Frutto
di una discussione colletiva, il testo che segue era
firmato “Nashua “ (Petite
bibliothèque bleue. Editions de l'oubli", Paris, 1974). Lo pseudonimo celava Pierre Guillaume,
libraio a “La Vieille
Taupe”, che da lì a poco sarebbe stato al centro delle
polemiche scoppiate intorno al “caso Faurisson” e al
cosiddetto “negazionismo olocaustico”, guadagnando
soltanto calunnie e aggressioni. Il testo, a partire dalle esperienze
rivoluzionarie tedesche del primo dopoguerra, ancorché risenta di un idioma che
oggi può apparire obsoleto. è una riflessione sul “consiliarismo”che
per un verso muove all’attacco delle idee “autogestionarie”
incarnate da “Socialisme ou
barbarie” (ma anche dall’Internazionale situazionista)
e, dall’altro, criticamente, al riscatto della Sinistra
italiana (Bordiga, tanto per intenderci).
Nashua
Prospettive sui Consigli, la gestione operaia,
la Sinistra tedesca
L’
istituzione in Consigli di una classe dimostra che essa si organizza su obiettivi
propri, ma non dice niente sulla natura di questi obiettivi, né sulle divisioni
che possono esistere all'interno di questa classe. Tutti i problemi della
rivoluzione tedesca ruotarono attorno a questo fatto che ne determinò le
oscillazioni. Man mano che la frazione più intelligente degli ufficiali
comprendeva che occorreva accordare la pace per salvare ciò considerava
l'essenziale, e a partire dal momento in cui la socialdemocrazia aderì alla
pace, la maggior parte del movimento precipitò. Ma, fin dall'inizio, la
rivoluzione tedesca fu più che un movimento per la pace: in effetti, se i primi
Consigli furono Consigli di soldati, esisteva da diversi anni nelle fabbriche
ciò che si chiamava l'organizzazione dei "fiduciari", cioè delegati operai,
coordinati di fabbrica in fabbrica, che lottavano contro l’incrementato
sfruttamento dovuto alla guerra, su posizioni assai più "classiste"
ed economiche dei Consigli dei soldati. Il movimento dei Consigli dei soldati
si coordinò, e apparve un'organizzazione di Consigli di operai e soldati in
tutta la Germania, basata principalmente sui Consigli di fabbrica. D'altra
parte, la pace creò in Germania una situazione economica assolutamente
mostruosa, largamente aggravata dalla politica della Francia e delle altre potenze
vittoriose. Oltre al problema della pace, la rivoluzione tedesca si articolò
dunque su delle rivendicazioni proletarie che culminarono in scioperi e
insurrezioni. Ogni volta si vide lo stesso meccanismo mettersi in azione.
Quando il capitale si mostrava incapace di soddisfare le rivendicazioni
elementari, gli elementi più radicali finivano alla testa del movimento, ma,
soddisfatta una parte di queste rivendicazioni, il movimento rallentava.
Malgrado la presenza di minoranze radicali un po' dappertutto, esso non fu mai
capace di unificarsi in una prospettiva
nazionale e internazionale, tanto più che la Germania era ancora mal
unificata (l'unificazione del 1871 aveva lasciato sussistere le dinastie locali
in Baviera, in Prussia eccetera, rovesciate solo nel 1918). Si assistette a
esplosioni e a sconfitte separate, regione per regione, provocate d'altronde
dalla classe dominante più intelligente al mondo. I rivoluzionari analizzarono
queste esperienze; e si può dire che conobbero tutte le forme possibili di
controrivoluzione, il che costituisce la straordinaria ricchezza della Sinistra
tedesca. In particolare, essi furono i primi a vedere che la crisi economica,
fino ad allora considerata dai rivoluzionari come il precursore della
rivoluzione, poteva essere un'arma manipolata dalla controrivoluzione. Per
esempio, la borghesia tedesca seppe utilizzare le possibilità di aggravare o
ridurre l'ampiezza della crisi economica per separare i differenti strati del
proletariato, in particolare per provocare la divisione fra occupati e disoccupatii. Fece sbaragliare dagli operai organizzati –
tramite i sindacati, ma anche i Consigli operai - il movimento dei
disoccupati (che non potevano trovare soluzioni pratiche alla loro situazione
se non in un esito rivoluzionario). In generale, la rivoluzione tedesca, al
contrario di quella russa, è la sola a essere realmente istruttiva per la
comprensione della rivoluzione moderna. Ormai se ne può conoscere la storia
attraverso gli studi e i documenti che cominciano ad apparire. L'essenziale è
accertare quel che ne è rimasto valutando ciò che ha ancora un significato per
noi.
