Qualche anno prima dei futuristi alla glorificazione della macchina e della velocità (e alla "fondazione" del loro mito) si dedicò il genovese Mario Morasso, in particolare ne La Nuova Arma (la Macchina) del 1905 dove si legge "come la macchina costituisca ora il nuovo strumento e venga a stabilire il nuovo sistema per le conquiste così individuali che sociali". Non sembrerebbe essere un caso che l'autore finisse poi per curare le cronache delle gare motoristiche! Ma quella di Morasso (1871-1938) è tuttavia un'avventura intellettuale più complicata, fra psichiatria criminale, superomismo, letteratura, unicismo ed estetica. Verso la fine del XIX secolo aveva teorizzato "l'egoarchia" (Uomini e idee del domani : l'egoarchia. Fratelli Bocca, 1898) e sebbene con fondate ragioni si celebrino le riviste dei primissimi anni del secolo successivo concepite dai Papin e dai Corradini, non è trascurabile (e da anni comunque non lo è più) il confronto critico di questi con le idee di Morasso che nella recensione di Giovanni Gentile a L'imperialismo artistico (Fratelli Bocca, 1903) sono sottoposte a un'ironia che eccede nello scherno. La recensione comparve nel 1903, appena fondata, su "La Critica. Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia diretta da B. Croce".

 

Giovanni Gentile

Mario Morasso: L'imperialismo artistico

Forse basterebbe riprodurre un periodo scelto opportunamente tra quelli che si succedono per le pagine di questo libro, per dare un'idea sufficiente del contenuto e della forma di esso. Ma ne verrebbe un giudizio che a qualcuno potrebbe apparire o ingiusto o ingiustificato; epperò è necessario accennare almeno il concetto principale del libro, con qualche breve commento.

I1 signor Morasso, adunque, è persuaso che "numerosi e loquaci sono oggi i critici, innumeriabili e diverse le critiche, ma una vera critica d'arte, scientificamente costruita con i metodi e sui dati che rinnovarono tutti gli studi, non esiste ancora, come manca del pari una teoria generale del fenomeno artistico che corrisponda ai requisiti del pensiero moderno.... Oggi non si sa e non si può criticare più in fatto di arte, perchè si ignora la nozione della bellezza". I1 signor Morasso, insomma, ci vuole insegnare l'arte della critica artistica, e perciò prima di tutto una dottrina, o meglio la vera dottrina del bello.

Quindi incomincia dal definire - e non si capisce perchè dia in nota questa definizione - il concetto del bello. "La bellezza, egli ci fa sapere, non è ciò che è bello o che non è brutto - distinzioni e antagonismi scolastici questi ornai fuori uso; - la bellezza è la funzione in atto delle

attività sociali esplicantisi nell'arte, la bellezza è ciò che separa l'arte dalla scienza, dalla religione, ecc.". Dunque (bene attenti!) bello e brutto non si distinguono più; e il signor Morasso non vede perchè si debbano distinguere. - Ma, allora, anche il brutto è bello; e anche del brutto si può ripetere la definizione del bello? E se per lo stesso A. la bellezza è l'essenza, il contenuto dell'atto e del fatto artistico, o, come noi diremmo più brevemente, dell'arte, anche il brutto è essenza dell'arte; e la critica non distinguerà più l'arte, da ciò che vorrebbe essere e non è arte. E se non distinguo più il bello dal brutto, ossia l'arte dalla non-arte, perchè e come distinguere l'arte dalla religione, dalla scienza ecc.? Ma il signor Morasso, da quel fortunato scolaro che è del Nietzsche (e dico fortunato, perchè, a sentir lui, non c'è che lui che abbia inteso Nietzsche; sicchè non saprei proprio se sono in diritto di ritenerlo scolaro, anzi scolaro fortunato e privilegiato del Nietzsche) non ammette i valori dello spirito, ossia le categorie; almeno, come il suo maestro, dice e crede di non ammetterle: e forse vuol dire che non ammette il particolar contenuto che ordinariamente noi poveri scolastici attribuiamo a cotesti valori, preferendo così egli come lo sciagurato filosofo di Zarathustra, di attribuirgliene un altro: infatti ci ha anche lui il suo bravo ideale artistico (l'imperialismo !), ossia il suo bello, non identico, m'immagino, agli altri ideali e alla negazione di ogni ideale; come concepiva anche il Nietzsche un bene al di là del bene e del male, ossia al di là del criterio comune di giudicare del bene e del male.

