Fabio Massimo Nicosia
chi sono i left-libertarians
Da qualche anno si è venuta differenziando, specie,
come al solito, negli Stati Uniti, una nuova corrente di pensiero, denominata
left-libertarianism, che merita di essere descritta e conosciuta anche da noi.
Fanno parte di questa tendenza filosofi politici e autori come Hillel Steiner,
Philippe van Parijs, che vanta anche un passato vicino ai marxisti analitici,
Peter Vallentyne, Michael Otsuka e altri. Nel nostro Paese, la diffusione di
queste idee è merito soprattutto del prof. Ian Carter dell’Università di Pavia.
In realtà non si tratta di una corrente univoca, ma
di un fascio di tendenze, che hanno però in comune almeno due elementi: il
fatto di riconoscere l’autoproprietà (self-ownership)
dell’individuo e al contempo l’uguaglianza, intesa in forme non rigide, delle
condizioni economiche degli individui, almeno nei punti di partenza.
Sul primo punto, quindi, può dirsi che i
left-libertarians condividano la posizione dei right wing libertarians,
ossia degli anarco-capitalisti, mentre se ne distaccano sul secondo punto.
I leftists, infatti, ritengono, seguendo
l’insegnamento del filosofo del XIX secolo Henry George, che la terra sia di
proprietà comune di tutti gli uomini, e che quindi chi si appropria di una sua
parte deve un’imposta alla società, più precisamente una rendita, al resto
della popolazione.
Un altro illustre precedente, sotto tale profilo,
dei left-libertarians è Locke. A dispetto del fatto che anche gli
anarco-capitalisti si rifanno al grande filosofo inglese del XVII secolo, i
leftists valorizzano la circostanza che Locke abbia subordinato le
appropriazioni individuali dei beni della terra al fatto che di quelle risorse
ne rimangano sempre a sufficienza per tutti, limitando così con questa clausola
(proviso) il diritto di proprietà e la sua estensione.
In genere, questi autori, oltre ad assumere
posizioni libertarie sui diritti individuali, sono anche favorevoli a un
reddito di cittadinanza uguale per tutti, da finanziare con la tassazione nei
confronti dei più ricchi.
Ma vi è anche una corrente più “market-oriented”,
che imputa all’uso della forza statuale le disuguaglianze sociali e favorisce,
come nel caso del cosiddetto “agorismo” di Samuel Edward Konkin, forme di
mercato alternative, nere e grigie, come percorso di transizione dall’oggi
all’incerto avvenire. Costoro non solo non rifiutano in blocco l’insegnamento
dell’anarco-capitalista Murray Rothbard, ma anzi si dichiarano più rothbardiani
di Rothbard nell’intendere la lotta contro il grande capitale assistito e
monopolistico, battaglia che il primo Rothbard, per così dire, condusse con
accesa passione, più di quanto non fece in finire della vita, nella quale
attenuò questi aspetti “di sinistra”, che lui stesso aveva rivendicato ai tempi
della guerra nel Vietnam, periodo nel quale non disdegnò di allearsi con gli
anarchici di sinistra e con tutto il movement alternativo e non-violento che si
sviluppò in America in quegli anni.
Ciò detto, valgano alcune precisazioni.
a) La tesi dell’eguaglianza naturale nella
comproprietà della terra sconta la stessa critica di giusnaturalismo che sconta
il “diritto di proprietà” degli anarco-capitalisti. Non si vede su che cosa si
fondi, se non su di un’intuizione morale dell’autore. Viceversa, per un
libertario, occorre una spiegazione “libertaria” del principio, e non morale o
moralistica. La spiegazione libertaria è quella che abbiamo fornito noi nel
nostro “Dittatore libertario”, e cioè che la proprietà privata della terra
comporta un limite della libertà negativa dei non proprietari, che quindi vanno
compensati con pari terra o controvalore, non in nome della morale, ma in nome
di una libertà negata da indennizzare o risarcire (ad esempio il diritto di
passaggio, o il diritto di coltivare lo stesso suolo)
b) Vi sono poi riserve sulla fondazione totalmente
statalista del reddito di cittadinanza. Noi stessi ci siamo fatti portatori di
questa opzione, ma prospettandola come fase di compromesso con lo Stato, in un
processo che però è di estinzione dello Stato stesso, passando attraverso una
rendita di esistenza non statualmente fondata, per giungere allo sbocco finale
rappresentato dal libero conio.
A parte queste riserve, tuttavia, occorre
riconoscere al left-libertarianism un ruolo positivo di riequilibrio, in una
fase in cui gli anarco-capitalisti classici stanno conoscendo una fase di
ripiegamento su posizioni conservatrici, quando non addirittura reazionarie,
come nel caso di Hoppe, che è arrivato a rivalutare l’ancien regime rispetto
alla democrazia, dimostrando che non sempre la vecchiaia porta saggezza, e
qualche volta porta al marasma mentale.