Uno degli aspetti più notevoli è che la rivoluzione tedesca fu
fatta sulla parola d'ordine: "Usciamo dai sindacati!". Mentre nessuno
si era reso autonomo rispetto ai sindacati e alla socialdemocrazia prima della
guerra, le organizzazioni ultrasinistre raggrupparono centinaia di migliaia e
persino milioni di lavoratori su posizioni rivoluzionarie. Organizzazioni quali
il KAPD (Kommunistische Arbeiter
Partei Deutschlands)
rappresentarono talvolta strutture di massa più vigorose del Partito Comunista
legato all'Internazionale Comunista.
Da una parte, i sindacati si fecero assorbire nella guerra, come a
diversi livelli accadde negli altri Paesi. Luddendorff li omaggia dichiarando che lo sforzo bellico
sarebbe stato impossibile senza la collaborazione dei sindacati e del Partito
Socialdemocratico. Dall'altra, i comunisti di sinistra non suggerivano di
uscire dai sindacati per formarne altri. Questa parola d'ordine corrispondeva a
un rifiuto totale delle forme sindacali di organizzazione, e si accompagnava
alla concreta realizzazione da parte del proletariato di organismi alquanto
diversi: le "Unioni" controllate dalla base. Una delle acquisizioni
di questo periodo è del resto il rigetto della separazione tra organizzazioni
politiche ed economiche (partito/sindacato). All'inizio esistevano
parallelamente il KAPD e l'AAU (Allgemeine Arbeiter Union)
che raggruppava le Unioni operaie nelle imprese. Ben presto, questa dualità fu
respinta a favore di una forma di organizzazione detta "unitaria",
dove veniva a mancare la distinzione tra l'organo politico e l'organo della
lotta economica. Il sorgere di questo tipo di organizzazione (che si coordinava
nell'AAU-E (Allgemeine Arbeiter
Union-Einheitsorganisation) non era frutto della
volontà o della propaganda. Quando il proletariato ha di fronte soluzioni
rivoluzionarie, questa separazione cade da sola.
Il solo fatto che ci si possa porre il problema di una differenza
tra l’organo politico (che difende la prospettiva a lungo termine) e l’organo
economico (che ha obiettivi limitati) prova che il momento nel quale si trova
il proletariato non è rivoluzionario. Del resto, la rivoluzione
comunista include per definizione la distruzione dell'economia e della
politica, e dunque dell'economico e del politico, come domini specializzati e
separati.
I gruppi come il KAPD fecero fin dall'inizio un'analisi profonda
di Russia e ciclo del rivoluzionario mondiale. Va detto che furono i soli a sostenere
militarmente ed efficacemente, con insurrezioni, attacchi a convogli militari
eccetera, la rivoluzione russa, malgrado la loro severa critica
dell'orientamento dei bolscevichi e dell'Internazionale Comunista. L'evoluzione
di questi gruppi disegna l’intero problema delle organizzazioni rivoluzionarie.
Queste organizzazioni scomparvero rapidamente, man mano che la rivoluzione
perdeva e il proletariato rifluiva verso posizioni disperate o difensive
(riforme e integrazione sociale). Nuovi problemi le fecero deflagrare nelle
abituali reazioni: attivismo e terrorismo disperati... Non dimentichiamo che la
rivoluzione tedesca fu schiacciata dalla socialdemocrazia: l'intera storia
tedesca tra le due guerre, compresa la nascita del fascismo, non si comprende se
non in relazione a questo annientamento. Tutta l'evoluzione del fascismo non ha
senso se non la si lega alla rivoluzione tedesca, giacché esso fu in gran parte
l'esecutore testamentario della rivoluzione tedesca. I rivoluzionari e le
frazioni più radicali della classe operaia (in particolare i disoccupati)
furono battuti, ma la Repubblica di Weimar (1919-1933), inizialmente creata e
animata dalla socialdemocrazia e dai sindacati, fu incapace di mettere ordine
nell'economia e di soddisfare le rivendicazioni dei disoccupati, unificando il
capitale nazionale tedesco: solo il fascismo poté ridare lavoro a tutti,
ricuperare l'aspirazione alla "comunità" apportandovi una soluzione
(alla sua maniera) e disciplinare i gruppi sociali aggregandoli agli interessi
del capitale nazionale veramente unificato. Il fascismo soddisfò in modo
mistificato le rivendicazioni (materiali e ideologiche) della rivoluzione del
1919, che la socialdemocrazia aveva schiacciato, ma le cui aspirazioni non
poteva soddisfare durevolmente, essendo incapace di unificare politicamente la
Germania. Di fronte a questa situazione, dall'inizio degli anni Venti, i
rivoluzionari furono a poco a poco ridotti allo stato di setta, e solo quelli
che accettarono la prospettiva di una controrivoluzione molto lunga furono in
grado di resistere teoricamente alla controrivoluzione. è d’altra parte vero
che vecchi membri del KAPD - ancorchéi poco numerosi
- divennero fascisti, non foss'altro che per l’odio
portato alla socialdemocrazia.
