gente di Liguria

Da "A - rivista anarchica" preleviamo questo toccante e perfetto ritratto che Mauro Macario ha dedicato a Riccardo Mannerini, collaboratore dei New Trolls e di Fabrizio De André, autore di numerose poesie, marinaio frigorista, antimilitarista anarchico, diventato cieco e finito suicida nel 1980.

Mauro Macario

un poeta cieco di rabbia

In questa sera di pioggia disperso tra web, punto com, punto it, punto e basta, mi dico che il processo di dimenticanza del passato più recente e di tanti personaggi "outsider" finiti nei forni crematori dell'omertà accademica, è sterminio culturale, deragliamento umanistico sulla linea ferroviaria Madrid '36 - Seattle 2000 e che fra tanti "desaparecidos" devo salvare Mannerini perché disseppelirlo dal cimitero borghese che usa la fossa come discarica abusiva dei talenti sommersi, è un imperativo etico insopprimibile che dovrebbe rianimare il senso di giustizia per gli obliati in attesa di risorgere per interposta persona, attraverso il blitz di un antologista clandestino che censisce l'Unico in senso stirneriano, il "suicidato dalla società" come scrisse Artaud di Van Gogh e come scriviamo noi per Mannerini, poeta anarchico che si uccise a Genova nel 1980, all'età di 54 anni. Marinaio frigorista su pescherecci e mercantili, aveva viaggiato in quasi tutto il mondo ripercorrendo le latitudini, reali e immaginarie, di Rimbaud, evocando visioni sciamaniche in fondo a orizzonti schiumosi, rischiando la vita tra marosi violenti come a bordo del "bateau ivre" del fanciullo di Charleville. E come quel fanciullo era generoso e insolente, pietoso e intollerante, animoso e distaccato, fraterno e scontroso. E la vita la rischiò davvero in quel lontano '61 quando, dentro al ventre di una nave e al largo da ogni soccorso, una caldaia gli scoppiò in faccia procurandogli una cecità progressiva che, lungo il corso del tempo, sarebbe diventata definitiva. Quale scenario gli si rivelò da quel semibuio angosciante e inaccettabile lo si può capire leggendo l'opera poetica di questo autore ligure che non pubblicò mai in vita e che attende di essere (ri)scoperto soprattutto per quel mare (ora benevolo) di inediti lasciati e che, parte dei quali, la moglie Rita Serando stampò in un volume postumo dal titolo Poesie da cantare (Tolozzi editore). Le tematiche che affiorano più evidenti a una prima lettura sono quelle del ribellismo anarchico tipico di quegli anni di grande trasformazione ('60 - '70) di terra promessa, di afflato onirico individuale e collettivo, di movimento beat pacifista prima e di '68 poi. Eccolo dunque lanciare le sue invettive contro il militarismo, le guerre, le carestie, eccolo con le sue bestemmie al napalm contro gli armamenti nucleari, eccolo attaccare le figure istituzionali autoritarie, eccolo deridere sarcasticamente il carrierismo sfrenato, eccolo disgustarsi mentre rimescola nelle stantie e paludose convenzioni borghesi, eccolo erompere irato contro il capitalismo più selvaggio e vampirico. Le discussioni col marxista Tenco Tematiche che allora nascevano anche nell'ambito della canzone più colta quando, oltre la dimensione intimista, gettava il suo sguardo critico all'esterno cogliendo le istanze sociali più urgenti che andavano poi ad alimentare la creatività di uno storico gruppo di artisti. Era il gruppo della Foce. Non una scuola o una corrente, bensì degli amici che avevano in comune l'amore per il jazz e per la canzone francese, la voglia di rinnovamento e la passione della sperimentazione. Parliamo di Umberto Bindi, Gino Paoli, Bruno Lauzi, Luigi Tenco, Fabrizio De André come loro parlavano di Léo Ferré, Jacques Brel, Georges Brassens. Autori di riferimento e di inequivocabile ispirazione libertaria. Mannerini prese a frequentare il gruppo interscambiando gli interessi poetici-letterari con la musica e diventando così uno dei primi poeti italiani a intuire la fascinazione della parola pregiata abbinata al suono e alla voce che canta. Rita Serando ricorda le accese discussioni tra Tenco, marxista convinto, e suo marito, anarchico viscerale, come ricorda le ansie, le chiusure, gli improvvisi silenzi, le fobie di quel ragazzo piemontese, timido, solitario e introverso che amava con particolare predilezione lo scrittore Cesare Pavese. E ricorda bene che suo marito sconsigliò Tenco di andare a Sanremo, che quello non era l'ambiente per lui né per la canzone sociale. La sera, vedendolo cantare in televisione, gridò alla moglie: "Rita, vieni a vedere Luigi, sta diventando matto!". Più che cantare sembrava contorcersi. Dall'amicizia tra De André e Mannerini invece nacque un album dei New Trolls Senza orario senza bandiera (1968) diventato un vero cult tra gli storici e i collezionisti, poi sempre con Fabrizio collaborò a Tutti morimmo a stento (1969) con un brano straordinario, Cantico dei drogati. La fusione di quei due talenti poetici risultò estremamente positiva, purtroppo la loro amicizia, poco dopo, s'interruppe. Può darsi che Fabrizio vide in Mannerini un alter ego "maledetto" in cui trovare una complicità poeticamente cainesca molto più interessante di quella abeliana sempre indecisa tra cherubini e carabinieri, uno specchio liquido in cui tuffarsi per vedere cosa c'è là nel buio, nella corte dei miracoli delle rivendicazioni estreme e della pietà dimenticata e prendere per mano quell'altro se stesso, lontano dalle sue origini familiari, un De André rinato dal fango divino e sottoproletario dei vicoli dove nel tempo si sarebbe moltiplicato in quei personaggi reali e disperati, umiliati e derisi, cui avrebbe ridato dignità e diritto di cittadinanza con il miracolo della compassione o l'ironia ipersodica dell'angiporto. Una solidarietà che Mannerini conosceva bene e che Faber non mancò di sottolineare: "Ha avuto brutte storie con la giustizia perché era un autentico libertario, e così quando qualche ricercato bussava alla sua porta lui lo nascondeva in casa sua. E magari gli curava le ferite e gli estraeva i proiettili che aveva in corpo". Fuori dalla poesia di regime E' strano dire "poeta maledetto" a un compagno d'avventura sfortunato, a colui che è perseguitato dagli uomini e dagli Dei e sovente conclude tragicamente la propria vita. Mannerini, poeta "maledetto" osò togliersi dal solco della poesia di regime, quella indolore, ed essere poeta civile a differenza della maggior parte dei poeti che, trincerati dietro uno stile chiuso, si mimetizzano nel segno astratto, nel vuoto che diventa ingannevole contenuto, nell'aristocratico distacco dai problemi devastanti che attraversano il mondo. E cosa si può dare a un poeta "maledetto" se non un po' di fraternità? La fraternità è farsi da parte e portarlo, almeno una volta, in proscenio, sotto i riflettori della memoria sbiadita, la fraternità è trafugarne i versi e posarli sullo zerbino del terzo millennio come si fa con i bimbi che si abbandonano sulla soglia di una casa ignota, la fraternità è rifare la tomba come una barricata e lanciare bengala ex voto nella domenica delle salme, la fraternità è essere consapevoli di quanti gemelli mai nati o troppo presto uccisi ci ha privato la storia ufficiale di qualsiasi Stato. Ben tornato Mannerini, novello barone di Münchhausen a cavallo di una caldaia scoppiata nel mare interno della tua poesia.

"A - rivista anarchica", aprile 2001

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