Charles de Jacques

Morin, la memoria di un centenario

Edgar Morin: I RICORDI MI VENGONO INCONTRO. Raffaello Cortina, 2020

Pubblicato da Arthème Fayard nel 2019 - e speditamente tradotto in italiano da Riccardo Mazzeo per le edizioni di Raffaello Cortina - con questo poderoso tomo di un autore quasi centenario, gli schizzi di memoria di Edgar Morin (1921) vengono incontro al lettore con la soave leggibilità di chi evita gli artifici di un'eleganza posticcia. Non mi butterei in ogni caso ad attribuirla alla tanto celebrata "clartè" francese, che poi dalle cime di un Valery - tanto per dire - è rovinata in quantità nella valle oscura della spocchia scambiata per stile da certi intellettuali di grido dell'altroieri, e non del tutto smaltita nemmeno oggi. Mi ha fatto piuttosto l'effetto di quei vecchi quaderni che anche qualora la scuola fosse stata un supplizio tornano anni dopo a intenerirci se ritrovati. "Non c'è soluzione al di fuori dell'amore" aveva detto André Breton e Edgar Nahoum (il nostro Morin) pare proprio si sia armonizzato al motto.

Amore dunque, anche quello fisico che torna alla memoria di Morin ben indietro nel tempo, quando era adiacente, e promiscuo nella promiscuità, al gruppo di Marguerite Duras, Robert Antelme e Dionys Mascolo, in sostanza una "famiglia come quella ben più celebre di Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir con le di lei scolare, Bost e tutto il complicato resto. E certamente, come d'altra parte racconta, Morin - con mogli, amiche, amanti e innamoramenti vari - non si è fermato lì. E non si è fermato lì nemmeno l'amore. Perfino il suo tormentato rapporto col partito comunista - oggetto di un altro, vecchio ma non invecchiato, libro memorialstico, Autocritique del 1959, che in Italia portarono le edizioni de il Mulino - è rievocato senza il malanimo degli ex e può meravigliare una certa qual morbidezza nel parlare di quegli Zdanov francesi - i Kanapa, i Casanova, i Garaudy - che non gli perdonavano l'amicizia con Vittorini e inorridivano sapendolo intimo al cinema western (il che qualche tempo dopo lasciò atterriti anche illustri filosofi come Galvano Della Volpe e Lucien Goldmann).

Al cinema Morin ha consegnato, non immune da un'ispirazione surrealista, Il Cinema o l'Uomo Immaginario (riproposto da Cortina ma già tradotto in Italia tanti e poi tanti anni fa da Silva) uno di quei testi rimasti centrali nella storia della saggistica cinematografica. Morin, non contento di essere assiduo frequentatore di sale, teorico e studioso del divismo (I Divi, lo pubblicò Mondadori) si scoprì a quarant'anni addirittura cineasta, collaborando a un film del poliedrico regista ed etnologo Jean Rouch, assai quotato dalle parti della "nouvelle vague" (Godard in testa). Con Rouch si era incontrato anni prima, quando entrato al CNRS, dovendosi occupare di cinema (cosa che non gli era evidentemente sgradita) accompagnò il regista in un giro di proiezioni italiane che toccarono esclusivamente Toscana e Liguria. Quest'ultima lo incantò per paesi e panorami e finì per considerare Genova - dove per altro risiedeva un pezzo della famiglia paterna proveniente da Salonicco - una delle sue città preferite.

L'Italia d'altra parte ha svolto un ruolo di primo piano nelle avventure intellettuali di Morin, il quale ebbe a seguire, trascinandosi dietro all'occasione perfino Roland Barthes, le riunioni di redazione di "Ragionamenti", la rivista attraverso la quale Franco Fortini, Roberto Guiducci e Franco Momigliano intendevano sfuggire al clima asfittico e censorio determinato dallo stalinismo e dal partito togliattiano. L'esperienza gli suggerì - tenendo presente anche quel che gli arrivava dagli amici Lefort e Castoriadis con "Socialisme ou Barbarie - di replicarla in Francia, e nacque così "Argumentes", che ottenne un ascendente nel milieu culturale che il modello originale non ebbe così vistoso. Ci fu comunque chi, deplorandone l'eclettismo, coniò l'espressione "argumentisme", eppure a un esame non superficiale ci si rende conto di quanto anche in questo caso l'influenza sia percepibile.

Mi fermo qui. La trama di incontri, viaggi, amicizie - con Jacques Lacan o Bernard Grotheisun, Andé Breton o Georges Gurvitch, Clara Malraux o Benjamin Peret, Michel Maffesoli o chi diavolo possa venire in mente - è talmente vasta che un "eccetera" sembrerà non aver fine. Morin dà l'impressione che a lasciarlo fare avrebbe da tirare fuori dell'altro dalla sua memoria centenaria.

Per “fogli di via”