Nella rivoluzione tedesca, le minoranze radicali colsero il
problema rivoluzionario, ma nell'insieme le forze sociali rimasero ostaggio di
espressioni rivendicative. La Sinistra tedesca è al fondo la manifestazione
teorica di quel che i rivoluzionari - sovente operai - avevano vissuto. Ciò
deriva dall'esperienza, e dalla sconfitta, della rivoluzione più significativa
dell'epoca moderna, e dai limiti della situazione tedesca. Si coglie questo
doppio lascito nei gruppi che si raccolsero attorno a uno o due emigrati. Gli
unici ad aver avuto un destino apprezzabile sono la Sinistra comunista olandese
(Gruppe Internationaler
Kommunisten-Holland) e Paul Mattick,
intorno a precise riviste negli Stati Uniti ("International Council Correspondence",
"Living Marxism", "New Essays”). Ma si deve distinguere fra i testi contemporanei
alla rivoluzione e quelli posteriori. I primi sono assai ricchi, a causa
dell'esperienza concreta di cui sono espressione. Molto spesso quegli stessi
che giungevano a queste "scoperte" teoriche uscite dalla lotta non vi
erano preparati. Per esempio, la critica della rivoluzione russa fu fatta a
seguito di una quantità di esperienze concrete, di rapporti con delegati
dell'Internazionale Comunista, di misure pratiche prese dalla Russia e
dall'Internazionale eccetera. Numericamente molto deboli, i gruppi
sopravvissuti non ebbero tuttavia alcuna influenza su conflitti di rilievo.
Malgrado contatti ricorrenti con gli operai, rimasero essenzialmente isolati.
Ciò nondimeno, come la "Sinistra italiana", grazie a una rete di relazioni
poco numerose ma complesse ed estese, poterono giocare un ruolo teorico
necessario. Nei gruppi e nelle tendenze (ivi compresi autonomi) che sono potuti
esistere (per esempio Socialisme ou Barbarie in Francia), si ritrovano generalmente le
tracce di uno o due membri della Sinistra tedesca. Vi è una continuità tra
questa, la Sinistra italiana, e l'insieme delle "Sinistre".
Se le qualità della Sinistra tedesca spuntano dai suoi testi, non
è inutile insistere sui difetti. Il principale problema al quale tutti i
rivoluzionari furono posti di fronte dopo la nascita del fascismo fu il crollo
della prospettiva classica. La totalità delle organizzazioni create dal
proletariato e alle quali esso partecipava attivamente passarono alla
controrivoluzione. Lungi dall'esserne la sola forza, esse ne costituivano la
chiave di volta politica. La socialdemocrazia tedesca non era evidentemente la
sola forza contro la rivoluzione: la lotta contro il proletariato fu assicurata
in primo luogo dall'esercito, dal corpo degli ufficiali che dirigevano i Corpi
franchi, e, naturalmente, dal capitale. Ma la socialdemocrazia e le
organizzazioni create dal proletariato nel periodo precedente furono la forza
politica che riuscì a organizzare gli elementi controrivoluzionari contro il proletariato
radicale. D'altra parte, il fascismo italiano e il nazismo rappresentavano per
il pensiero rivoluzionario classico uno sconvolgimento fantastico. Si vedeva
un'organizzazione chiaramente controrivoluzionaria dotarsi di una base di
massa, e quel che oggigiorno parrebbe una grande banalità era assolutamente
conturbante per i rivoluzionari di allora. La rivoluzione russa, poi lo
stalinismo, erano anch'essi una novità fantastica, e lo sono ancora, in un
certo senso. Siccome a poco a poco il proletariato veniva distrutto come forza
che, in quanto classe, era portatrice di un progetto differente da tutti gli
altri, i gruppi si ritrovavano completamente isolati. L'importante è osservare
che i soli a conservare certe verità teoriche furono quelli che non ricercarono
un’affermazione rapida nella classe operaia. Al contrario, i trotzchisti, che vedevano senza posa i segni precursori
della rivoluzione, e volevano conservare un controllo su certe porzioni della
massa operaia per rimanere nel gioco politico, furono di fatto condotti ad
abbandonare la quasi totalità delle posizioni rivoluzionarie.
Di fronte al crollo di ogni prospettiva rivoluzionaria, la
Sinistra fu costretta a spiegare questa sconfitta, e a interrogarsi sulle
soluzioni possibili. L'elaborazione della teoria rivoluzionaria si trovò
separata dal movimento reale della classe, non soltanto perché quest'ultima non
faceva nulla (di sovversivo), ma perché non fondava più la propria prospettiva
su di una riapparizione del proletariato come forza rivoluzionaria legata alla
crisi del capitale ma cercava "soluzioni". Una delle forme attraverso
le quali i rivoluzionari riuscirono a conservare fiducia nella rivoluzione, se
così si può dire, è stata una metafisica del proletariato. Questo è vero per
ogni periodo controrivoluzionario: è talmente difficile salvaguardare un minimo
di prospettiva comunista in un tale periodo, che ci si fabbrica dei surrogati,
dei mezzi per resistere, per "tenere". Il problema sta nel grado di
deformazione che questo comprensibile atteggiamento introduce nella teoria
rivoluzionaria. La Sinistra tedesca fu condotta a sviluppare l'idea di un
proletariato "puro" contenente in sé e per sé la verità
rivoluzionaria, e a spiegare la sconfitta della rivoluzione con le falsificazioni,
le pressioni e la violenza esercitate sul proletariato per sviarlo dai suoi
compiti. Si ricercava da una parte la democrazia proletaria lottando contro la
burocrazia come se si trattasse di un male pernicioso che impediva al
proletariato di esprimersi. Si conservava sempre l'idea che, al fondo, il
proletariato autentico sarebbe rivoluzionario se non fosse ingannato. La
preoccupazione per la democrazia proletaria conduceva a inventare ricette che
permettessero all'autenticità rivoluzionaria del proletariato di manifestarsi.
