Da “Présence du Cinéma” n. 24-25 (automne 1967). Il numero era dedicato a Cecil B. De Mille. Le ultime pagine
del fascicolo, dopo la straordinaria e minuziosa filmgografia del regista
americano (ma la più stupefacente filmografia pubblicata dalla rivista fu
quella di Allan Dwann) erano occupate
dal “Journal” di
Lourcelles (1940), critico e uomo di cinema (sceneggiatore) legato al
“mac-mahonisme” (dal nome del cinema parigino Mac-Mahon), un raggruppamento del
quale Sur un art ignoré (1959) di Michel
Mourlet costituiva il manifesto. Di “Présence du Cinéma” (fondata
da Jean Curtelin) Mourlet e
Lourcelles furono i principali animatori.
Jacques
Lourcelles
in morte di Raffaello Matarazzo. Dal “diario 1966”
16 Maggio, morte di Matarazzo.
Come Freda, come molti altri, malgrado il successo commerciale di Catene e della serie che inaugurava
(cfr. il rendiconto pubblicato dalla rivista italiana “Cinema
60” datata giugno-luglio 1964)
Matarazzo non fu profeta in patria.
Ricordo la reazione di un critico italiano incontrato al British Film
Institute nel 1960. Conversammo del
cinema di casa sua. Citai i nomi di due registi italiani a mio parere
particolarmente interessanti: Freda e Matarazzo. La sua reazione fu decisa.
Girò i tacchi non senza brontolare: “Ha fatto apposta a scegliere i peggiori?”.
Mi chiedo se da allora abbia cambiato opinione. Non ne sono sicuro. Benché il cinema italiano goda di una certa
ricchezza e il pubblico disponga di
numerose riviste, sono gli stranieri ad aver scoperto i suoi cineasti di
valore.
Tuttavia un cineasta può possedere l’acume di cui son privi i critici professionali.
Fui sorpreso, in effetti, la prima volta che incontrai Freda in Italia, della stima in cui teneva Matarazzo
(e non è frequente fra uomini di cinema stimarsi a vicenda) e non credo di
essere rimasto scosso allorché ammise come Matarazzo fosse il solo compatriota al
quale portasse grande ammirazione. Stima per l’uomo prima ancora che per
l’opera, dal momento che secondo lui Matarazzo si scontrò troppo spesso con
l’incomprensione dell’ambiente del cinema così che una serie di circostanze gli
impedirono di realizzare la grande opera degna del suo talento. Comunque sia,
il poco che fu quest’opera rispetto a
ciò che poteva essere, e il poco di quel poco che noi conosciamo (molti film di
Matarazzo non sono usciti in Francia) è stato sufficiente a destare il nostro
interesse e in maniera così abbondante da farcelo classificare, oggi, fra i
maggiori cineasti italiani.
La sua opera prima, Treno popolare (1933) fu celebrata come
pre-neorealista. Le inclinazioni l’avrebbero portato verso la commedia caustica
e satirica. Ma è nel clima del melodramma che si inscrive la sua attività:
melodramma sociale (La risaia),
avventuroso (La nave delle donne
maledette), melodramma romantico e musicale (la sua biografia di Verdi),
infine i numerosi melodrammi famigliari che gli diedero successo a scapito
della gloria. Matarazzo trascina nei suoi film un tono bonario che non esclude
l’umorismo, che non esclude nemmeno gli accessi verso il delirio e la follia.
La sua fu un’originalità fra le più abracadabranti, così che lo sguardo freddo
e i piedi per terra non dissimulano il barocco delle situazioni ma, al
contrario e per contrasto, lo valorizzano.
Come morale adottò quella del
buon senso e dei sentimenti semplici
pennellati d’umorismo. Il rimprovero semiserio che lancia alla fine del
film un personaggio di Fumeria d’oppio
ai drogati: “Fareste meglio a mangiare
delle bistecche!” è tipico
dell’atmosfera che regna nei suoi film. Avrebbe sottoscritto volentieri, credo,
l’opinione di Alphonse Daudet in Notes
sur la vie: “Rimango imbarazzato dalla scarsa varietà, dalla poca
originalità che si riscontra nei bassifondi del vizio e del crimine”. Così si
ritrovò d’accordo con il vero spirito del melodramma, quello di mostrare che la
semplicità e l’innocenza finiscono sempre con l’aver ragione dei complicati e
monotoni complotti dei Cattivi, di
mostrare inoltre che avversità e vizi sono sempre un po’ sopravvalutati, meno ingegnosi
di quel che si crede.
Per la maggior parte la sua
opera è ancora da scoprire. Ne riparleremo.