Miscellanea (FdV 18)
Tatti Sanguineti: IL CERVELLO DI
ALBERTO SORDI. RODOLFO SONEGO E IL SUO CINEMA. Adelphi, 2015
Si
tratta in sostanza di una filmografia ragionata dei soggetti e delle
sceneggiature di Rodolfo Sonego, inclusi i film non
realizzati e quelli dove il suo nome non risulta accreditato. Il libro è
costruito come un collage di testimonianze, derivate da spezzoni di giornali e
libri, accompagnate dai commenti di Sanguineti, il quale si cura oltre a ciò di
riempire i vuoti che gli si sono presentati ordinando la cronologia. Fra i
meriti del libro mi sento di mettere quello che a tutta prima potrebbe sembrare
una sorta di sbilanciamento fra film e film indifferente all'importanza
estetica e storiografica che si può ritenere sia riconosciuta all'uno o
all'altro. Per quanto possa esser casuale e determinato dal materiale che
Sanguineti aveva a disposizione, più che a ridefinire una gerarchia di valori -
e in parte è anche questo - ciò serve a mettere a fuoco i diversi aspetti
dell'inventiva del grande sceneggiatore. Lo spazio che è stato destinato, per
esempio, a Il vedovo (ma altrettanto si potrebbe dire per Crimen) è esemplare per un film che
"all’epoca non fu considerato quel film incantevole e perfetto che oggi ci
appare. Raccolse recensioni piene di distinguo soprattutto sul versante
psicologico: non si teneva abbastanza conto del fatto che, come sottolinea
sempre Sonego, Sordi fosse veramente mezzo
matto." Non ci si deve stupire dunque se con altrettanta ampiezza viene
affrontato un film, Il sorpasso, al quale Sonego
non ha partecipato ma del quale rivendica l'idea. "Fu una botta tremenda
per me", ha ammesso Sonego, "per
quarant’anni il motto dietro a cui ho nascosto il mio lutto è stata la frase
lapidaria Io de Il sorpasso non parlo." Naturalmente i diversi
interessati, da Risi a Cecchi Gori, avevano opinioni
divergenti da quelle di Sonego (Risi affermava che
l'idea fosse sua) e la ricostruzione della vicenda da parte di Sanguineti
(aiutato anche da un libro che al film ha dedicato Oreste De Fornari) è tanto più opportuna quanto più è complicata
("quasi omerica" suggerisce Sanguineti).
CR
Maria Roberta Novielli : ANIMERAMA.
Storia del cinema d’animazione giapponese. Marsilio, 2015
Un
giovane scrive sul muro katsudō shashin (immagini in movimento, cinema) poi si rivolge agli
spettatori e, togliendosi il cappello, saluta. Si tratta di 50 fotogrammi
dipinti direttamente su pellicola ritrovati nel 2005 a Kyoto. È stato valutato
che risalgano al 1907 e se ciò fosse esatto ne farebbero i primi disegni
animati dei quali si abbia notizia. Già nell'XI
secolo erano diffusi in Giappone dei rotoli di storie illustrate (gli emakimono) che venivano srotolati, sovente in pubblico col
commento di un cantastorie, alla velocità indicata in basso al rotolo stesso. A
cominciare da questi remoti antesignani - passando per la lanterna magica,
importata molto presto - si snoda la storia del cinema di animazione giapponese
- ormai si sa quanto influente e quanto si incroci esteticamente coi
"manga" - che con l'incomparabile competenza che lascia immaginare ha
messo insieme Maria Roberta Novielli, già autrice,
col medesimo editore, di una Storia del cinema giapponese, specializzata
in cinema alla Nihon University
di Tokyo e docente in discipline legate al cinema e alla letteratura giapponese
presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia (tutte
cose, e non son tutte, che attestano l'aggettivo usato sopra circa la
competenza). Scrive Giannalberto Bendazzi
nella prefazione: "Nella storia mondiale dell’animazione il Giappone
rappresenta un caso unico. Prima di tutto per la sua imprevista discesa in
campo. Dal 1917 (data dei primi cortometraggi nazionali) fino alla metà degli
anni cinquanta, l’animazione era un modesto artigianato, dedito soprattutto a
film didattici e di propaganda. In brevissimo tempo divenne un’industria
massiccia e aggressiva, capace di esportare perfino nei protezionisti Stati
Uniti". Dragonball, Lady Oscar, Lupin III ecc. ecc., vecchi e nuovi
paradigmi culturali, produzioni ufficiali e indipendenti, lavori stabilizzati e
lavori sperimentali la fanno da protagonisti quanto la pionieristica trilogia
erotica ideata da Tezuka Osamu
e dal suo team di animatori tra il 1969 e il 1973 che dà il titolo al volume.
BB
Kurt Vonnegut: QUANDO SIETE
FELICI, FATECI CASO. Minimun Fax, 2015
Un
conferenziere ha un suo repertorio come l'hanno gli attori, quindi non ci si
deve stupire se nelle sue spassose conferenze Kurt Vonnegut
da una all'altra, e in contesti differenti, potesse ripetersi o che abbozzasse
in modo pressoché identico dei personaggi legati alla sua città e al socialismo
- che portavano del resto i nomi di Eugene Victor Debs
e Powers Hapgood - più
volte citati nei suoi saggi. Come per la battuta di un comico, rimaniamo invece
in attesa della replica e ci sentiamo persino edificati, oltreché appagati, nel
sentirla. Non per niente, come ricorda Dan Wakefield
nella prefazione a Quando siete felici, fateci caso, Vonnegut
divenne "uno degli oratori più richiesti d’America per i discorsi di fine
anno accademico ai neolaureati". Ma fu anche acclamato "come
portavoce delle giovani generazioni ed eroe della controcultura degli anni
Sessanta", benché, ricorda ancora Wakefield,
"con sua grande sorpresa e cruccio". Da qualche parte ho letto anche
che sempre "con sorpresa e cruccio" Vonnegut
riteneva essere considerato uno scrittore di fantascienza. Fa piacere vederlo
contraddirsi quando sostenendo che Le guide del tramonto di Arthur C.
Clarke è il più bel romanzo del genere precisa: "a parte quelli che ho
scritto io".
CLL
“Fogli di Via”, novembre
2015