In questa concezione, il Consiglio operaio gioca un ruolo di panacea
universale. Non lo si concepisce più come una forma organizzativa di lotta,
bensì come forma buona in sé, che consente alla realtà proletaria di
esprimersi. I rivoluzionari debbono dunque dare la caccia ai burocrati e ai deformatori: si poteva vedere questa concezione applicata,
per esempio, in Socialisme ou Barbarie, più nel suo funzionamento interno che nei
suoi testi. Poiché in Russia si era assistito alla ricostituzione di un potere
di classe, si ricercava una visione del socialismo che impedisse questa
deformazione. D'altra parte, siccome il potere della classe dominante era
evidentemente legato alla gestione del capitale e delle forze produttive in
generale, si finiva per credere che la degenarazione
si sarebbe evitata se il proletariato avesse preso lui stesso in mano la
gestione dell'economia. Non è agevole criticare questa teoria poiché per suo
tramite la Sinistra tedesca e i gruppi influenzati da essa (in particolare Socialisme ou Barbarie)
hanno esposto un gran numero di argomenti attendibili. Ma nella misura in cui
queste posizioni erano elaborate in un periodo di controrivoluzione completa,
difettavano in certe questioni basilari. Il peggior difetto di questa evoluzione,
che si nota molto nettamente nelle lettere indirizzate da Pannekoek
a "Socialisme ou
Barbarie", è l'idea che occorra prima di tutto evitare di violentare il
proletariato: si arriva a temere che agendo i rivoluzionari acquisterebbero un
potere sul proletariato e ne distruggerebbero la supposta spontaneità
rivoluzionaria. Si giungerà al punto di interrogarsi per sapere se si possa
indire uno sciopero senza un'assemblea generale preliminare in cui la
maggioranza dei lavoratori si sia pronunciata per lo sciopero: è tuttavia
evidente che nessuno sciopero serio è mai stato lanciato dopo simili
discussioni.
Per altro, l'insieme del problema della natura del comunismo,
e dell'abolizione dell'economia mercantile, era stato trattato dalla Sinistra
tedesca: uno dei suoi testi principali, scritto verso il 1930, verte proprio
sui Principi fondamentali di produzione e di distribuzione comunista, ma
il punto centrale non è più la questione del salariato e della merce, bensì la
questione della gestione. Si costruisce uno schema teorico in cui una
federazione di Consigli operai gestisce tutto, come se il comunismo fosse la
generalizzazione di assemblee generali democratiche che discutono e decidono su
tutto.
È vero che il termine Consiglio operaio copre realtà
differenti. In Russia, nel 1905, il Soviet di Pietroburgo era un organismo
eletto da delegati di quartiere principalmente operai per la semplice ragione
che erano all'origine del movimento. I Soviet riapparvero nella rivoluzione del
1917 come organizzazioni di lotta ancora una volta su basi locali. I Soviet
costituirono un doppio potere. I bolscevichi, forti di una prospettiva, vi
presero il potere, da qui lo presero in tutta la società. Parallelamente agli orgnaismi geografici si ebbero dei "Comitati di
fabbrica" coordinati tra loro (va detto che in un periodo rivoluzionario
la legittimità non conosce troppi formalismi. Le regole di una rivoluzione
sfuggono ai giuristi per quanto si interroghino sul suo funzionamento).
Esisteva una differenza concreta fra i Comitati di fabbrica, più orientati
sulle questioni economiche e lavorative, e i Soviet locali. Dopo la presa
bolscevica del potere, i Soviet locali divennero organi di collegamento col
potere stesso, mentre i Comitati di fabbrica rimasero un mezzo di opposizione, talvota di compromesso, di fronte al potere statale e
d’altronde giocarono un ruolo determinante nello sciopero di Pietrogrado che precedette l'insurrezione di Kronstadt. In Russia le organizzazioni di fabbrica
continuarono a sussistere fino al 1930. Fin dai primi anni era stato imposto
“uno solo al comando” con un contorno manageriale, ma lo Stato non riuscì a
introdurre difformità per il salario operaio. Nel 1927-'28 i Comitati furono al
centro di un conflitto per impedire la reintroduzione della gerarchia salariale.
