Wolf Bruno

i situazionisti. L'ultima internazionale di Gianfranco Marelli

Non mi è difficile immaginare che il precedente libro di Gianfranco Marelli sui situazionisti (L'amara vittoria del situazionismo, Biblioteca Franco Serantini, 1996) abbia potuto assolvere il compito che probabilmente si era prefisso: di fornire cioè un quadro storico attendibile a dei lettori i cui punti di riferimento in materia scarseggiavano. Mentre son convinto che questo lavoro, a modo suo accurato, possa continuare ad esser consigliato, il nuovo volume che Marelli ha pubblicato sull'argomento (L'ultima internazionale, Bollati Boringhieri, 2.000) mi ha irritato. Ho avuto la sensazione di rintracciarvi unicamente il tentativo dell'autore di precisare (o di correggere) i punti di vista che aveva a suo tempo espresso -cosa che, a mio parere poteva richiedere tutt'al più o un breve articolo -risparmiandomi la lettura di un centinaio di pagine inutili- o magari un tomo di ampiezza scoraggiante -così da poter credere, senza leggerlo, che i punti di vista vi fossero impressi come certezze.

Eppure sono convinto che chi ne avesse voglia (un po' faziosamente mi vengono in mente gli amici, e miei collezionisti, Sandro Ricaldone e Carlo Romano, ma quanto a voglia decisamente il primo) potrebbe accedere, forse con qualche difficoltà ma con profitto, a quei carteggi, o altri documenti rimasti privati, coi quali la vicenda situazionista avrebbe di che arricchirsi con le sfaccettature di cui il solito canovaccio ufficiale è privo. Il giustificato risentimento di un Simondo, e di altri come lui rimasti esclusi dall'Is, troverebbe nei documenti, ne sono sicuro, quelle spiegazioni che il confronto teorico (sul quale riserverebbero magari delle sorprese) non riesce a dare pienamente. Le stesse divergenze caratteriali, generalmente accettate in termini più che superficiali, si sarebbe indotti a riconoscerle in tutta la loro pesantezza come un esercizio pertinente allo scontro politico non meno che alla pura psicologia.

Ciò che si può dedurre dalla storia personale di un Maurice Wickaert è sintomatico. Poiché esitava a recidere completamente i rapporti con Van de Loo, un mercante d'arte giudicato particolarmente infido, il pittore, nel 1961, veniva espulso. A chi si fosse chiesto cosa c'era di riprovevole nel regolare la propria sopravvivenza, sia pure la propria autoaffermazione, con l'attività artistica, intreccacciando i rapporti che essa necessita, i situazionisti rispondevano che "nella condizione degli artisti c'è un'ambiguità che li sollecita ad integrarsi nella sfera di potere che gli viene riservata" -il che equivale a dire che la nicchia di ogni stagnino è il cesso. Vent'anni dopo Wickaert, in un cruccio autopunitivo che gli aveva palesemente amareggiato l'esistenza, rivelava di ritenere giusta la sentenza. Cosa viene in mente a me penso che venga in mente a tutti e non mi spingo oltre.

Pur tuttavia i documenti ci sono, anche se, chi li volesse studiare, dovrebbe ancora scontrarsi con le reticence e i pudori di ultrasessantenni (e ultra) intimamente segnati, ai quali l'interesse che si è sollevato intorno a una storia che li ha visti protagonisti in qualche ruolo, se li gratifica da una parte, dall'altra li rende ancor più prudenti.

Anche in mancanza di un approfondimento del genere, esistono dei percorsi che, almeno in parte, sono inesplorati e tali rimangono dopo l'ultima fatica di Marelli. Cito solo, al posto dei triti bozzetti che collocano sullo sfondo Fluxus o altre neoavanguardie, quanto potrebbe essere fecondo il confronto dei situazionisti (a cominciare dalle teorie urbanistiche) con la primissima Pop Art inglese (della quale, del resto, il situazionista Ralph Rumney era un po' epigono).