Testo integrale dell'opuscolo di les Egaux, supplemento Masses, , n.7 del febbraio
1947, comprendente oltre al testo di J. Malaquais
(1908-1998) alcune poesie di Aragon e una macchia
di sangue intellettuale, brano critico di
Paul Eluard del 1934 su Aragon:
“L'incoerenza diventa calcolo, l'abilità diventa intrigo, Aragon
diventa qualcun altro e il suo ricordo non può più aggrapparsi a me”. Jean Malaquais (Wladimir Jan Pavel Malacki Malacki, 1908-1998) polacco
di nascita e apolide scrisse in francese e, con prefazione di Norman Mailer,
pubblicò un’opera distopica alla maniera di Orwell tradotta in italiano per le
edizioni Cliquot come La città senza cielo nel
2019 (ma in forma incompleta era già stata tradotta nel 1958)
Jean Malaquais
Louis Aragon o il patriota
professionista
È triste che spesso,
per essere un buon patriota, si sia nemici del resto degli uomini. (Voltaire)
Il sapore del frutto
amaro chiamato "patriota" - che sia di qui, di là o di altrove - mi
fa venire la gengivite. Un frutto amaro e verde che professa di amare il 'suo'
Paese, e di conseguenza non ama il tuo. Un frutto acre e verde e "striminzito" che il nostro tempo secerne come
la "lumaca la sua bava", ma la cui morfologia non deve nulla a quella
di Giovanna d'Arco, Bolivar o altri macchiavellici.
Non riesco a pensare a una miscela più singolare di ringhi, "ghiandola lachimica" e "costipazione
cronica" di questa signora che si sente a suo agio quando i colori del
"suo" Paese vengono issati su un manico di scopa, o di questo signore
che soffoca di emozione quando viene battuto il tamburo del "suo"
reggimento. Una strana "chimica corrosiva" che reagisce come un acido
quando non si ha un'alta considerazione del valore dei propri sottufficiali,
dell'eccellenza delle proprie virtù domestiche, della superiorità della propria
gomma da masticare. La psicologia di un tacchino che vede rosa in cima al suo
mucchio di sterco, che vede rosso se il tacchino vicino lo becca.
La psicologia di un
tacchino che fa le capriole e soffia nel vento. Ma almeno è onesto. Poiché il
dio dei tacchini gli ha dato un bargiglio, è naturale che gli dia del filo da
torcere. Fedele alla sua forma, risponde chiocciando non appena l'eroico
sonaglio viene scosso. Moldavo, si arrabbia se il suo nome è preceduto da
quello del Batave in un comunicato stampa; un Batave, ne sarebbe orgoglioso. Si
gonfia e si espande alle lusinghe: quando si applaude il suo piumaggio, i suoi
speroni, la sua cacca; e diventa rosso se non si applaude abbastanza forte, a
suo piacimento. Ha tutte le cattive abitudini di "inumidire" i suoi
discorsi con vibranti tremolii, di ammirare le statue equestri, di preferire le
poesie pompose. Notevolmente permeabile alla messa in scena e alla fanfara
ufficiale, partecipa a tutte le sfilate, agli schiaffi generosi e ai cappellini
di approvazione. Ma nulla lo commuove come il numero di bombardieri della
"nostra" aviazione, la stazza della "nostra" marina, i
bottoni dei pantaloni della "nostra" fanteria. Non che gli siano
indifferenti i formaggi del "nostro" Paese, i fianchi delle
"nostre" ragazze nane, qualsiasi cosa a cui si possa associare l'aggettivo
possessivo "nostro" apre le sue cateratte patriottiche, perché è un
cittadino di cui è facile essere orgogliosi, ma almeno è onesto. Non molto
intelligente, ma onesto. Patriota per forza di cose, per forza di cataclismi,
crede sinceramente - nella misura in cui ci crede - che il "suo" Paese
abbia inventato o contribuito a inventare la maggior parte delle cose di cui
parlano le enciclopedie, dall'amore romantico al filo per tagliare il burro.
Assorbe i luoghi comuni e le banalità del gergo patriottico come una medicina,
rendendoli meno eloquenti ma più voluminosi, e sebbene non sia sempre d'accordo
con le leggi del "suo" Paese, con la strategia dei suoi generali,
diventa blu se il patriota dall'altra parte osa criticare. È favorevole a
"lavare i panni sporchi in famiglia", perché ovviamente crede nella
famiglia nazionale. Tuttavia, poiché la loro etica non si basa su una dottrina
ma su un complesso, non su un'ideologia ma su un fascio di sentimenti, i
patrioti moldavi e battovani non sono affatto
professionisti del patriottismo, ma al contrario ne sono le tristi vittime.