Ma la natura della rivoluzione russa, con un proletariato industriale
minoritario (meno del 10% della popolazione) fecero sì che il meccanismo
politico poggiasse per l'essenziale sui Soviet locali. Al contrario, nella
rivoluzione tedesca, la struttura sociale del Paese (e non la volontà, la
coscienza, o la propaganda) fece sì che un movimento scatenato dapprima dai
Consigli dei soldati – e prima di tutto per l'incapacità della Germania
a vincere la guerra - tutta l'organizzazione si costituì poi attorno ai
Consigli di fabbrica, imprimendo una maggior caratterizzazione. Ciò che
intendono dire i rivoluzionari quando alludono ai Consigli operai è che
essi rappresentano l'autonoma organizzazione proletaria in azione. La sua
stessa composizione la pone al centro di tutti i problemi produttivi,
lavorativi, salariali eccetera. Dal doppio potere (ripetto
a quello dello Stato) che coastituiscono, deriva una crisi politica nella quale
i Consigli sono portati a considerare la totalità degli aspetti della vita in
modo unitario, non curandosi dei limiti connessi a sfere giuridiche, politiche,
economiche eccetera. Non si tratta dunque di organismi puramente
rappresentativi.
In generale, le forme organizzative sono determinate dalla
situazione concreta della struttura di classe. Per esempio, nel Maggio '68, in
Francia, non vi è stata traccia di Consigli operai; e la forma di
organizzazione presa dal movimento non è stata assolutamente il prodotto di
alcuna propaganda, è stata il risultato dei fatti: esistevano in parecchie
fabbriche piccole minoranze che volevano lottare, la cui determinazione e il
cui relativo isolamento di fronte alla maggioranza dei lavoratori controllati
dai sindacati le hanno condotte a raggrupparsi sotto forma di "Comitati di
azione". Questa struttura rispondeva alla realtà del momento. Chi faceva propagnada per i Consigli operai lo gaceva
in modo astratto e ideologico. Se per sventura vi fosse stata una
strutturazione formale di Consigli operai, in essa sarebbe risultata
maggioritario il controllo paralizzante della CGT. I rivoluzionari tendono
sempre, è naturale, a estendere il movimento in direzione dei Consigli, ma ci
si deve rendere conto che questi sono la forma di un movimento, non una
panacea.
Bisogna anche distinguere tra il Consiglio operaio in senso
rivoluzionario e certe formule propagandistiche che gli somigliano o ne sono
una caricatura, come la parola d'ordine trotzchista
del "controllo operaio". Senza soffermarci sui dettagli di questa
parola d'ordine nella storia del trotzchismo, si può
ricordare che Lenin non desiderava - e lo si può comprendere - l'espropriazione
di massa dei borghesi. I bolscevichi volevano la continuazione (provvisoria) di
uno sviluppo capitalista sotto il controllo di un potere politico rinnovato.
Non si tratta adesso della giustezza o meno di questa posizione nella Russia
del 1917-'18, che era effettivamente un paese arretrato. In ogni caso per i
bolscevichi questa idea era legata alla necessità assoluta di uno sviluppo
capitalista in Russia. Intanto che attendevano la rivoluzione europea - e
l'aiutavano materialmente con la propaganda, le armi eccetera - essi progettavano una sorta di capitalismo
controllato dal potere statale rivoluzionario, basato sui comitati di fabbrica.
Una soluzione molto provvisoria, certamente. Questo equilibrio non poteva che
essere di breve durata e divenire o capitalismo puro e semplice o una una nuova realtà collegata al resto del mondo: si sa cosa
ne è stato. Per contro, l'idea del controllo operaio esposta attualmente dai trotzchisti è fondamentalmente controrivoluzionaria. Da un
lato, è la tesi di una fase di transizione tra un capitalismo ipersviluppato e il comunismo, allorché non vi è nessun
bisogno di un periodo né "capitalista" né "comunista", ma
soltanto di una trasformazione comunista dei rapporti sociali (che certamente
non si realizza in un giorno: ma fin dall'inizio si prendono delle misure comuniste
irreversibili). Da un altro lato, il controllo operaio si presenta concretamente
come l'azione di comitati di fabbrica in ogni impresa, che spulciano i bilanci,
controllano il padrone, sorvegliano contemporaneamente la produzione e le
attività commerciali dell'azienda: è dunque l'idea che questo controllo
costituisca per i lavoratori una prima esperienza e una scuola di gestione, ove
imparino ad amministrare. Questa tesi è etsranea alla
ventilata rivoluzione poiché dal controllo operaio non si può imparare altro
che a gestire il capitale. Del resto le scuole sindacali non servono che a
formare amministratori del capitale a partire dalla classe operaia (cfr.
