Carlo Romano (a cura di)

"Società", numeri di giugno 1956 e agosto 1956: Salinari, Muscetta e "Metello"

Il dibattito su Metello" di Vasco Pratolini fu uno dei più caratteristici del dopoguerra e, per certi versi, segnò contemporaneamente il momento più appassionato e quello che più determinò, se non l'esaurimento, per lo meno un punto di crisi nell'interpretazione dell'attività letteraria impressa nella politica culturale del Partito comunista. Da rilevare c'è inoltre che si svolse a ridosso di quanto accadde nel 1956 in Polonia e in Ungheria.

Il romanzo di Pratolini - ambientato a cavallo fra Otto e Novecento - uscì nel 1955. Mario Alicata su "Rinascita" e Carlo Salinari su "il Contemporaneo" lo accolsero con entusiasmo ma, fra gli altri, Franco Fortini e un giovanissimo Alberto Asor Rosa lo attaccarono. Salinari riesaminò il dibattito che ne era nato in un saggio su "Società", la rivista pubblicata allora da Einaudi e diretta dal 1953, designato a Togliatti, da Carlo Muscetta. Fu lo stesso Muscetta sulla stessa rivista - dove già Rino Dal Sasso aveva manifestato perplessità - a smorzare gli entusiasmi con una stroncatura vera e propria. Tutto si svolse ad ogni modo sulla base di impostazioni ideologiche e sul ruolo da attribuire al romanzo storico, al superamento del neorealismo, al realismo, nella logica cara ai comunisti.

Secondo Muscetta, Pratolini, prigioniero del suo sentimentalismo, rimaneva estraneo al senso profondo delle realtà sociali e del realismo, delinenado piuttosto nel muratore Metello Salani un personaggio "comico-idillico", incapace di valutare la sostanza della dinamica che si svolge fra le classi sociali o di entrare nel respiro autentico di uno sciopero preso com'è "fra la camera del lavoro" e "la camera da letto" con annesso adulterio. Rispetto a tanto insopportabile ideologismo, col suo retrogusto perbenista, videro probabilmente meglio i cattolici Leone Piccioni e Carlo Bo che vi lessero la sceneggiatura per un film, che fu effettivamente realizzato anni dopo da Mauro Bolognini.

Comunque, ancora in quel 1956 Muscetta pubblicherà su "Società" quella che è passata alla storia come "la lettera dei 101" in deplorazione della repressione dei moti in Ungheria. L'anno successivo si dimise dal PCI e si allontanerà dall'Einaudi. La rivista, che sopravvisse fino al 1961, sarà pubblicata a Milano da Parenti.

Da notare che Muscetta - fascista, antifascista, azionista, comunista... - è uno degli interpreti preferiti in quelle perlustrazioni del cosiddetto "nicodemismo" degli intellettuali cresciuti nel fascismo adocchiato in modo particolare in libri come quelli di Renato Zangrandi, Nino Tripodi e, in anni a noi vicini, Mirella Serri e Bruno Vespa. Non è il caso di fare del moralismo, i tempi erano quelli che erano ma, ovviamente, c'era modo e modo di parteciparvi. Testarde giustificazioni tradiranno poi la coda di paglia, ma potevano essere ingegnose. Per la partecipazione alle giurie dei Littoriali, il ruolo svolto in "Primato", la pubblicazione di un'antologia scolastica celebrativa del regime, Muscetta rispolverò al trattato di Torquato Accetto, rimesso in circolazione da Benedetto Croce nel 1928, scegliendo per sé la "dissimulazione onesta". Esteriormente compromesso ma puro nell'anima.

“Fogli di Via”, materiali d’archivio, novembre 2016