Ma il nostro signor Morasso abbandona presto il suo indifferentisino estetico della teoria, che troviamo formulata in una nota della prima pagina, e poi un'altra volta affermata nell'esposizione delle idee estetiche del Nietzsche, che vien fatta nell'ultimo capitolo del libro; ed entra nella storia, nella storia filosofica dell'arte per determinare la nozione della bellezza nei tre grandi tipi di civiltà, pei quali, secondo lui, corre e ricorre il genere umano; e nella storia è naturalmente costretto a passare dall'astratta generalità del bello alla posizione di determinati ideali artistici concreti. Non so se s'accorga del risorgere che fa qui quel povero antagonismo del bello e del brutto, che era stato poco prima così crudelmente abbattuto, come roba scolastica; certo, lui pare che in ogni epoca

storica un dalo gruppo sociale, il dominante, abbia una comune concezione della bellezza, che è senza dubbio un bello particolare, sebbene egli si compiaccia di chiamarla concezione obbiettiva, e naturale "al di là del bello e del brutto" (p. 8). Ma è lo stesso signor Morasso che dice: "nello stesso tempo e anche nello stesso ambiente possono coesistere due e talvolta anche pih concezioni della bellezza, con diversa diffusione e lottanti fra loro per superarsi; il critico dopo averle specificate e definite ne accetterà una e si avranno così le grandi divisioni, i grandi partiti estetici, come vi sono i grandi partiti filosofici, politicii, morali" (p. 8). Così il signor Morasso appartiene al partito imperialistico dell'arte; e rimarrà tanto al di qua del bello e del brutto da approvare l'arte che è prodotta dal suo partito e disapprovare, credo bene, l'arte prodotta nel campo de' partiti avversi.

I tipi di civiltà sono tre: una civiltà barbara, servile, inferiore; una civiltà dominante, militare, superiore; e una civiltà di transizione, mer czntile, marinara, borghese, intermedio. A ogni tipo di civiltà corrispon dono naturalmente idealità politiche, morali, scientifiche, religiose, e anche estetiche particolari. Quindi c'è un'arte della civiltà dominante, un'arte della civiltà servile, e una della mercantile. E come oggi siamo in una epoca di transizione dalla servile alla dominante, si fa strada sempre più la politica della civiltà superiore, l'imperialisino; e all'imperialismo politico corrisponde l'iinperialismo artistico affernantesi nelle più recenti opere di maggior valore: nel poema eroico, ossia nella Canzone di Garibaldi del D'Annunzio; nel romanzo politico moderno; nella tragedia dello stesso D'Annunzio e nella macchina (già, anche nella macchina, il

monumento moderno!). Manca ancora il grande quadro illustrativo, raffigurante l'eroismo, o comunicante lo slancio mistico, mancandone ancora "la necessità e la possibilità" (p. 261); ma c'è la tendenza.

Ora, è inutile descrivere tutti i ghirigori tracciati dal signor Morasso intorno a questo suo schema di teoria, com'egli dice, dell'arte per il dominio. Qua e là non mancano osservazioni pregevoli e cose ben dette, tra i molti discorsi nebulosi e le infinite stranezze superbe della loro stessa stranezza. È inutile seguire il signor Morasso nelle sue elucubrazioni estetiche, perchè, francamente, il principio da cui muove e che bisognerebbe prima di lutto accogliere, riesce addirittura inconcepibile. Secondo questo principio la scienza (le idealità scientifiche) della civiltà dominante, non sarebbe la scienza della civiltà servile, nè della inercailtile: e che cosa sarebbe? Così l'arte dei servi non sarebbe l'arte dei dominatori: ma, che cosa sarebbe dunque? Altro che al di là del bello e del brutto! Questo mi pare invece un al di qua di un bello e di un brutto: per cui tutta la bellezza che il signor Morasso vede nella Canzone di Garibaldiq, perchè egli prosegue l'ideale dell'arte per il dominio, è altrettanta bruttezza se si guarda co1 criterio della civiltà inferiore. Ma allora che bellezza è questa? È bellezza o bruttezza? - O vorrà il sig. Morasso trincerarsi dietro la tesi del relativismo estetico? E io sarei più relativista di lui: perchè la bellezza non è relativa soltanto, com'egli vuole, a un dato gruppo sociale in un dato periodo storico, ma a una data fantasia individuale in un momento del tempo e in un punto dello spazio; nè è possibile apprezzamento verace d'opera artistica, che non presupponga riprodotta quella individuale condizione psicologica, onde l'opera proruppe nella fantasia creatrice. Ma che per ciò? Non è sempre possibile teoricamente una tale riproduzione dell'altrui nella nostra psicologia, e quindi il riconoscinento della bellezza che rifulge in ognuna delle più disparate forme artistiche? E che razza di critico è quell'imperialista che non vede la bellezza dell'arte servile? E se l'arte è arte per tutti, che differenze sono quelle che il sig. Morasso ci vorrebbe far ammettere? Tanto varrebbe, poichè l'A. fa corrispondere ai singoli tipi di civiltà anche determinate idealità scientifiche, aver la faccia di sostenere che per l'imperialista due più due faccian cinque: proprio così, al di là del vero e del falso, in quel suo tipo di civiltà che crea a sè nella sua più eroica affermazione di sè il Wille zur Macht.

No: noi poveri schiavi non giungeremo mai a tanto; e se questa è la scienza moderna, ci contenteremo sempre dell'antica, a costo di esser calpestati dagli eroi. Con la nostra almeno si capisce qualche cosa! G. G.