duro,

con usura la linea ingrosserà

con usuira non vi sarà chiara demarcazione

e nessuno troverà sito per la sua casa.

L’intagliatore sarà tenuto lontano dalla pietra

il tessitore dal telaio...

 

Il riferimento iniziale è alla Camera degli Sposi dove il Duca è circondato da “eredi e concubine”. (Ho usato il tempo futuro in luogo del presente arcaico di Pound - seeth no man Gonzaga his heirs and his concubines - per rendere l’accentuazione del verbo.) La sessualità deviata è una delle conseguenze dell’usura, che anche in questo campo interferisce. “L’intagliatore sarà tenuto lontano dalla pietra...” Pound è vicino nel suo utopismo tanto a Lawrence quanto a Thoreau (il sito della casa) quanto a Henry Miller, che se ben ricordiamo inveiva contro il pane di fabbrica americano in L’incubo ad aria condizionata. La tradizione anticapitalistica e populista americana, congiunta alla crisi economica del 1929 e alle ambizioni di storico e clinico della civiltà di Pound hanno prodotto un poema che è anche (fra tante cose) un trattato di economia, o ne assume le fattezze.

    Pound infatti amava indossare maschere, e le maschere erano di solito i testi in cui si calava e che riproduceva a brani sulle sue pagine, spesso senza curarsi di riproporli in forma di racconto. Bastava la citazione, il frammento, e naturalmente errori e storture non mancano. Per esempio negli opuscoli italiani e nei Cantos ritorna spesso con fanfara il nome di Claudio Salmasio, autore di un De Modo Usurorum nonché (altro titolo meritorio) di un attacco contro John Milton. In realtà Salmasio nel suo trattato difendeva l’usura (v. G. Accame, E.P. Economista. Contro l’usura, Roma, 1995, p. 85).

     Passato dall’arte all’economia come campo che la condiziona, Pound passò inoltre dall’economia al monetarismo, cioè ai modi dell’emissione e circolazione del denaro, che evidentemente possono essere e sono manipolati da chi li controlla. Negli anni 1950 scoprì un oscuro storico americano della moneta, Alexander Del Mar (1836-1926) e i suoi libri Storia dei sistemi monetari (1896) e Barbara Villierso storia dei crimini monetari. Se apriamo il canto 97 troviamo diverse pagine di citazioni dai Sistemi (magari alternate a un richiamo al giornalaio di Rapallo che in mancanza di spiccioli distribuiva intorno al 1943 dei bigliettini, come ne vedremo ancora trent’anni dopo: “E Bafico aveva giornali, quotidiani”).

    L’interesse, diremmo ossessione, di Pound per la moneta (forse inconsciamente legata al suo stesso nome), a parte l’eccentricità poetica con cui egli svolge le sue lezioni di economia, ha trovato di recente un espositore lucido in Accame, secondo cui nel 2000, tramontato il conflitto di classe e l’opposizione di capitalismo e socialismo, emerge agli occhi di tutti la centralità del tema economico, se è vero che dalla banca mondiale dipendono le sorti delle nazioni, il benessere e la  miseria di interi continenti, e se la nozione di denaro continua a essere misteriosa, ora che la maggior parte degli scambi sono virtuali. Pound avrebbe insomma scritto una ballata che ancora oggi fa riflettere, oltre all’unico poema che si conosca che ha al suo centro l’oro e le sue sorti.

     Certo l’oro appare già nei monili di Venere alla fine del canto 1, e ritorna a baluginare sull’ultima pagina del poema (canto 116) quando Pound percorrre nel 1959 una viuzza di Rapallo che porta il nome fatale di “Vico dell’Oro”. Questo è l’oro del paradiso dell’arte e dell’eros. Al quale si contrappone l’inferno della frode e dell’usura, per cui egli si rifà alla visione dantesca:

 

ruotando nei vortici d’aria; in fretta;

i 12: a occhi chiusi nel vento oleoso

questi furono i reggenti; e un canto amaro dalle pieghe del ventre

cantò Gerione; sono l’aiuto dei vecchi;

pago gli uomini perché parlino di pace;

donna di molte lingue; mercante di calcedonio

sono Gerione gemello di usura,

voi che avete vissuto su un proscenio.

Migliaia eran morti nelle sue pieghe

nel cestino del pescatore di anguille

Tempo fu della Lega di Cambrai                                                        (canto 51)

 

Non siamo molto lontani dalle denunce di Lindsay dei banchieri “vecchi”, salvo l’importazione dell’immagine dantesca (che occorre conoscere per comprendere il brano), e il dettato staccato, a sprazzi nominali, tipicamente poundiano. Che si conclude evocando la Lega di Cambrai, sicuramente alludendo alla Lega delle Nazioni e alle sanzioni contro l’Italia imperiale, imposte in nome della “pace” che per una volta – nel 1937 -- Pound sembra ritenere una frode. Così i nodi della visione poundiana vengono al pettine, ma occorre leggere il suo trattato di economia come cronaca appassionata di un uomo di parte. Dopo tutto è questo che dà vivacità alla sua trattazione; l’ossessione dinamizza l’arida notazione. E credo che il brano citato comunichi efficacemente  l’avversione per la Banca di Inghilterra e i suoi “reggenti”, che erano in numero di dodici. Pound resta un caso a sé perché il suo Bryan è in definitiva Mussolini, e noi lo leggiamo con particolare predisposizione a causa delle sue frequentazioni e compromissioni italiane. Ma in uiltimo resta valido il modello del Giovane Aroldo e del Don Giovanni di Byron, che  con maggiore distacco ironico e versi altrettanto diseguali si scagliava contro la politica dell’allora “reggente” inglese.

            L’indagine potrebbe continuare, ad esempio in quel testo corale di Eliot che è La roccia, che risente del clima economicista degli anni 1930, o negli altri due principali poeti americani del periodo, William Carlos Williams, che narrò le sorti di una cittadina industriale con documenti e frammenti lirici nel Paterson (altro poema di storia, luoghi e commerci), e Wallace Stevens, che era dirigente di una grossa compagnia di assicurazione nella yankissima Hartford del Connecticut, e che ci ha lasciato il curioso aforisma: “Il denaro è una sorta di poesia”. Ma specialmente con Stevens e i suoi modi molto indiretti e pietrosi di affrontare i temi sociali ci avventureremmo in terreni impervi. Basti aver fornito questi cenni sull’ampio e particolare ruolo che il motivo economico ha nella cultura americana.  In un paese di grandi fortune e masse lavoratrici e una classe borghese e imprenditoriale in competizione per mantenersi al di sopra della soglia di povertà (classe a cui in genere appartengono gli scrittori) era inevitabile che il tema economico si esprimesse ora in un conflitto epico fra capitale e lavoratore (populismo), ora in una teoria del risparmio e del “provvedere”, ora in una metafora dello stesso sogno americano (Gatsby e Daisy, entrambi ma in modi diversi “very rich”).