Con Maggie Smith scompare la incontenibile Lady Violet,
contessa vedova di Grantham, nella serie di
culto Downton Abbey, che rende nel modo giusto alti e bassi di grandi aristocratici
britannici del primo ‘900. Come resistere alle sue battute sferzanti, che
esasperano i fautori del politicamente corretto, al suo snobismo senza
complessi e ai suoi inattesi slanci? Lady Violet
incanta milioni di adepti, ora uniti nel lutto con altrettanti orfani della
professoressa e vicepreside McGonagall (McGranitt in Italia – NdT), altro
personaggio adorato dai fan della saga di Harry
Potter. Anche questa premurosa insegnante, alla testa della casa Gryffondor (Grifondoro in
Italia -NdT), che protegge gli allievi con le unghie
e coi denti, segna generazioni di bambini e giovani adulti, eclissando
precedenti decenni di esemplare carriera nel cinema. (Adélaïde de Clermont-Tonnerre, direttrice di “Point de Vue”)
François Billaut
Maggie
Smith (1934-2024)
“È ridicolo. Prima di Downton
Abbey la mia vita era perfettamente normale: andavo a teatro,
nelle gallerie d’arte, cose così, da sola. Ora non posso più…”. Ottuagenaria,
Maggie Smith pativa l’improvvisa notorietà planetaria. Talora ne era
infastidita. Ma con la serie-tv britannica, diffusa in più di 150 Paesi, dove
appariva nel ruolo di una vedova, era diventata popolarissima. Un ruolo di
composizione – o no, come lei confidava al quotidiano The Guardian – nel quale aveva brillato: “Gli
imbecilli esasperano me e io esaspero loro, allora mi irrito. Perciò
interpreto abbastanza vecchie signore irascibili“. Soprattutto
trova che – con 2 Oscar, 3 Golden Globe, 4 Emmy
Awards, 1 Tony Award e 7 Bafta – ormai il suo talento
è riconosciuto. E che il suo ego è saturo.
Irresistibile
e maliziosa
Per il pubblico, Maggie Smith era innanzitutto uno sguardo
azzurro-lavanda. Fin troppo grandi gli occhi espressivi, specchio della sua
recitazione, che lei sapeva, di volta in volta, rendere tenera o crudele,
inquieta, incredula, affascinante, talora languida, sempre
irresistibilmente maliziosa. Una superdotata della commedia, credibile
tanto come lady Violet Crawley, ieratica e impettita, in Downton
Abbey, quanto nei panni di Miss Shepherd, la
senzatetto di The Lady in the Van (2015). Il regista
Nicholas Hytner, che l’ha diretta in questa
commedia drammatica, è stato soggiogato dalla sua interpretazione, dalla sua
professionalità: “Maggie Smith capta in un attimo più di quanto vari attori
comunichino in tutto un film. Può essere insieme vulnerabile, feroce, cupe e
ilare e ogni giorno porta sul palcoscenico l’energia e la curiosità di un
giovane attore agli esordi”.
Italia anni
’30: Oscar n. 1
Ma il suo reale debutto era stato nel 1952 alla Oxford Playhouse, nella parte di Viola nella Dodicesima notte:un’attrice
shakespeariana, l’élite degli artisti drammatici britannici, stava
per cambiare strada: “Adoro la commedia. Un momento di recitazione, che
può far divertire la gente, è meraviglioso”. Nata Margaret Natalie Smith
il 28 dicembre 1934 a Ilford, nella contea dell’Essex, è cresciuta a Oxford, dove i genitori, un medico e
una segretaria, si sono stabiliti quando lei aveva 4 anni. Già nel 1956 varca
l’Atlantico e recita a Broadway. Col film Senza domani di Seth
Holt e Basil Dearden sta
per avere la prima di 157 nominations nella
sua carriera. Riceverà 58 premi, tra i quali il primo Oscar come miglior
attrice – è un’insegnante di Edimburgo che, negli anni ’30, ama l’Italia – per La
strana voglia di Jean di Ronald Neame
(1969).