l'attuale "cogestione" tedesca). Si presuppone una sorta di economia
eterna, le cui leggi sarebbero pressappoco identiche sotto il capitalismo e
sotto il comunismo: i lavoratori avrebbero dunque da apprendere le regole
dell'amministrazione e dell'economia. Da sola, questa rivendicazione significa
rinunciare alla comprensione del comunismo. In diversi Paesi (Francia, Italia,
Gran Bretagna eccetera), lo slogan del "controllo operaio" conosce
oggi una nuova stagione negli ambienti sinistrorsi e anche in certe tendenze
dei partiti socialisti: si mescolano autogestione, gestione operaia e
controllo operaio in una confusione totale senza collegamento con la
teoria rivoluzionaria. Queste correnti sono, per contro, direttamente legate
allo sforzo del capitale per rinnovarsi, come mostra il caso Lip in Francia (1973): si vede un militante cristiano, che
rappresenta gli operai, accordarsi con un padrone membro del PSU.
Si potrebbe quasi dire che
attualmente a livello mondiale una gran parte della produzione sia già
autogestita dalla classe operaia. A effettuare i loro compiti (prendere un
pezzo, metterlo su di una macchina eccetera) sono gli operai. L'interdizione
dell'iniziativa dei lavoratori disorganizzerebbe la produzione. In una società
comunista, il processo materiale della produzione è opera dei produttori. Se i
lavoratori non sono sottomessi a un'autorità esterna che concepisce per loro
quel che fabbricano; se i produttori organizzano essi stessi il processo
produttivo (quel che Marx chiama "lavoro
concreto") questo implica una trasformazione colossale (orari,
organizzazione del lavoro, distruzione delle catene di montaggio e di tutti i
meccanismi che mirano a controllare il lavoro per accrescerne la produttività).
Ma il problema non è questo. Non si tratta per i proletari di rivendicare
l'"ideazione" della produzione di cui assicurano oggi solo la
"fabbricazione". La vera questione è quella del quadro nel quale si
svolgono sia l'"ideazione" sia la fabbricazione: la finalità della
produzione, la quantità effettiva dei beni prodotti, la loro natura...
Determinante non è il processo materiale della produzione, che non pone
particolari problemi: come si è visto in caso di guerra, di catastrofe, di
grave crisi, persino di rivoluzione, i lavoratori prendono in mano l'apparato
produttivo e lo fanno funzionare. Il vero problema è al livello dell'economia:
è l'economia in quanto tale, e presa globalmente, che sva
distrutta. Nella società capitalista, è la logica della merce a imporsi e a
dominare su tutto. La totalità dell'economia è determinata dalle condizioni di
produzione, che appartengono al capitale. La corrente autogestionaria,
nata recentemente come reazione al movimento rivoluzionario, fornisce delle
risposte al capitale via via che si presentano delle
difficoltà. Nel migliore dei casi, la sua soluzione sarebbe sinonimo di
autogestione del capitale. L'esempio della Lip è
clamoroso: i compiti del padrone divengono appannaggio degli operai. Oltre al
processo materiale, gli operai s'incaricano dell'amministrazione. Fanno il
lavoro dei padroni oltre al loro. Ma il problema sta nell'esistenza
dell'economia e della merce, da distruggere. Tutti i problemi che la gestione
può porre sono completamente differenti nella società non mercantile. Per
questo il controllo operaio è un'assurdità: non insegna e non può insegnare,
quali che siano le intenzioni, se non la gestione capitalista.
Verificando le somme versate
alle assicurazioni, alla previdenza sociale, ai fornitori eccetera gli operai
si avviano soltanto alla gestione di un'azienda, cioè di una somma di valori
mercantili in relazione con altri. Il comunismo ha esattamente per obiettivo, e
anche come compito immediato, la distruzione di questi meccanismi.
L'autogestione è la forma suprema del capitalismo. Si assiste attualmente alla
distruzione della borghesia tradizionale da parte del capitale. Salvo che in
Paesi come la Russia, è lo stesso sviluppo del capitale a liquidarla. Se non si
colpiscono le basi dell'economia capitalista, si ha un'economia organizzata in
imprese: unità che riuniscono ciascuna una certa quantità di capitale fisso e
di forza-lavoro. Quest'ultima è organizzata in una maniera specifica, dovuta
alla necessità di estrarre plusvalore. Si presuppone così la separazione tra
lavoratori manuali, intellettuali, ingegneri, amministratori eccetera.
L'autogestione li riunisce senza eliminare le separazioni che li
dividono e li oppongono. Se questa stratificazione non è distrutta preventivamente,
riappare necessariamente, che la produzione sia autogestita o no. Ciascuno si
batte sulla base della propria specificità, si organizza all'interno della
propria categoria come in un racket per proteggere i propri interessi. Può
essere che, in una prima fase, i lavoratori manuali prevalgano, ma se vi è in
seguito carenza di quadri perché le scuole non ne formano abbastanza, occorrerà
aumentare i salari dei quadri per ottenerne. Si autogestisce dunque il
capitale. L'autogestione equivale a conservare le categorie del capitale e a
controllarle dall'interno (democrazia d'impresa) invece che dall'esterno
(potere dittatoriale della direzione). Marx ha
dimostrato da lungo tempo che la borghesia, il capitalismo, lo scambio non sono
prodotti della malignità umana o della volontà di una minoranza che cerca di
fare la bella vita a spese degli altri, ma il risultato di rapporti di
produzione reali frutto di una situazione reale. La merce ha costituito un
progresso, e la proprietà privata è stata il modo di sviluppo dell'umanità nel
corso di vari millenni. Le società che non le hanno conosciute sono spesso
rimaste in una miseria aggravata dal divario col mondo scambista e capitalista.