Il patriota
professionista, invece, è di carnagione molto diversa. Non ha la beata certezza
del tacchino, né il suo compiacimento. Anche se gracchia forte e chiaro, anche
se non disprezza nessuna nota della misera gamma oratoria dei demagoghi da
circo, non soffre di ostruzione intestinale: sa di vendere un prodotto e
conosce il prezzo giusto. Uno è relativamente vecchio, risale alle guerre di
liberazione nazionale del secolo scorso, combina e declina indistintamente
patria-patria e muore di asfissia; l'altro, prodotto del passato, trae i suoi
accenti dalla decadenza dell'idea nazionale... ci mette sopra stile e ghirlanda
- e non ne muore. Come il mangiapreti che in vecchiaia si trasforma in un
pilastro della sacrestia, o il giovane anarchico che sposandosi diventa un
piccolo borghese modello, il professionista inizialmente non aveva altro che
disgusto per ciò che avrebbe poi masticato con avidi bocconi La somiglianza,
tuttavia, è solo apparente. L'ex ateo, il giovane ribelle, l'anticonformista in
una parola che finisce per entrare nel grande anno degli yes-men,
soccombe al peso implacabile della coercizione sociale; ha subito una sorta di
evoluzione inversa e si è liquefatto sotto la morsa dissolvente delle norme
borghesi. D'altra parte, lo specialista della patria, almeno quello la figura
di cui intendo tratteggiare in queste righe, è, di regola, quasi assoluto – un
disertore cosciente e organizzato. Ma che cosa Ciò che lo differenzia davvero
dal patriota belante è che gli amori di Questi sono ancorati al suo suolo
natio, inseparabili in qualche modo. secondo il suo certificato di nascita,
giura che la Moldavia – se Moldavo, Batavia — se batavo, mentre questo,
qualunque sia il suo madrelingua, professa solo un ruolo esclusivo passione:
quella della Russia sotto Stalin. Questo patriota di mestiere è, naturalmente,
di fatto, un apolide. E, stranamente, tra i milioni degli apolidi oggi, è
l'unico fenomeno che paga fedeltà al più mostruoso dei totalitarismi.
Il prototipo del
patriota professionista apolide, colui che ha raggiunto una sorta di grandezza
nel maneggiare l'acquasantiera staliniana, è Louis Aragon,
poeta per grazia degli dei, clarinettista per grazia di San Giuseppe: Louis Aragon, ex dadaista, ex surrealista, autore di "Le con
d'Irène", "Le Paysan
de Paris", "Le Traité du
Style", ex se stesso; Louis Aragon che ha
scritto : Louis Aragon, che scrisse: "Mi sia
permesso qui, a casa mia, in questo libro, di dire all'esercito francese che lo
disprezzo", (cito a memoria) - che scriveva così quando aveva genio: Louis
Aragon che, come il bardo di turno in Uzbekistan,
esclamava: "Urrà Ural! " - Louis Aragon
che, più cocardiano del compianto Déroulède,
grida con la voce dei galli: "... Mai spento, rinasce dalle sue braci,
perpetuo marchio di fuoco della patria" - che canta così quando, in
termini di genio, gli restano pochi mattoni.
Ma forse sono ingiusto.
Forse, abbandonandomi al franco disgusto che la professione del patriota
apolide mi ispira, sono troppo felice di appesantire l'uomo chiamato Louis Aragon - di appesantirlo al punto da negargli un briciolo
di vera emozione. Forse, a costo del mio disgusto, ha conquistato altri
aderenti, più degni, più disinteressati dei miei. Forse l'effetto vomitevole
che la sua morale, la sua prosa e la sua rima hanno su chi crede ancora nella
dignità dell'uomo, nell'imprescrittibilità della vita, che non si ingozza di
odio o pensa che il massacro genera massacro, forse questo effetto non è un
giusto metro per guardare dall'alto in basso il nostro professionista - Forse
davvero? Perché, finalmente, viene osannato, acclamato e gustato come miele dal
torrone del nanan proprio da coloro che lo
vituperavano quando la sua arte - allora autentica - li castigava in faccia. Ma
è anche per loro che lavora, che suda: "...Ah! parlami d'amore onde
piccole"; per questa clientela che disprezza mentre cinguetta sotto le sue
finestre, e che gliela restituisce bene mentre lo seppellisce sotto le lodi;
questa clientela che ha l'ordine di sedurre e di cui lusinga i bassi istinti -
come è giusto che sia per chi passa nel campo nemico e vuole farci un piatto.