Con Robert Stephens
Da due anni Maggie Smith è moglie dell’attore Robert Stephens
e hanno due figli, Chris Larkin e Toby
Stephens, che diverranno a loro volta attori. Il
suo secondo Oscar, stavolta come comprimaria, lo ottiene nel 1978 con California
Suite di Herbert Ross. Però, al cinema, è
anche l’irresistibile e molto snob Dora Charleston, maritata a David Niven, in Invito a cena con delitto di
Robert Moore; Miss Bartlett, l’anziana signorina
nevrotica di Camera con vista di James Ivory; la cinica e
gelida lady Constance di Gosford Park di Robert Altman…
Per un pubblico più giovane, l’attrice con mantello nero, cappello
appuntito e bacchetta di “pino e ventricolo di drago”, cioè Minerva Mc Gonagatt (McGranitt in Italia, NdT), potente strega e professoressa di metamorfosi nella
scuola di Hogwarth. Una degli angeli custodi di Harry
Potter che lei difende, tra gli altri, dalla sorniona e cattiva Dolores Umbridge, alias l’attrice Imelda Staunton,
che di Maggie Smith dice: “Fatele dire ‘Buongiorno’ e sarà
divertente. Qualsiasi cosa dica ha il tono giusto”.
Vita da
vedova
Il primo decennio 2000 non è però il più divertente per
l’artista. E’ vedova dal 1998 del secondo marito, il
drammaturgo Beverley Cross: “Pare talora un po’ vano
procedere senza qualcuno vicino…” E lei si batte contro un cancro al seno.
Durante tre delle lavorazioni di Harry Potter , a causa della
chemioterapia, porta la parrucca: “Ero calva come un uovo!”. Inoltre non le
piace il lato mangiatempo della serie di film, come
anche della serie tv di Downton Abbey,
che lei inanella dal 2010 al 2015: “Non mi pareva di recitare sul serio. Avrei
voluto dedicarmi di più al teatro, che preferivo, e credo di averlo
sacrificato”.
Eppure Maggie Smith torna al palcoscenico, come nel 2002, al teatro Royal Haymarket, per trionfare
accanto a Judi Dench
in The Breath of Life di Sir
David Hare. Dieci anni dopo Dustin Hoffman la
dirige nel film Quartet, tratto dalla commedia di Ronald Harwood su una residenza per vecchi attori.
L’Ordine
dell’Impero
L’attrice rivede Judi Dench
nel 2018, con Eileen Atkins e Joan Plowright, non per un film, ma per il
documentario-omaggio Tea with the Dames.
E “Dames” sono davvero tutte
e quattro. Decorata con l’Ordine dell’Impero Britannico dal 1970, nel 1990
Maggie Smith diviene “Dama comandante” in occasione degli “Onori del nuovo
anno”. E, consacrazione suprema, nella ricorrenza degli “Onori della regina”
del 2014 raggiunge il molto selettivo Ordine dei compagni d’onore – mai più di di 65 membri e sotto il magistero diretto di Sua Maestà –
per “servizi resi all’arte drammatica”. Niente di speciale, tuttavia, da far
montare la testa all’inenarrabile Dame Maggie: “Mi sono lasciata coinvolgere
nell’umorismo. Shakespeare non era per me […] Sognavo però di essere un’attrice
seria, ma questo non è mai accaduto davvero…”
Mai senza
palcoscenico
Fino all’ultimo Maggie Smith ha avuto una sola paura: abbandonare il
palcoscenico: “C’è come un filo invisibile fra attore e pubblico e,
quando c’è, non c’è nulla di paragonabile”. Aveva visto troppo da vicino
la morte per non pensarci: “C’è qualcosa laggiù. Come gran parte della gente,
ci credo di più quando le cose si aggravano…” E non era una
battuta di lady Violet in Downton Abbey!
“Point de Vue” n. 3972 e Barbadillo.it