Pierre Michel , dopo le opere, ha avviato la pubblicazione, presso
l’editore L’Age d’Homme, dell’epistolario di Octave
Mirbeau; il primo volume di lettere (1868-1888)
puntigliosamente curato e da poco stampato, ammonta ad oltre novecento pagine;
i nomi degli illustri corrispondenti (Rodin,, Zola, Mallarmé, Rops o Maupassant…) giustificano la ricca varietà di argomenti
sfiorati, nessun tema fin de siècle (antisemitismo
incluso) restando nell’inespresso dell’autore del Journal d’une femme de chambre, i cui trascorsi giovanili nella stampa
reazionaria (maniera quanto mai diffusa di sbarcare allora il lunario) saranno,
nemmeno tanto curiosamente, controbilanciati dalle diffuse frequentazioni
anarchiche della maturità. A questo periodo risale la breve apologia
dell’amico, e critico par excellence, Félix Fénéon che qui riproduciamo.
Octave Mirbeau
Fénéon
Ho letto qualche giorno fa che Victor Lemoine, l’esperto orticultore di Nancy,
era stato nominato ufficiale della Legion d’Onore. In
genere tali distinzioni mi lasciano freddo, persino quando toccano agli amici.
D’abitudine scelgo di aver care le persone per motivi diversi da un nastrino
rosso appeso al risvolto, giudicandole per la loro opera e non in base alle
ricompense ufficiali che ne ricavano. Ma quando si è un giornalista degno di
tal nome, occorre far concordare la predilezione per certe personalità con
l’esigenza della più stringente attualità. Mi ero perciò ripromesso,
consacrando, questa settimana, il mio articolo a Victor Lemoine
e ai suoi lavori, di parlare della commovente bellezza dei fiori e della
piacevole arte del giardinaggio. Ahimè! Non si riesce mai a fare quanto ci
piacerebbe fare. Il giornalista propone e il signor Clément,
più terribile di Dio, dispone.
Mentre mi accingevo a far sfoggio di lirismo
verbale, ecco che, di colpo, vengo a sapere che Félix
Fénéon è stato arrestato dalla polizia. «Anarchico
pericoloso e militante» dicono le notizie, associazione a delinquere e tutta la
serie di solite accuse! E’ anche vero che, a parte qualche vaga indicazione, ci
mancano informazioni più precise. Come motivo principale per l’arresto, tanto
imprevisto e sorprendente, si afferma che la polizia ha trovato, in una tasca
del soprabito di Fénéon, una scatola di nickel, “con
su incollato un ritratto d’uomo e contenente capsule di piccole dimensioni”.
Ecco una scatola della stessa famiglia, mi pare, di quel tubo pericoloso, di
quel misterioso tubo, quel tubo tanto minaccioso trovato da Alexandre
Cohen, il quale tubo, dopo meticolosi esperimenti e
prudenti smontaggi, fu riconosciuto essere, alla fine, un bastone da passeggio.
Come che sia, Félix Fénéon è agli arresti in carcere. Prima d’essere rilasciato dovrà subire il lungo
calvario degli interrogatori, delle camminate tra due guardie, lungo i corridoi
del Palais de Justice,
delle attese negli uffici dei giudici istruttori. Non è il momento di ridere. E
tutto ciò, quando l’odio pare decrescere per lasciare spazio a momenti di
quiete!
Il mio collaboratore Bernard
Lazare ha detto di quell’uomo charmant
che è Félix Fénéon, di
quel prezioso artista, di quel probo e puntuale impiegato tutto quel che andava
detto. Mi sia permesso tuttavia di aggiungere qualche parola perché Fénéon è mio amico e mi è caro per le sue qualità di
spirito e di cuore.
Ho conosciuto pochi uomini che, come Fénéon, mi abbiano ispirato il sentimento tanto raro e
dolce della sicurezza. Malgrado l’apparenza volutamente fredda, il
comportamento un po’ rigido, il dandismo speciale dei modi, riservati e
distanti, ha un cuore caldo e fedele. Eppure non lo mostra a tutti, poiché
nessuno è meno banale di lui. Una volta conquistatane la fiducia, vi si può
riposare come sotto un tetto ospitale, sapendo che vi si sarà, alla bisogna,
vezzeggiati e difesi. A questa qualità egli deve l’avventura dolorosa dell’arresto;
perché polizia e giustizia nulla comprendono delle virtù delle anime rette e
dei cuori forti. Fénéon conosceva bene Alexandre Cohen, il quale abitava
dirimpetto a lui. I due amici si vedevano sovente, uniti l’un l’altro dalla
comune passione per l’arte e la letteratura.