E non ditemi che mi sto
ancora una volta arrendendo al mio mal di cuore. Su La Nouvelle Relève, rivista cattolica e benpensante del prudente Canada,
M. Marcel Raymond scriveva (Vol. III, n. 6, agosto-settembre 1944): "In
Canada, chiunque, qualche anno fa, avesse tentato di parlare bene di libri come
"Les Cloches de Bâle", "Le Mouvement perpétuel", "Anicet",
o di attribuire all'arte l'oscenità di "Paramètres",
si sarebbe visto puntare il dito contro. Bastava che questo poeta parlasse
della Francia, con la mano sul cuore, evocasse Dunkerque o "juin poignardé", perché
tutto fosse perdonato del suo passato inquietante. Viene pronunciato nei
salotti; i suoi versi vengono letti alla radio, con ogni sorta di
accompagnamento serafico"; viene citato a colazione mentre si affonda il
coltello fino all'osso nel barattolo di marmellata inglese". Il fatto che
tutti coloro che non hanno mai sentito parlare di poesia e che hanno sempre
considerato i 'veggenti' dei mascalzoni, dei burloni o degli illuminati, ora si
accaparrino Aragon e ne facciano la loro star, è
sufficiente a far saltare i nervi al critico più pacato". La vendetta
borghese contro la poesia. Che il simbolo del disordine diventi il simbolo
dell'ordine e il vessillo del nazionalismo più gretto quello che vuole scuotere
completamente il passato, ha qualcosa di inquietante... "Il loro
soffocamento di gioia (quello della borghesia) e i loro borborigmi di
ammirazione, il più delle volte, peggiori, ostacolano il piacere
dell'ammiratore volenteroso. Sente fino a che punto la poesia è sempre stata
più avanti del pubblico e come Aragon possa farle un torto riportandola in riga".
Ma sarebbe un errore
pensare che Aragon si accontentasse di dettare il
passo alla sola poesia. Gli amori di questo patriota sono così esclusivi, le
sue gelosie così complete, che intende mettere la museruola alla sua amata
dall'alto, e dal basso intende metterle una cintura di castità. Perché, pur
facendo rima :
Si può condannare un poeta al silenzio
e fare di un uccello dell'aria uno schiavo di una galea
Ma negargli il diritto di amare la Francia
Dovresti sapere che non c'è nulla che tu possa fare.
Chiede le galere e
dodici pallottole nel ventre per chiunque osi non aprire la bocca con lui, non
scoprirsi alla parola Francia, scusate, volevo dire alla parola URSS.
"C'è una poesia
della bassezza", scriveva Louis Aragon,
guardandosi allo specchio, a proposito delle "Pages
de Journal" di André Gide (1939-1942); e, nello stesso testo, che in
quanto a bassezza è il suo capolavoro, aggiunge: "So che non mancherà chi
dirà che è davvero un po' troppo evidente dove prendo il dente che tengo per
lui".
- Ebbene, grazie a Dio
no, non mancheranno. Troppe persone sanno che Aragon
era solito svenire a ogni virgola che usciva dalla penna di Gide quando Gide
pensava all'U.R.S.S. ciò che Aragon riteneva
obbligatorio, e che non si è stancato di chiedere la pelle di Gide da quando
Gide ha osato pensare che nell'U.R.S.S. non ci fosse più niente da fare. Troppe
persone conoscono i nobili sentimenti che stanno dietro alle veementi proteste
di Aragon contro il ritorno di Gide "tra noi che
guardiamo ancora i vuoti insanguinati accanto a noi" - troppe, troppe
persone. Ma se qualche ingenuo non lo sapesse, Aragon
stesso si prenderebbe la briga di compatirlo per le ferite del suo cuore:
questo dente, piccolo ingenuo, lo conservo per i suoi due libri sul suo viaggio
nella terra della mia fiamma. Questo peccato mortale - Aragon
non dormirà sonni tranquilli, Giovanna d'Arco non smetterà di annusare le sue
lacrime - finché Gide non lo espierà con il suo sangue. I "vuoti
sanguinosi" che il patriota professionista contempla al suo fianco non
possono essere riempiti; manca il corpo del grande vecchio per foderare la
tomba. Aragona non tardò a supplire a questa mancanza, al cadavere che mancava
nel suo quadro. Portato sulle ali del suo sacro amor di patria, si lascia
scendere librandosi sulle "Pages de
Journal", e orrore! Scopre innanzitutto che dalla fine del 1940 l'autore
de "L'Immoraliste" mostra un grande interesse per la lingua tedesca,
più precisamente per Goethe, come se, annota Louis Aragon,
"di fronte al successo delle armi tedesche, fosse un vero dovere leggere
il "Faust"".
