Massimo Bacigalupo

Naipaul Nobel

Naipaul Nobel. Una decisione scontata, poiché il settantenne scrittore inglese nato a Trinidad è nella lista dei papabili da sempre. Ma oggi, oggi è una decisione controversa e controcorrente. Di solito infatti a Stoccolma prevalgono scelte progressiste: il caribico nero Walcott, voce ricca di una civiltà muta, la nera americana Toni Morrison, femminista bestseller che passa agilmente dalla catapecchia al jet sexy. Naipaul è di sangue indiano, dell’India di Gandhi (da lui poco amato), nato da una famiglia emigrata nelle altre Indie, quelle di Colombo, quelle Occidentali, e da lì partito giovanissimo alla conquista di Oxford e di Londra. Uomo ombroso che non ha fatto altro per cinquant’anni che scrivere romanzi e libri di viaggio. Ed è diventato Sir Vidia per i suoi sevizi alla letteratura.

Naipaul è da sempre anche la bestia nera dei radical-chic dell’establishment inglese, per i suoi atteggiamenti nettamente conservatori e aristocratici. Come dice l’espressione inglese, "Non sopporta gli sciocchi allegramente", ha ammesso senza falsa modestia di essere stato malissimo a Oxford perché era la persona più intelligente sulla piazza, come poi le sue opere dimostrerebbero. Politicamente Naipaul ha suscitato risentimento per le sue critiche delle retoriche terzomondiste e guerrigliere. A starlo a sentire, è troppo facile incolpare sempre lo sfruttamento occidentale dei malanni propri. Le ragioni delle condizioni dell’India ad esempio, si devono all’India, non al colonialismo, che è solo una scusa.

Da ciò i godibili e amari libri del viaggiatore Naipaul, che almeno all’inizio ha anche una vena comica nel descrivere la burocrazia e l’onnipresente cacca indiana. Vedi Un’area di tenebra, che è del 1964. Altri viaggi l’hanno riportato a casa sua, o nell’America settentrionale (Quattro passi nel Sud). Naipaul si è inserito così nella tradizione inglese della letteratura di viaggio, rivelandosi scrittore robusto di grande intelligenza, onnipresente ma discreto nel registrare i suoi incontri, i lunghi dialoghi (come farà a riportarli in tutta lunghezza? Si serve di un bloc notes, li riinventa?). In questo campo si inserisce il capitolo della sua amicizia con l’angloamericano Paul Theroux, altro scrittore di viaggi più giovane che Naipaul prese sotto le sue ali ma a un certo punto abbandonò al suo destino. Theroux ha scritto tutto un libro sui suoi rapporti con Vidia, terminati il giorno tremendo in cui incontrandosi per strada a Londra Vidia non lo "conobbe", come si dice in Sicilia, e in inglese si dice "cut him", un’arte in cui gli inglesi di un certo tipo sono maestri: ignorare del tutto l’esistenza della persona che non "conoscono".

Il senso di casta indiano unito a quello oxfordiano e all’aristocrazia dell’intelligenza. E’ Naipual un grande reazionario, come Nabokov, come Borges? Non esita a prendersi gioco dei colleghi scrittori. Auden? Stupidaggini, comunque i poeti sono dei perditempo. Joyce? Un irlandese a Trieste, nulla potrebbe interessare di meno. Del resto l’Irlanda è molto molto sopravvalutata, non ha fatto che viaggiare a cavalcioni dell’Inghilterra. Eliot? Banalità filosofiche...

Ma sono i viaggi nel mondo islamico che fanno di Naipaul nell’ottobre 2001 un portatore di cattive notizie. Dai suoi due libri sull’argomento l’islamismo emerge come un imperialismo arretrato, un colonialismo religioso fondato sulla sottomissione non solo degli infedeli ma anche dei convertiti. Gli indiani maomettani sarebbero infatti, in quanto non arabi, musulmani di serie B. E lo sanno, si inventano parentele arabe, fondano lo stato del Pakistan per proteggere la propria insicurezza congenita. Infatti in India i maomettani per quanto una minoranza vivono senza problemi. Il Pakistan nasce sulla base dell’idea che i maomettani possono solo vivere fra di loro – con l’ironia ulteriore che i pakistani non sono arabi ma indiani.

Qui evidentemente si entra in una vera area di tenebra, un campo controverso, che è costato a Naipaul attacchi feroci. Edward Said, palestinese americano, come Naipaul è un indiano-caribico inglese, parla a proposito dell’ultimo libro di Naipaul di un "disastro intellettuale", basato sul pregiudizio e la disinformazione. Per fortuna le opere di Naipaul non si presentano comunque come analisi socioculturale ma come racconto, storie di uomini. Questo le rende forse più insidiose, giacché l’autore non esprime opinioni di per sé, dice quel che vede. E si sa che nessuna descrizione o registrazione è innocente.

E poi c’è il Naipaul romanziere, che deve qualcosa a Graham Greene, nel raccontare storie di violenza in luoghi estremi. Come in Guerriglieri, vicenda di una giornalista che gioca col fuoco e finisce violentata e ammazzata dal capo guerrigliero, naturalmente corrotto. Nelle opere più recenti è difficile distinguere fra romanzo autobiografia e saggio. Una via nel mondo (1994) è uno strano massiccio libro, molto scritto, in cui la storia dei primi anni solitari di Naipaul in Gran Bretagna si intreccia a quella della spedizione nelle Indie di Walter Raleigh alla ricerca dell’El Dorado. Naipaul nel libro lavora a una seceneggiatura su Raleigh (protetto di Elisabetta I) e ce lo presenta nell’atto di riflettere sulla sua spedizione fallita (fu decapitato al ritorno da Giacomo I) in uno stile che riprende quello elisabettiano. E d’ogni tanto appaiono le rocce delle Indie Occidentali che furono le prime avvistate da Colombo nel 1492. Una compresenza di tutta la storia, dove il lirismo – come in Conrad – non dà conforto. Questo Naipaul è uno scrittore alla moda le cui opere sono esposte nelle boutiques parigine accanto agli ultimi prodotti ma è anche un beniamino dei malati di letteratura, gli unici che possono apprezzare un libro come Una via nel mondo. Che è una cosa nuova, una scoperta. Molto più simile all’Ulisse di Joyce e ai suoi giustificati manierismi di quanto Naipaul non immagini.

Dunque per una volta un Nobel che non va sul sicuro da nessun punto di vista. Naipaul è un uomo e uno scrittore difficile e contestato, ma indubbiamente di prim’ordine. Del resto negli ultimi anni anche Sir Vidia sembra essersi raddolcito, d’ogni tanto si concede a qualche festival letterario e le foto dei giornali lo mostrano sereno accanto alla seconda moglie, la nota giornalista pakistana Nadira Alvi. Uscire a cena dopo una giornata di lavoro, confessa in un’intervista, resta per lui la cosa più bella. Vedere, interagire con le persone.

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