Al momento dell’espulsione di Cohen,
Fénéon gli mantenne la fedeltà dell’affetto. Tentò,
con qualche passo coraggioso, d’interessare certuni a quella sventura per
rendergli l’esilio meno amaro e più sopportabile. Fece questo con coraggio ed
ingenuità pensando che non fosse un crimine, punibile dalle leggi, abbandonare
un amico sfortunato adoperandosi per essergli di qualche utilità. Così era
questo anarchico feroce, questo malfattore. Una volta datosi a qualcuno si dava
per intero, e quando arrivava la disgrazia, l’amicizia vigile e calda diventava
qualcosa di più profondo: della devozione.
Ricordo con una stretta al cuore che, appena
qualche settimana fa, ho passato una giornata con Fénéon.
E porto ancora in me il fascino della sua conversazione, tanto elegantemente
spirituale, delle sue idee così originali sull’arte, della sua voce tanto
musicale, mentre diceva, volta a volta, cose lievi, ironiche o profonde. Sul
tavolino del mio ufficio c’erano i Contes à
moi-même di Henri de Régnier. Preso il libro ed apertolo, Fénéon
ne lesse dei frammenti a voce alta, conquistato dalla misteriosa bellezza
dell’opera, interrompendo la lettura per commentare, con spirito chiaro e
comprensivo, tutto quanto il libro contenga di alti simboli, e tutto quanto
sveli della vita interiore, lungo l’invisibile passeggiata in campagna; ma la
notte ci sorprese, lui a leggere le poesie di Régnier,
me ad ascoltarle.
Come poter credere di accompagnarmi ad un audace
criminale, nelle cui tasche avrei potuto, forse, trovare una scatola in nickel,
con su incollata un’immagine e recante delle capsule!
La vita di Fénéon era
bipartita: l’ufficio, di cui viveva, e la letteratura, ornamento del suo
esistere.
Era, come ho detto, un impiegato preciso, quel che
si dice un impiegato modello. Al Ministero della Guerra era parecchio benvoluto
dai colleghi, stimato dai superiori che in lui riconoscevano un’intelligenza
rara e un’attività sempre operosa. Questo dettaglio proviene da un suo collega:
“Nessuno sapeva come lui redigere un rapporto su qualunque cosa, e si dilettava
a stilare quelli degli altri, cui tale compito causava angoscia, tortura e
spesso insormontabili difficoltà. I rapporti di Fénéon
erano, a modo loro, dei capolavori, secchi, precisi, di una lingua amministrativa
perfetta. Il sottile e delizioso artista, che talora si compiaceva di curiose
sinuosità nella frase, di concordanze di ritmi bizzarri, aveva la facoltà di
scrivere come un redattore di codici. Poteva piegare il talento allo scherzo,
il che prova, contrariamente al racconto di quelli che non paiono granché
conoscere colui che biografano e giudicano con tanta
sicumera, quanto il suo spirito fosse chiaro.”
Bernard Lazare
ha parlato del letterato originale e modesto, del critico penetrante, dalla
mente aperta ad ogni bellezza. Ha detto pure del cuore fedele e fermo, del
carattere seducente, dell’entusiasta sotto l’apparenza della fredda maschera.
Credo che nessuno tra quelli che lo hanno davvero conosciuto, e perciò amato,
non sia felice di testimoniare la profonda stima portatagli.
E penso pure che c’è, da qualche parte, in un
piccolo e modesto appartamento, e dove tutto le parli dell’amore del figlio,
una povera madre che piange e due bambine che aspettano lo zio benamato, colui
che era la gioia costante, la certa consolazione della casa, di quella casa
dove un lutto crudele segue un dolore più crudele ancora, e che lascia intorno
alla tavola serale due posti vuoti…
(a cura di J.M.)