Il vero dovere sarebbe
stato, inutile dirlo, immergersi in una "Vita di Suvaroff"
illustrata il più possibile, e non riuscendo a comporre terzine in cui Bayard facesse rima con "gaillard"
(ah! se Gide avesse avuto il genio lirico di Aragon!)
almeno tentare qualche riflessione sull'insondabile perversione del popolo
tedesco. Goethe in testa. Tuttavia, l'orrore del patriota apolide sfiora
l'incubo quando Gide - e sappiamo se pensa davvero quello che dice - scrive che
più di un contadino accetterebbe "che Cartesio o Watteau
fossero tedeschi o non lo fossero mai stati, se questo gli facesse vendere il
grano per qualche centesimo in più". Del resto, nessuno ignora che normanni,
piccardi e lorenesi si sono fatti la guerra per un secolo in nome di Watteau, di cui tutti avevano letto il "Discours", e in nome di Cartesio, di cui tutti avevano
ammirato le "fêtes champêtres".
Aragon era ancora più indignato perché sapeva che in un Paese
educato, libero e socialista, l'inchiostro sarebbe colato come l'acqua dalla
penna di qualsiasi scrittore che avesse osato dire a un kalmyk
o a un cosacco che non gliene poteva fregare di meno se Puškin
fosse russo o cubano. Ma quando, il 14 luglio, Gide annotò: "Il sentimento
patriottico non è più costante degli altri nostri amori...". Aragon, il cui patriottismo avrebbe avuto tutta la costanza
implicita in un'istruzione politica, Aragon salì
semplicemente sul suo cavallo di battaglia e cominciò a gridare: "Morte ai
traditori!". "À mort!" è sempre stato
il grido preferito del nostro personaggio. Anche all'apice della sua
giovinezza, portava con sé un sentore di necrofilia. L'ombra del patibolo
incombeva sulla sua tortuosa carriera, ed era alla sua ombra che amava sognare.
Ho sentito dire che un suo parente acquisito - un piccolo agente provocatore al
servizio dell'U.P.G. che non ebbe fortuna - essendo stato giustiziato in
Russia, fu visto sfregarsi le mani e dire: "ben fatto! Nessuno gridò più
forte di lui durante le tragiche giornate del maggio 1937 a Barcellona; nessuno
fu più bravo a denunciare alla polizia i militanti antistalinisti spagnoli
rifugiatisi in Francia. Oggi ha bisogno della vita di André Gide! Ma chi non
conosce quell'uomo? Chi non ha la nausea guardando l'abisso in cui Louis Aragon è costantemente caduto a testa in giù? Chi non lo ha
visto, ieri antimilitarista, oggi con la pancia gonfia sotto le decorazioni?
Ieri istericamente internazionalista, oggi xenofobo fino in fondo? C'è forse un
numero da giocoliere o da circo che non abbia eseguito? Lo abbiamo visto
ballare il cosatchok con l'accompagnamento della
Marsigliese, ubriacarsi di vodka e gridare vive le pinard.
Ha applaudito i processi di Mosca e chiesto giustizia, ha lodato la "democrazia
sovietica" e disprezzato il "fascismo nostrano"; si è irritato
di fronte al nome stesso della Chiesa e lo si è visto fare pressioni sul
cardinale Verdier affinché intervenisse presso Franco
- per sospendere il bombardamento di Madrid perché era Natale (1936); Lo
abbiamo visto invitare a mettere in difficoltà i pacifisti e lo abbiamo visto -
unico tra i piumati - avere il coraggio di proclamare sul suo giornale russo
(Ce Soir, 24 agosto 1939) che il patto Stalin-Hitler
significava una pace certa e sicura, mentre la Francia - quella puttana
imperialista - sognava solo ferite e colpi. (Colti di sorpresa e senza
istruzioni, Cachin e il defunto Péri
non sapevano su quali natiche sedersi, e "Humanité" dello stesso giorno non disse una parola). Ed
eccolo qui, drappeggiato in bicolore e a cavallo dell'Arco di Trionfo, a
torturare la Francia e il silenzio con falsi alessandrini e false rime,
invocando ancora una volta la forca per chiunque non salti la sua corda - la
corda su cui lui e la sua degna controparte, l'uomo chiamato Ilya Ehrenbourg, giocano a fare i
macabri funamboli.
Ha calpestato tutto,
compresa la sua stessa ombra, ha "sporcato" tutto con i suoi primi
amori, ha "inquinato" tutto con i suoi ultimi "escrementi".
Il patriota belante, il cui orecchio e il cui "fegato" prosperano con
la cacca di Aragona, non dovrebbe essere timido; la troverà nella pattumiera in
fondo alle mie scale, e potrà raccoglierla lì.
E ora vado a lavarmi le
mani e a sciacquarmi la bocca.