Charles de Jacques
Operamania
Marco Jacoviello: OPERAMANIA,
Mimesis, Sesto San Giovanni 2010 | Philip Gossett: DIVE E MAESTRI. L'opera italiana messa in scena, Il Saggiatore,
Milano 2009 ! Alessandro Cerri: OLTRE IL SIPARIO.
L'immagine occidentale dell'altro da sé attraverso l'opera lirica italiana
dell'800, Bulzoni, Roma 2008 | Mario Lavagetto: UN CASO DI CENSURA: IL RIGOLETTO,
Bruno Mondadori, Milano 2010 | Alex Ross: IL RESTO È RUMORE, Bompiani, Milano 2009
Henry David Thoreau, lo scrittore della Disobbedienza Civile, temeva la musica. Lo preoccupavano gli stati di incoscienza che essa poteva indurre. André Brèton, che di questi stati si voleva cantore, escluse la musica dal Surrealismo. Dal canto loro, i Futuristi italiani volevano abbattere sia il Tango sia Parsifal, inglobando in un solo motto (“abbasso il Tango e Parsifal”, per l’appunto) la musica cosiddetta popolare – nel momento stesso che, è bene osservare, proprio il Tango era sottoposto a ogni genere di deplorazione censoria - e la musica cosiddetta classica - nella specie, fra l’altro, che ancora ai loro tempi poteva esser considerata “d’avanguardia”.
A metà Ottocento, Giuseppe Verdi affidava all'assiduo librettista Francesco Maria Piave il compito di riscrivere sulla base delle esigenze del teatro musicale, ma il più fedelmente possibile, un dramma di Victor Hugo che gli era particolarmente caro: Le Roi s' amuse. Essendo palese la satira dell'aristocrazia, l'Hugo ebbe i suoi guai e il dramma, dopo la rappresentazione nel 1832, fu riposto nei cassetti. Verdi e Piave si imbatterono a loro volta nella censura, compresa quella prudenzialmente auto inflitta, così da intervenire sul titolo, sui nomi dei personaggi fino ai diversi adattamenti che s'imposero per le differenti situazioni politiche che l'Italia divisa di allora imponeva. Da ciò nacque il Rigoletto. Mario Lavagetto - nei cui prestigiosi studi sulla letteratura è cruciale il rapporto con la psicoanalisi - ha ricostruito in un libro recentemente riproposto da Bruno Mondadori (in origine, tanti anni fa, fu pubblicato da un editore assai vivace oggi scomparso, Il Formichiere) questo caso di censura che se anche rivela i meccanismi nascosti di tutte le censure non meno di quelli palesi, si presenta tuttavia soprattutto quale aggressione ai contenuti letterari.
Il discorso sulla musica quale veicolo in se stessa d’immoralità, di un potere satanico-dionisiaco di spaesamento e trance anche violenta, gode di una storia antica quanto a stigmatizzazioni e censure vere e proprie, a cominciare dagli stessi strumenti musicali (il violino, per esempio, o anche gli organi, il cui uso nelle colonie americane dovette soggiacere ad annose discussioni prima di essere approvato). Naturale che i musicisti trovassero anche maniere più o meno dirette per rivendicare la loro libertà espressiva, tanto che ben prima dell’affacciarsi “scandaloso” di prodotti massivi come il cosiddetto “rock satanico” serissimi compositori, “classici” o “popolari” che fossero, dedicarono dei brani al diavolo, da Tartini a Johann Strauss figlio. Circa poi gli “stati alterati della coscienza” – tralasciando le abbondanti libagioni alcoliche – val la pena di ricordare perlomeno che la Symphonie Fantastique di Hector Berliotz fu scritta, a quanto si dice, in una fase di sperimentazione oppiacea.
La compresenza di elementi letterari e musicali - nella canzone, nel melodramma - aggiunge alla natura di per sé emotiva della musica altre componenti passionali. A proposito dell’Opera è significativo che in un libro a modo suo curioso, Marco Jacoviello – collaboratore del Teatro Carlo Felice di Genova – abbia voluto disquisire sul titolo scelto (Operamania) rilevando tra “philia” e “mania” un grado di esplosività indisciplinata tutto sbilanciato sulla seconda (gli appassionati del resto si dicono “melomani”).
Il lato curioso di questo libro è ovviamente un altro. Contro il senso comune - o almeno un'opinione largamente diffusa - Jacoviello sostiene che nei quattro secoli del "recitar cantando" (dunque l'età moderna e l'età contemporanea della storiografia) nessuna espressione artistica come l'Opera abbia aperto problematiche culturali altrettanto intense, significative e attuali. A un discorso del genere è facile opporre la constatazione che in realtà si tratta di una rappresentazione oggi anacronistica la quale, pur ritrovando appassionati che non sono soltanto studiosi di archeologia, deve molto del suo sopravissuto charme anche a recuperi "postmoderni" favoriti dalla benevolenza "camp" (ma va ammesso che è piuttosto il "postmoderno" ad aver subito nel frattempo il logoramento della moda). Ci sono poi il romanzo ottocentesco e novecentesco, l'arte contemporanea, le stesse esperienze musicali (popolari e colte) a lasciar perplessi, per non dire indifferenti, di fronte a un'affermazione così esagerata che sembra denotare più l'orgoglioso patriottismo dell'esperto che un argomento sensato di discussione.
Eppure Jacoviello, con giri complessi di coinvolgimenti culturali (specialmente nella filosofia) ha il talento di alimentare in modi talvolta sorprendenti (ma spesso contorti) la sua tesi, benché alla fine mi sia sembrato tutt'altro che convincente. L'accettabilità di questa tesi mi è apparsa a sua volta secondaria ai fini di una lettura che offre stimoli a non finire e che rivela tutta la forza della competenza in certe analisi particolari, come quella della Traviata o dello sforamento dell'Opera nel cinema. Una riflessione, quest'ultima, sulla quale si ritrovano spunti nel libro - dai tratti decisamente più cordiali - che Alex Ross ha dedicato alla musica del XX secolo. Se comunque l'intenzione era quella di dimostrare "l'attualità" dell'Opera, il fatto che il libro di Jacoviello sia uscito contemporaneamente ad altri importanti studi di settore - se non si crede alle coincidenze - acquista lo strano sapore della conferma.
Fra queste uscite, ciò che le "dive" e i "maestri" di Philip Gosset raccontano, in un libro nel quale si ammira (come nel caso di Alex Ross) prima di tutto la capacità narrativa, è la difficoltà della messa in scena, rivissuta attraverso l'incrociarsi delle dirette osservazioni dell'autore e delle esperienze che la storia, anche nella specie dell'aneddoto, ci ha tramandato nel loro sviluppo palese ed occulto (vale a dire non soltanto la rappresentazione ma l'insieme complicato delle trattative, e degli scandali, che si svolgono dietro al palco). Gosset è d'altra parte un musicologo di tale erudizione e fama da saper onorare ogni esigente attesa. Un altro libro che per un momento, insieme agli altri, ha dato l'impressione di una inaspettata vitalità dell'Opera (in realtà degli studi sulla stessa) è quello di Alessandro Cerri che, tornando sugli aspetti letterari in una chiave circoscritta, ha affrontato di fatto un aspetto dell'influenza sul pubblico. Questa chiave è quella delle varie realtà culturali e religiose, in altre parole i popoli, con cui l'Opera metteva in contatto.
“Fogli di Via”, Novembre 2010