Giuliano Galletta
Michela
Marzano. Conversazione
Michela Marzano, 40 anni, filosofa e femminista,
docente all’Università di Parigi Descartes, è considerata dal “Nouvel
Observateur” tra i più influenti filosofi francesi viventi. Marzano ha
pubblicato il libro “Filosofia del corpo” (Il melangolo, 108 pagine, 13 euro)
in cui tenta una difficile operazione culturale, capire qual’è il rapporto fra
l’uomo e soprattutto la donna e il corpo nel mondo contemporaneo. Operazione
ardua perché il corpo è il terreno in cui si giocano contemporaneamente troppe
partite decisive: biopolitiche, religiose, economiche, psicologiche,
mediatiche, quasi sempre senza che i protagonisti, o le vittime, ne abbiano
consapevolezza. «Quello che mi interessava» spiega Marzano «era tentare di
capire qual’è il ruolo del corpo nella società e nella vita di ciascuno di noi,
partendo dall’analisi filosofica. Credo
infatti che la filosofia abbia qualcosa da dire rispetto al corpo, nonostante
per secoli il corpo come oggetto di studio sia stato messo da parte perché
quello che contava di più era l’anima, il pensiero, l’astrazione, quasi che
l’individuo potesse ridursi ad un essere disincarnato. Ho cercato di
evidenziare l’importanza del nostro essere corporeo, perché è attraverso il
corpo che noi viviamo, attraverso il corpo che si esprime il incontriamo gli altri e
soprattutto attraverso il corpo che nostro desiderio, la parte più profonda del
nostro essere».
Quali sono i
filosofi che più hanno escluso il corpo dalle loro riflessioni?
«Praticamente tutta la tradizione filosofica
occidentale, a partire da Platone, passando per Cartesio e arrivando a Kant, ha
sottovalutato il problema del corpo. Bisogna arrivare fino al Novecento, alla
rivoluzione fenomenologica, perché alcuni filosofi, in primo luogo Merleau
Ponty, evidenziassero l’importanza del corpo. Naturalmente un ruolo molto
importante in questa direzione è stato svolto dalla psicoanalisi e
successivamente dal femminismo».
Oggi sembra
però che non si parli altro che di corpo.
«Anche troppo. La sensazione che ho è però che il
corpo di cui si parla non è il corpo reale ma è un corpo-immagine che si ha la
tendenza, da un lato, a sovraesporre e dall’altro a far corrispondere a una
sorta di modello ideale; un corpo completamente standardizzato, uniformizzato,
che non corrisponde più alla differenza di cui ognuno è portatore come
individuo».
Una nuova
forma della stessa svalutazione “classica”.
«Certo, perché si continua a trattare il corpo come
un oggetto di manipolazione e di controllo e anche se non si parla più molto
spesso di anima e di pensiero c’è un mito della volontà. Una volontà astratta
che pretende di esercitare una continua influenza sul corpo. E qui mi sono
ricollegata alle analisi di Michel Foucault sul biopotere per tentare di capire
come si esercita effettivamente oggi il biopotere sui corpi degli uomini ma soprattutto
su quelli delle donne».
In che modo?
«Il problema è sempre il controllo di questa
materialità e oggi la donna si trova sempre di più schiacciata su un
corpo-oggetto. La donna trova il suo posto nel mondo nella misura in cui
interpreta questo corpo ideale, perfetto, questo corpo immagine e si limita a
questo, cioè tace, e non esprime un proprio punto di vista. E’ necessario che
la donna sia bella ma resti silenziosa per non evidenziare elementi di
discordanza rispetto al pensiero dominante che resta, nonostante tutto,
maschile. Si spiega così la tendenza a escluderla dalla vita pubblica perché
nel momento in cui si riduce la donna a un oggetto o la si mette in vetrina o
la si chiude in casa. Si registra quindi un ritorno verso la sfera privata che rimette
in discussione le conquiste degli anni Sessanta e Settanta che avevano spinto
le donne a partecipare al dibattito pubblico»
Lei vede
quindi una regressione nella condizione della donna.
«Effettivamente sì, a partire dagli anni Ottanta
quando erano andate a maturazione le conquiste dei decenni precedenti. E’ come
se ci fosse un’impossibilità per la donna ad accedere realmente a una forma di
uguaglianza, quasi che dovesse restare, a dispetto di tutto, una cittadina di
serie B, anche quando è una scrittrice, una professionista, una scienziata. Le
donne restano sempre e comunque respinte verso l’aspetto fisico, l’apparire,
come ci ha dimostrato l’episodio del premio Campiello. C’è sempre una forte, a
volte violenta, resistenza in alcuni uomini, ovviamente non in tutti, a
riconoscere che la donna è anche “altro”, altro rispetto al corpo, altro
rispetto alla maternità, altro rispetto al ruolo di moglie. C’è una difficoltà
a capire che esiste una molteplicità di ruoli che le donne possono giocare,
anche continuando a prendersi cura del proprio corpo». “Fogli
di Via”. luglio 2011