Alla vigilia delle elezioni italiane del 20 giugno 1976 che avrebbero determinato la sorprendente avanzata di un Partito comunista desideroso di mettere in atto la strategia berlingueriana del “compromesso storico” e dell'“austerità”, un gruppo di note e prestigiose figure di varia provenienza e tradizione culturale pubblicò un “Manifesto per la Libertà” che il 30 maggio fu commentato in prima pagina nel modo qui riportato da un quotidiano ancora agli esordi, “la Repubblica”, che su quell'avanzata, e in una sorta di collateralismo, costruì molte delle sue non poche fortune. Immediatamente, “per la verità e contro le speculazioni sui morti”, Nicola Matteucci, uno dei firmatari, recapitava al giornale una lettera alla quale accludeva la copia di un'altra che a suo tempo aveva ricevuto dallo stesso Mario Pannunzio che l'anonimo articolista evocava per corroborare le sue più sprezzanti che ironiche intenzioni. Vi si poteva leggere: “Avrà notato in questi ultimi tempi, l'aria di disimpegno e di evasione di tanti uomini fino a ieri protagonisti della vita politica e morale, la fuga verso il comunismo, la rassegnazione, l'opportunismo...” Rispose, sentendosi palesemente depositario unico del lascito Pannunziano, E.S.(Eugenio Scalfari) ribadendo quanto scritto dal giornale con ancora maggior enfasi, qualificando “le sciocchezze” con l'aggettivo “malinconiche”.Un altro dei firmatari, Achille Albonetti, pubblicò pochi mesi dopo l’istruttiva raccolta delle reazioni a stampa seguite alla pubblicazione (Un Manifesto per la Libertà. Cronaca ed echi di un'iniziativa controcorrente, Fratelli Lega editori, Faenza 1976). Il libro godette di una “seconda edizione ampliata”.
(…)
il Partito dei
Cinquanta
Un gruppo di intellettuali di varia estrazione, provenienza e (per quanto è dato capire destinazione ha diramato un lungo comunicato contenente una dichiarazione di intenzioni. Si tratta di intenzioni anticomuniste, dirette a convincere gli elettori a votare in qualunque modo fuorché in favore del PCI. Intenzioni quindi perfettamente legittime in un paese dove la libertà di espressione è tutelata da una precisa norma costituzionale.
Ciò premesso, adempiamo volentieri all'obbligo di cronaca di riferire con le parole dei firmatari le considerazioni che li ispirano. “Nessuno può smentire – recita il documento – che nel suo costante operare nella vita politica italiana il PCI propone, e dove ha raggiunto l'egemonia attua, una unità che subordina all'indirizzo del partito ogni reale diversità di tendenze. Non ad uno solo dei mali da cui oggi è travagliata la compagine sociale e politica del nostro Paese, il PCI può dirsi estraneo. Il PCI ha sistematicamente violato le leggi, in particolare quelle estinate a render possibile la collaborazione sociale e civile ed ha dato il suo sostegno alla formazione di poteri illegali ed irresponsabili e al trasferimento a organi di parte, si chiamino comitati antifascisti o servizi d'ordine sindacale, di quelle prerogative di difesa della legge che lo Stato non sembra in grado di attuare”.
A conclusione di questa prosa, i firmatari affermano la volontà di correggere le incertezze che hanno gettato un'ombra sul prestigio del sistema democratico. E così, finalmente, si placa il loro fervore elettorale.
Hanno
firmato un testo di questo genere personaggi come Leone Cattani, Aldo Garosci,
Rosario Romeo, Renzo De Felice, Domenico Bartoli, Luigi Barzini, Nicola
Abbagnano, Nicola Matteucci, Giovanni Sartori, Manlio Brosio, Manlio Lupinacci:
in tutto 50. Molti di loro sono ex collaboratori de “Il Mondo” di
Pannunzio. Il quale, se fosse ancora vivo ed avesse il suo giornale di allora,
avrebbe pubblicato il tutto nella rubrica “sciocchezzaio”.
Purtroppo a volte si invecchia assai male.