Carlo Luigi
Lagomarsino
McLuhan X
Douglas Coupland: MARSHALL McLUHAN. isbn 2011 | Frédéric Martel: MAINSTREAM. Feltrinelli 2010
Marshall McLuhan non ci teneva ad essere considerato
il profeta dei nuovi media come sarebbe stato indicato dopo la pubblicazione de
La Galassia Gutenberg e de Gli Strumenti del Comunicare, grazie
anche all'aiuto di un articolo di Tom Wolfe, ma vi si adattò. Le tesi di
McLuhan rilevavano come i caratteri a stampa avessero fatto tramontare la
civiltà orale che l'uomo condivideva fin dalle origini tribali ma che a queste
sarebbe ritornato attraverso i nuovi media elettronici. La definizione di
"villaggio globale" sembrava il vaticinio di un guru e come tale fu
adottata da una controcultura che anche di guru si nutriva. La piuttosto
elementare biografia che dello studioso canadese propone Douglas Coupland non
ha altro scopo che quello di insistere sulla sua riluttanza ad accettare un
ruolo nel quale non si riconosceva, se non nelle vesti di un critico stretto
alla concezione reazionaria propria di un cattolico nato in una famiglia protestante.
In nove risibili punti riportati alla pagina 118 dell'edizione italiana
Coupeland pretende di riassumere il perché McLuhan fosse divenuto quel profeta
che non voleva essere. A figurare come "profeta" ci deve tenere
invece Coupeland stesso, tanto da essere indicato in copertina come
"profeta dell'Internet generation", per non dire delle indecifrabili
generazioni "A" e "X" alle quali ha dedicato quelle dubbie
opere che l'hanno portato al successo editoriale.
In tema di "media" è assai più interessante,
e “McLuahaniana” in chiave marketing, l’ampia inchiesta giornalistica, durata
anni, che ha portato Frédéric Martel in
ben trenta paesi, nei quali ha raccolto informazioni e interviste. Il libro,
ancorché vada a capitare fra temi musicali e informatici, è principalmente
orientato sulle produzioni cinematografiche e televisive, da Walt Disney alla
Cina del Kung Fu, dalle telenovela a Al Jazeera, da Bollywood a Hollywood.
Proprio di quest’ultima chiarisce cosa siano in realtà gli studios indipendenti
e fa una mirabile sintesi dell’evoluzione delle sale cinematografiche,
dall’acquisizione del banco vendita di dolciumi e pop-corn alla
decentralizzazione dovuta alle multi-sala nei centri commerciali, con
conseguente ricaduta sulle vecchie main street dove erano una volta collocate.
Si tratta di tematiche soggette a rapide trasformazioni, ma il libro non è di
quelli destinati ad invecchiare con l’invecchiamento dei suoi soggetti. Viene
in mente un’altra vecchia inchiesta giornalistica, in Italia pubblicata da Einaudi,
quella di Vance Packard su I Persuasori
Occulti, che ha mantenuto freschezza ben oltre gli anni della sua presa
di attualità. Viene in mente anche il No Logo (Baldini&Castoldi) di Naomi
Klein, efficace e godibile forse più oggi di quando, una decina di anni fa,
veniva spacciato come una varietà di teoria del dissenso.