Charles de Jacques

Mangone, Mansour, Péret

Si dovrà pur parlare di Carmine Mangone! Già, ma chi è costui? Francamente anche noi stessi ne sappiamo poco, ma non ci è sfuggita la dedizione che ha profuso nel portare in Italia diversi testi di area surrealista, e non dei più trascurabili, dal momento che innanzitutto ha tradotto materiali di Benjamin Péret, quindi di colui che a un certo momento è stato perfino indicato, per tanto che fosse mimetizzato, come l’agitatore principale del movimento. Ma anche di Péret, che cosa è rimasto in definitiva da noi se si esce da alcuni, pochi, circoli letterari ormai attempati e fuori gioco? Purtroppo anche il ragguardevole impegno di Mangone non supera il contesto delle pubblicazioni, per così dire, clandestine, vale dunque ancor più la pena di fornirne le tracce referenziali, che anzi, proprio l’essere “alla macchia” ne aumenta il fascino:

Benjamin Péret, Le ruggini ingabbiate, City Lights Italia, 1998;

Benjamin Péret, Sparate sempre prima di strisciare, Nautilus, Torino, 2001;

Benjamin Péret, Io non mangio di quel pane, Edizioni Bi-Elle, Firenze, 2002.

E questo per quel che riguarda Péret.

Gli editori dei primi due volumetti in realtà un minimo di visibilità ce l’hanno. Il primo se non altro in forza del nome ferlinghettiano e dell’imprimatur che, ci sembra di non sbagliare, proprio Lawrence Ferlinghetti gli concesse anni fa. Il secondo per una produzione limitata  e dunque opportunamente selettiva nell’ambito delle pubblicazioni radicali. Il terzo, invece, lo paventiamo noto soltanto a pochissimi e ristretti ambienti legati alla sottocultura del comunismo “di sinistra”, in specie quella trotzchista. Il nome Bi-Elle, infatti, può trarre in inganno poiché nei fatti, il volume (in realtà un quaderno pinzato) è il n.36 dei “Quaderni Pietro Tresso” pubblicati dal Centro Studi intitolato al militante che, espulso dal Partito comunista, trovò la morte per mano di sicari stalinisti (plausibilmente da qualcuno - si fanno i nomi di due emigrati italiani - degli stessi partigiani che pure l’avevano liberato dalle carceri della Francia di Vichy). Quel che conta è tuttavia che il volume curato da Mangone è la traduzione di una raccolta pubblicata da Péret nel gennaio 1936 presso la tipografia Impressions diverses che raccoglie svariati testi che vanno dal 1926 al 1935. Ciò non toglie che fra i suddetti quaderni si possano scovare altre piccole (grandi) rarità come l’ Intervista a Lev Trotsky di Georges Simenon (concessa il 7 giugno del 1933), un romanzo di Panait Istrati o i Ricordi su Karl Korsh di Hedda Korsh. Inoltre, facendo ammenda per la nostra ignoranza, proprio sul quaderno curato da Mangone abbiamo preso atto dell’esistenza di una quasi omologa casa editrice francese (editions Sylepse) che ha pubblicato diversi volumi di interesse surrealista: Péret, senz’altro, ma anche il pamphlet di Jean Malaquis su Aragon (del 1947) e le raccolte poetiche di due surrealisti rimasti sullo sfondo ma non per questo insignificanti come André Laurent e l’australiana Mary Low.

Da ultimo, Carmine Mangone ci ha proposto – questa volta di nuovo attraverso le citate edizioni Nautilus - una piccola antologia, Fiorita come la lussuria, di Joyce Mansour (1928-1986), la poetessa nata in Inghilterra ma di origine egiziana che, a Parigi dal 1953, venne salutata “musa” dai surrealisti (fra l’altro spesso era lei ad accompagnare, negli ultimi anni, Breton al Café) e la sua poesia accolta da “Medium” come  quella fatta da “un coro di baccanti”. E quest’ultima proposta di Mangone è tanto più interessante quanto più in Italia la Mansour è poco e niente avvicinata.

Vogliamo ora concludere ricordando che il salernitano residente a Firenze Carmine Mangone (nato nel 1967) fa circolare numerosi altri testi attraverso Internet (il suo sito, ab imis, lo si può agevolmente aprire dalla nostra pagina dei “collegamenti”), si dedica a una vivace attività performativa ed è poeta in proprio. Della bontà della sua poesia noi abbiamo preso atto, per adesso, soltanto attraverso Incastrato tra fuoco e lacrime, pubblicato dalla City Light Italia nel 1998. Si tratta di versi essenziali che hanno, di primo acchito, tratti di paradossale quanto poco evidente comicità uniti a trame di autobiografismo che riscattano l’avvilimento con a volte l’insolenza e altre il lirismo.