Carlo Romano

Neon Noir

Renato Venturelli: CINEMA NOIR AMERICANO 1960-2020. Pulp, crime, neo-noir. Einaudi, 2020

L'aspirazione all'enciclopedismo non solo è evidente ma ha conseguito apprezzabilmente il suo scopo. A distanza di un quindicennio dalla sua ampia ricognizione del genere nel cinema classico americano fra il 1940 e il 1960 (L'età del Noir, Einaudi 2007) Renato Venturelli prende in esame l'epoca successiva caratterizzata sia da un'elaborata continuità - messa infine alla prova del colore - sia da più o meno esplicite tensioni anti-classiche che si torcono nella scontata sigla del neo-noir (fino ad altre più esoteriche, e forse ironiche, definizioni tipo "neon-noir"). Fra il saggio zeppo di incroci, circolarità , teorie che scavalcano l'ordine del tempo e le voci alfabetiche di un dizionario, Venturelli ha scelto una divisione per decadi che combina il tutto entro una cornice di narratività, per quanto possa a prima vista risultare faticosa per l'intreccio di film, registi, scrittori, tendenze, ambienti, ognuno dei quali ha una misura tale che la minaccia del garbuglio sembrerebbe in agguato. Se ciò non succede lo si deve alla solida ma spigliata preparazione letteraria dell'autore (personalmente lo ricordo giovanissimo animare con Stefano Verdino una rivistina culturale) che riesce a iniettare abilmente gli approfondimenti nel racconto.

Naturalmente un primo problema è posto dalla definizione di genere e in particolare di "noir". Sono termini che - come "il tempo" per un padre della chiesa - quando li pronunciamo o leggiamo sappiamo cosa vogliono dire ma fatichiamo poi a spiegare. Si tratta in fondo di astrazioni dalle quali ne facciamo discendere altre (i sottogeneri) che ci risparmiano un bel po' di discorsi e ci evitano di cadere in cavilli circa l'unicità di un'opera, aiutandoci casomai a definirla meglio. Fa bene Venturelli a darli per scontati anche quando si imbatte nelle svariate contaminazioni possibili, aprendosi quindi alle soluzioni combinatorie di quello che da qualcuno è visto esclusivamente come "uno stile" preciso e da altri, al contrario, è ritenuto inesistente, quando si tratterebbe o di storie gangsteristiche, di fuggiaschi, di critica sociale, di avventurieri, di patologie sessuali ecc. ecc. Sono questi temi, in definitva, che vennero in mente a Marcel Duhamel quando chiamò nel 1945, su suggerimento dell'amico Jacques Prévert, "Série Noire" la nuova collana di Gallimard che al classico romanzo ad enigma intendeva replicare con storie dal "linguaggio poco accademico" aggrovigliate in "passioni disordinate".

Dovrei a questo punto entrare più nel merito di ciò che viene esaminato, ma come discettare in poche righe dei film e di tutto il resto che è trattato, l'ho detto, come una grande enciclopedica rappresentazione? Posso dire che Venturelli ha consultato tutto ciò che era possibile consultare e che tutti gli autori presenti nell'aggiornata bibliografia rientrano, chi più chi meno, nei commenti del testo. Aggiungo con soddisfazione che fra chi ha amato citare più volte ci siano bravi scrittori e uomini di cinema come Barry Gifford o antichi cinefili e storici del cinema come Jacques Lourcelles. Ancora maggiore soddisfazione mi ha dato vedere citati più di quelli di chiunque altro i giudizi appassionati e puntuali di Giuseppe Turroni, vecchia firma dell'edizione italiana di "Popular Photography" e pilastro di "Filmcritica". Per concludere, senza allontanarmi dal personale gradimento e per entrare un po' più nel merito, devo dire che ho apprezzato in modo particolare lo spazio riservato da Venturelli a Richard Fleischer , "ancora oggi uno dei più sottovalutati tra i registi di formazione classica che traghettano il cinema dall'era dello studio system a quella della cosiddetta new Hollywood mantenendo una rigorosa coerenza".

Per “Fogli di Via”