La funzione del capitalista e dell'amministratore non sono né un'aberrazione né
il prodotto del male: non si possono togliere conservando il resto. Se non se
ne distruggono le basi, essi hanno una funzione reale, che bisogna adempiere in
un modo o in un altro. L'autogestione fa semplicemente svolgere dalla
collettività delle funzioni prima garantite da uno strato separato.
L'autogestione rappresenta il culmine del sogno, o dell'incubo, capitalista. é
il trionfo del capitale.
Allorquando il capitale ebbe riunito in uno stesso luogo degli
operai che fino ad allora tessevano a domicilio, dando loro gli stessi telai
che prima utilizzavano in casa,scoprendo che si poteva aumentare la
produttività scomponendo i loro gesti, e che potevano tanto meno battersi
contro i padroni quanto meno erano qualificati, venne fabbricata una macchina
che includeva nella sua stessa struttura la produzione di valore mercantile e
la riduzione degli uomini a strumenti di questa valorizzazione. Il capitale non
esiste nella testa della gente, tutte le strutture sociali sono inscritte nella
sua materia. Il fatto che noi viviamo in famiglie più o meno ristrette è
inscritto nei caseggiati, negli appartamenti. Il capitale è la struttura stessa
del meccanismo. L'autogestione significherebbe che si è riusciti a creare una
macchina che include nella sua stessa struttura lo sfruttamento, la
disumanizzazione e la separazione di coloro che lavorano, e a persuaderli che
non vi sarebbe altra soluzione: vi si è riusciti così bene che ora si può dire
loro: "Adesso autogestitevi!". Ciò presuppone che, quando si dà ai
lavoratori questa libertà illusoria, essi non abbiano alcun desiderio di
rompere la macchina o di mettersi a lavorare diversamente. L'autogestione
generalizzata significherebbe dunque un'accettazione generalizzata del
capitalismo. Implica il fatto che la totalità dei valori del capitale si sia
tanto ben materializzata da poter lasciare la gente autogestire la società.
L'interesse della Sinistra italiana sta perlappunto
nell'aver largamente chiarito tale questione. Per un verso, essa è il contrario
della Sinistra tedesca. È un movimento teorico che preesisteva in parte al
movimento rivoluzionario, che disponeva di un corpo dottrinario solido e
relativamente stabile. La Sinistra italiana ha affermato e colto dei punti
essenziali che quella tedesca non ha compreso. Ma, cosi come la Sinistra
tedesca non ha potuto preservare la sua comprensione se non attraverso una
metafisica del proletariato, la Sinistra italiana l'ha conservata attraverso
una metafisica del partito e della teoria. Si ha talvolta l'impressione che la
teoria esista del tutto indipendentemente dal movimento pratico. Ci si può
domandare se il principale apporto della Sinistra italiana non sia di aver
conservato certi punti essenziali della concezione di Marx,
e innanzitutto la comprensione completamente giusta del Capitale, a
cominciare dal Libro I: definizione del capitale e definizione del comunismo.
Essa ha mantenuto la visione del comunismo come abolizione della merce e del
salariato, mentre la Sinistra tedesca rimane poco chiara al riguardo.
In fin dei conti, il problema che ci si pone oggi, di fronte
all'esperienza della rivoluzione tedesca e alle diverse correnti di sinistra
che hanno resistito alla degenerazione della Terza Internazionale, è la
questione del rapporto tra comunismo e proletariato. Quegli eventi dimostrano
in effetti che esiste incontestabilmente all'interno del proletariato una
tendenza comunista: non una tendenza ideologica, ma un movimento pratico verso
il comunismo. La realtà della sua situazione lo conduce a sviluppare pratica e
prospettive comuniste. Ne è la prova il fatto che esso alimenta delle
organizzazioni rivoluzionarie più o meno importanti, che quasi scompaiono in
periodo di controrivoluzione ma che riappaiono poi. Ne è la prova il fatto
stesso della pratica del proletariato in periodo rivoluzionario. Ciò vale sia
per la rivoluzione russa sia per quella tedesca: non dimentichiamo in effetti
la straordinaria ricchezza della rivoluzione russa, malgrado i suoi limiti.
