Jean Montalbano

Voci che ricorrono: il lungo addio di Nick Drake

Tra i tanti disastri dovuti all’adorazione del diritto d’autore andrà ricordato il costituirsi giuridico della vestale per virtù parentale: la sorella o mamma dell’artista scomparso eretta a fedele ed autorizzata custode del lascito. Tralasciando la signora Elisabeth Nietzsche, sorella di un musicista mancato e ricordato per altri motivi, in epoca a noi più vicina, oltrepassando le famiglie Hendrix e Buckley, lo stillicidio di frammenti ed inediti amministrati a colpi di contratti esclusivi mira adesso a rimpinguare l’esile opera postuma di Nick  Drake (1948-1974), autore mancante per eccellenza.

In quest’ultimo quindicennio il cantante-chitarrista di Tanworth-in-Arden si porta molto e la sorella si adegua: resta da vedere se ne risulti confermata o meno la bontà di un’investitura che, in altri casi, non ha potuto assolvere le disinvolte malefatte chi ha trovato, per meriti anagrafici, in fondo all’arcobaleno delle scadenze rituali, la pentola d’oro negata al parente trascurato quand’era in vita. Stavolta si è cercato di spingere nella classifica delle vendite una voce essenzialmente renitente puntando sul quel seguito qualificato che fortunate colonne sonore e ammirate dichiarazioni di esponenti della diaspora acustica più o meno freak hanno lievemente allargato; solo stona il risaputo piagnisteo giornalistico sull’infelice e sfortunato giovane, appena scatenato dalla montatura dell’evento Made to love magic  (una raccolta di “inediti”) volto a mascherare l’asservimento alla disastrata bottega discografica proponendo i suoi strilli come risarcimento di sfortune passate e cecità oscurantistiche. Ora, i non più giovani, ricorderanno che, per restare solo in Italia, di Drake si parlò agli inizi dei settanta persino su quel settimanale infarcito di gossip progressive chiamato “Ciao 2001”; i suoi tre dischi, dapprima in copie d’importazione, erano disponibili in buoni negozi, addirittura i testi delle canzoni circolarono in copie non autorizzate prima che editori giovanilisti ne facessero un improbabile fiore all’occhiello. Non mancarono mai l’interesse e la frequentazione delle sue produzioni, ristretti ma pervicaci (lasciando stare le canoniche visite con foto alla tomba, lontane comunque dallo svaccamento morrisionano) e nel caso si potrebbe parlare di “autore catalogo” prima che la smania del fatturato a grandi numeri mandasse gambe all’aria la baracca; a Genova, per dire, già agli inizi degli anni ottanta era attivo un negozio che dal terzo disco prendeva nome: altro che generiche scoperte e rivalutazioni recenti.

Anticipandone il trentesimo anniversario della scomparsa, la raccolta appena imbastita è supposta soddisfare la voglia di scoperte del fan drakiano: tredici pezzi che, ove si eccettui Tow the line, parzialmente si sovrappongono alla precedente compilazione del 1986 Time of no reply. Non saranno le nuove versioni di Magic e Time of no reply (arrangiate dall’amico Kirby) o l’acustica River man a terremotare il giudizio complessivo sull’opera dell’anglo-birmano. Piuttosto ne risulterà confermata la sensazione che, nel 1968, Drake ci fosse già tutto (un po’ come succedeva, sull’altra sponda dell’Atlantico, per Tim Buckley) e che  il resto (ma è un resto per cui ne va spesso della vita) sarebbe stato questione di arrangiamenti, in ogni senso.

Lasciamo ad altri i brividi degli ascolti comparativi: chi conosca il triplo album non ufficiale Time has told me, uscito qualche anno fa, sa già della precoce maturità di Nicholas Rodney Drake e che, al di là delle misteriose accordature, anche nel suo caso il vangelo arrivò, per via diretta, con le note di Blind Boy Fuller e Luke Jordan o per la mediazione di Bert Jansch e Jackson Frank. Questo si ripromette di “rivelarci” una prossima raccolta già in cantiere per cui si preparano fin d’ora charter verso Londra.