Nel partito socialista italiano già all'atto costitutivo, sindacalista rivoluzionario, fondatore di "pagine libere", Angelo Oliviero Olivetti (1874-1931) va fatalmente collocato fra quanti mossero dall'iniziale ispirazione fino ad approdare al fascismo mussoliniano, benchè non sempre in veste di incensatori programmatici e non pensanti. Delle idee che lo mossero in gioventù non smise mai di interessarsi e a lui si deve una preziosa storia critica dell'utopia comunista (Libreria del Littorio, Roma 1930). Anche nella veste del teorico corporativista non si staccò del tutto dai vecchi indirizzi e nella sua visione -indubbiamente ottimistica, se non utopistica- le corporazioni non avrebbero dovuto sfociare nell' "economia controllata", ma lasciar libera l'iniziativa privata, favorendo infine forme spontanee di associazionismo fra produttori. Il testo che presentiamo, del 1904, firmato Proteo, risente parecchio di certo positivismo "loriano" allora in voga, non per questo ci pare meno efficace nell'essenziale.

 

Angelo Oliviero Olivetti

può un liberale essere protezionista?

 La moderna psicologia ha stabilito in modo definitivo e indiscutibile la stretta connessione tra i fatti fisici e quelli dell'ordine psichico: analogamente la sociologia ha potuto precisare una stretta corrispondenza tra i fatti di nutrizione e di ricambio sociali e le idee politiche.

Ogni partito ha una dottrina politica determinata degli interessi economiche esso rappresenta, anzi ogni partito ha una propria concezione della vita e s'informa, nel moderno conflitto di scuole e tendenze, ad una propria filosofia.

Questa osservazione si fonda sull'esame storico e comparato dei vari popoli e delle varie epoche. Voi troverete dovunque il socialismo e le masse operaie ispirarsi al più rigoroso materialismo filosofico, ed invece il grande possesso agrario ed industriale ultra-idealista in filosofia come conservatore in politica.

Ciò è perfettamente naturale: noi pensiamo, coscientemente o no, come ci dettano i nostri interessi materiali: le nostre dottrine filosofiche e morali sono la emanazione diretta dei nostri bisogni: il prete crede in Dio perché di questa idea vive, mangia, beve e veste panni: i militari sono tutti fierissimi patriotti perché il patriottismo li nutre, e così via.

Dopo gli studi del Loria, del Gumplowitz, del Vaccaro è stabilita fermamente, nelle grandi linee, la dottrina economica della costituzione politica, che ci autorizza a quella doppia indagine la quale nelle scienze chimiche avviene con le due operazioni di analisi e sintesi, e che nel campo politico economico si può tradurre in questi problemi:

    1. dato un partito politico ricercarne le basi economiche; 2) dato un partito economico stabilirne il significato e la tendenza politica.

Posta una tale premessa, ne giova fissare con molta chiarezza la nostra tesi, che cioè il protezionismo, ed in modo particolarissimo la protezione agraria, sono incomparabili con l'idea di libertà politica.

Come lo Scheel affermò essere il socialismo la filosofia economica delle classi operaie, così noi possiamo tranquillamente asserire che il protezionismo è la filosofia economica delle classi conservatrici e della reazione politico-religiosa.

Poiché nella vita sociale abbiamo una rispondenza di fenomeni similari che strettamente si tengono l'un l'altro, così abbiamo costantemente lo spettacolo di vedere il protezionismo andare a braccetto col nazionalismo, col clericalismo, col militarismo, tutte bestiacce in ismo, partorite da un identico stato d'animo, facce tutte dello stesso fenomeno.

Né la coincidenza è casuale.

Il protezionsimo, ritardando il processo della divisione del lavoro e del commercio internazionale, andando contro corrente alla tendenza economica ed intellettuale che conduce alla solidarietà internazionale d'interessi e di idee, suscitando le guerre di tariffe e le rappresaglie doganali, rafforzando le barriere tra popolo e popolo, suscitando artificialmente interessi economici antagonisti alla fraternità universale, agisce nel senso del più torbido nazionalismo.

Ma dall'esacerbarsi dei conflitti d'interessi tra le nazioni deriva loro immediatamente una necessità di difesa corrispondente alla tensione dei rapporti politici: indi l'aumento degli eserciti, degli armamenti, delle spese militari.

Ancora, per torchiare il popolo e indurlo a lasciarsi scorticare e salassare in pace, a pagare più caro il proprio nutrimento in grazia del protezionismo, a subire in santa pace l'aumento delle tasse ed i maggiori contributi personali in grazia al sopravveniente militarismo, occorre distoglierlo dal pensare, mettere in azione dei freni morali che lo trattengano, rafforzare l'idea di autorità, indi l'intervento del clericalismo, di cui sono d'altronde note le intime connessioni col militarismo.

Fino nella Bibbia non è Jahova il Dio degli eserciti?

Ora queste nostre non sono affermazioni cervellotiche ed arbitrarie, ma il resultato positivo dello studio della storia economica in tutte le nazioni moderne.

Dovunque noi troviamo aver luogo con precisione matematica questo duplice processo: ad ogni prevalere del libero scambio connesso un trionfo della democrazia ed una conquista di libertà politiche; ad ogni prevalere della protezione uno scatenarsi di reazione politica col suo triste corteo di reazione religiosa, di sviluppo mostruoso e purulento di nazionalismo e di militarismo, e viceversa.

Questa legge non soffre eccezioni; le eccezioni apparenti possono tutte essere ricondotte alla regola, che confermano pienamente.

Indi ne consegue la incompatibilità ed inconciliabilità assoluta del protezionsimo con la libertà, con la democrazia, col libero pensiero, con le idee dell'avvenire di pace e disarmo universale.

E siccome la democrazia pura e la giustizia sociale integrale, la internazionalità sopra la nazionalità, l'abolizione delle guerre rappresentano l'ideale stesso del progresso sociale, la meta luminosa verso la quale avanzano le società umane, così ne deriva ancora che il protezionismo è antisociale, antiprogressista, anticivile, come l'ignoranza, la barbarie, la guerra, l'egoismo nazionale, l'egoismo di classe.

Quindi finalmente la necessità che i partiti politicamente liberali non perdano d'occhio le conseguenze politiche di un trionfo protezionista. La libertà è destinata irrimediabilmente a pagarne le spese.

Il prevalere delle idee di protezione economica in un paese significa necessariamente un arresto od un arretramento del suo sviluppo democratico: è il sintomo che designa la malattia, il bubbone che serve a riconoscere la peste.

Così, se da un lato abbiamo con tutta la certezza che un liberale cosciente ed in buona fede non può essere protezionista, dall'altro lato abbiamo l'interesse massimo del liberalismo ad opporsi fino dal principio a qualunque tendenza di protezione, che sorta sotto l'apparenza cautelosa e ingannatrice di provvedere solo ad interessi economici, mira invece a ferire al cuore, ineluttabilmente, la democrazia e il progresso sociale.

Proteo

"Gazzetta Ticinese", 15 giugno 1904