Tuttavia, il meno che si possa dire del rapporto tra proletariato e comunismo è
che è complesso. Non c'è un collegamento univoco tra sviluppo capitalista,
crisi, e attacco del proletariato. Il proletariato è stato agguantato dal
capitale. Per esempio nella rivoluzione tedesca i proletari volevano la pace, e
una vita decente, non il comunismo. Essi d'altronde non lo percepivano nemmeno:
solo una debole minoranza ne era capace. Il proletariato non esiste allo stato
di entità osservabile e descrivibile come la maggior parte dei fatti sociali.
Il proletariato è un rapporto con il capitale. è il rapporto più importante nel
cuore stesso del capitale, il più importante rapporto interno al capitale. Il
proletariato è un rapporto del capitale con se stesso. Esiste dunque
necessariamente un legame tra la costituzione del proletariato in classe, cioè
in categoria che si oppone alla società con obiettivi suoi propri, e la sua
esistenza all'interno del capitale.
Per abbordare questo problema, è vitale assimilare bene e
criticare contemporaneamente l'apporto delle Sinistre tedesca e italiana. Per
esempio, sulla questione del comunismo, i punti di vista di Bordiga
e di Socialisme ou
Barbarie sono diametralmente opposti. Prendiamo come esempio Le Contenu du socialisme
di Chaulieu. In questo testo, Chaulieu
è per il mantenimento del salariato. Con l'aiuto soprattutto di sociologi
industriali, egli giunge a una visione assai profonda della realtà capitalista
e della società moderna. Ha perduto totalmente di vista la dinamica del
capitale, e la sua visione è quella di un sociologo e non di un marxista: ma
all'interno stesso di questa visione sociologica, va molto lontano. Propone il
capitalismo, ma senza i suoi lati cattivi. Non concepisce assolutamente una
società senza salario e senza economia. Si pronuncia dunque per il salariato
con eguaglianza di salari: é il sogno del capitale realizzato. Il problema
viene dal fatto che il capitale dovette svilupparsi a partire da una società
non capitalista.
Ma dal momento in cui esso domina assolutamente tutto, dalla
nascita alla morte, il problema cambia. Nel capitalismo d'inizio secolo, la
formazione del lavoratore qualificato veniva acquisita in modo relativamente
individuale: era dunque normale che la si pagasse in seguito con un salario
superiore a quello dell'operaio non qualificato. Ma se il capitale domina anche
le condizioni di formazione della forza-lavoro, perché dovrebbe pagare un
salario differente? Gli basta mantenere il lavoro. Le forze-lavoro riprodotte
in modo differente dovevano essere remunerate diversamente. Se il capitale
organizza l'istruzione dei bambini e la formazione delle differenti
forze-lavoro, non ha che da mantenere tutti allo stesso prezzo. L'eguaglianza
dei salari è inclusa nella logica del capitale: solo il sotto-sviluppo
del capitale vi si oppone.
Siccome il capitalismo è incontrollabile, le soluzioni di tipo autogestionario, come tante altre, vogliono un capitalismo
pianificato. Chaulieu inventa uno schema di
"fabbrica del piano" autogestita, che poggia su di una visione
assolutamente totalitaria. Immagina che si voterà per determinare gli
investimenti, i salari, la parte riservata ai consumi eccetera, con l'aiuto di
modelli matematici (tra cui le matrici di Leontieff)
resi accessibili a tutti. I problemi che riguardano oggi solo la classe
dominante, domineranno dunque la totalità della società, nella prospettiva di
una democrazia generalizzata. Le difficoltà del capitale saranno le difficoltà
di tutti, e non più di una minoranza di gestori.
Se l'insieme dei costi di formazione della forza-lavoro sono
coperti dalla società, Chaulieu giunge alla
conclusione che in queste condizioni la differenza di formazione tra un operaio
specializzato e un neurochirurgo comporterà solo una differenza salariale di
uno a due. Egli suppone dunque che l'attività umana abbia un prezzo, e
che si paragoni il valore rispettivo delle differenti forme di lavoro,
remunerando le forze-lavoro. La forza-lavoro è dunque ancora una merce: é
esattamente il contrario della prospettiva di Marx. È
vero che l'elaborazione di questa teoria negli anni Cinquanta costituiva un
tentativo considerevole per uscire dall'immobilismo. Prodotto originale della
Sinistra tedesca, Socialisme ou Barbarie ha saputo porre i problemi operai e
dell'organizzazione del lavoro ben prima che diventassero di moda. Ma li ha
posti ignorando l'analisi di Marx. Qui, ancora, si
vede che rivoluzione e controrivoluzione sono vicine: rispondono alle stesse
questioni in modi opposti. Capitale e proletariato si sforzano entrambi di
risolvere le contraddizioni del salariato. Ma, oggi, la tesi della gestione
operaia fa solo il gioco del capitale. È ripresa cn
mille variazioni da coloro che hanno bisogno di modernizzare l’ideologia per
partecipare alla direzione politica del capitale. Poiché la crisi della società
è visibile a occhio nudo, tutti coloro che ricercano un potere qualunque
faranno così riferimento alle posizioni autogestionarie.