Carlo Romano

Lupin, 100

A detta di Baudelaire, il dandy non sa che farsene del denaro ma si accontenta di un credito illimitato. La difficoltà di ottenerlo è nota quanto la possibilità di incontrare chi sia disposto a concederlo è sconosciuta. Per tale banale ragione il dandismo correttamente inteso è un aspetto assai raro nella vita degli uomini, a meno di non indicarlo in fenomeni superficiali di telegenica stravaganza e di asserita ma discutibile finezza. Fra i metodi escogitati per scansare gli intoppi che si frappongono a una tanto nobile vocazione, ancorché respinto dalla morale, c’è quello del crimine, i cui effetti sulle forze produttive, osservava tuttavia Karl Marx, “possono essere accuratamente descritti”, finendo dunque col costituire un’attività lavorativa fra le tante. Se perciò anch’esso è lontano dal riprodurre pienamente l’ideale, una qualche eco della sua alterata virtù è in grado di giungere in chi il crimine lo pratica.

Una banda di ladri anarchici dell’inizio dell’altro secolo pensò bene - senza alcuna ambizione marxista c’è da supporre - di adottare l’appellativo di “Les travailleurs de la nuit”, e non si trattava di un’allusione ai “turni” delle fabbriche. Di tale furfantesca combriccola faceva parte Marius Jacob (1879-1954), un malfattore spiritoso, ribaldo, scaltro e di vivace intelligenza del quale si continua a tramandare la leggenda come ispiratore delle gesta letterarie di Arsenio Lupin, l’audace predatore che giusto cent’anni fa otteneva per la prima volta l’onore di finire in un volume a stampa, dopo che Maurice Leblanc (1864-1941), sollecitato a produrre qualcosa che rivaleggiasse con la fama di Sherlock Holmes, l’aveva creato sul "Je Sais Tout".

La Francia vantava una solida tradizione popolare di personaggi direttamente implicati, perlomeno agli inizi, in vicende criminali. E’ il caso di Vidocq – personaggio storico i cui quattro tomi di “ricordi” sono assai fantasiosi e compilati a più mani - che dopo anni di malavita e prigione, redento, fu fondatore della Sûreté e amico di Balzac, ma soprattutto del malvagio Rocambole di Ponson du Terrail, tornato, dopo una morte apparente, in nuove avventure a dispensare opere di bene. Il capostipite della figura del “ladro gentiluomo” non è tuttavia Lupin, bensì l’inglese Raffles di Ernest William Hornung (1866-1921) che, diventando presto popolare in ogni dove, fa la sua apparizione nel 1898. In ogni caso, sul finire del 1897 era uscito in Francia Le voleur dello scrittore libertario Georges Darien. Il libro – apprezzato da Jarry ma a lungo consegnato all’oblio – raccontava di un rampollo che, defraudato dal tutore, si dedicava all’esproprio. Darien, con toni feroci che non hanno dovuto aspettare Céline, prendeva di mira la ricca borghesia repubblicana, anticlericale, progressista e massonica, giusto quella cui per nascita e convinzioni apparteneva Maurice Leblanc. Questo potrebbe non voler dir niente al fine della costruzione del personaggio Lupin, tanto più che si tratta di un personaggio irraggiungibile e a modo suo eccessivo nell’astuzia, nel trasformismo e nelle pose dandistiche. Che certe delle sue mirabolanti imprese possano esser state ricalcate su quelle reali di Marius Jacob non si può escludere, sebbene sia consigliabile, mancando la prova concreta, una certa prudenza. Peraltro, già prima che nelle avventure più tarde si trasformasse – al pari di quanto occorse a Vidocq e Rocambole - in una sorta di poliziotto dilettante, Lupin era in fondo universalmente percepito come un buono, cosa che non poteva essere concessa con altrettanta universalità e disinvoltura a Jacob, malfattore convinto, per quanto nel corso del processo che lo condannò ai lavori forzati potesse suscitare simpatia.

Alcuni storici dell’anarchismo, si sono adoperati per trovare conferma a questa sovrapposizione, ma non sono andati molto più in là di qualche somiglianza. Ciò vale anche per Un anarchiste de la Belle Epoque di Alain Sergent, un libro del 1949 (ristampato nel 2005 dalle Editions libertaires) che pure è frutto di alcune conversazioni col vecchio Jacob (il quale da lì a qualche anno morirà suicida). La faccenda venne contestata nel 1951 dalla scrittrice Antoinette  Peské (1904-1985) e da suo marito Pierre Marty in Les Terribles (ed. Chambriand), il più classico dei libri francesi consacrati alla letteratura di genere (su Souvestre e Allain, Leblanc, Leroux).  Le leggende, si sa, specialmente se belle, sono dure a morire e l’associazione fra Lupin e Jacob resiste comunque ad ogni confutazione. Anche in uno studio recente, dovuto fra l’altro a uno specialista di Spinoza, Jean Préposiet (Storia dell'anarchismo, Dedalo 2006), la si vede tranquillamente riproposta. Ad ogni buon conto, appurato che Maurice Leblanc non accennò mai a Jacob come fonte del suo personaggio, la persuasività della tesi riposa su elementi come la generosità di Lupin coi bisognosi, la dabbenaggine dei poliziotti e la malvagia corruzione delle sue vittime, motivi che certamente - nonostante tutto, compreso un certo nazionalismo – lo rendono gradito ai ribelli dell’ordine sociale. Un lettore appassionato delle sue avventure fu del resto l’anarchico Jules Bonnot (in buona sostanza l’antenato di ogni rapinatore motorizzato) che curiosamente fu per qualche tempo l’autista di quell’Arthur Conan Doyle cui si devono le storie di Sherlock Holmes, l’investigatore inglese la cui popolarità era la meta posta a Leblanc dal primo editore del suo eroe e che, rinominato Herlock Sholmes, avrebbe persino gareggiato con Lupin.

 “Il secolo XIX”, 21 aprile 2007