L'intervista che segue è quella stampata sul catalogo Stundàiu (Castelvecchi editore) pubblicato in occasione della mostra di Luca Vitone al palazzo delle Esposizioni di Roma (28 settembre - 6 novembre 2.000). Per quel che ci riguarda facciamo un'unica osservazione in merito al significato di Stundàiu, che riteniamo diverso da quello accreditato da Eugenio Montale e ripreso dal Vitone. A nostro giudizio, che non è quello dei filologi ma di chi ha pratica dei dialetti liguri, il termine ci sembra che sia usato più per indicare l'ingenuo, il sempliciotto o, addirittura il povero di spirito, piuttosto che il tipo di esistenzialoide macerato evocato dal poeta, il quale viceversa può benissimo corrispondere a un certo carattere ligustico .
Luca Vitone
*, intervistaa cura di Emanuela De Cecco
Parte I lavori in corso
Ti racconto come sarà la mostra. Entrati nel Palazzo delle Esposizioni si scendono le scale per andare nella parte sotterranea, da lì si esce in via Milano, si costeggia il Palazzo e si rientra da una porta laterale che dà accesso a uno spazio formato da una sala lunga 15 metri, un corridoio che faccio chiudere da un lato in maniera simmetrica e una grande stanza con una fontana al centro.
Nella prima sala sarà ricostruita una crèuza affiancata da due muri in multistrato alti fino al soffitto. La crèuza (strada stretta tra due mura che scende verso il mare) è larga 120 cm e procede per 8 metri arrivando a 5 metri di distanza dalla porta. All'esterno la struttura appare come una scenografia cinematografica, all'interno il pavimento sarà proprio quello di una crèuza: mattoni rossi e pietre laterali. Questo primo lavoro è l'unico segno specifico del luogo: la crèuza è un passaggio obbligato che segna l'entrata, una sorta di soglia che in realtà è già parte della mostra stessa.
A seguire ci saranno una trentina di fotografie formato 18x24 e di fronte la bandiera genovese di San Giorgio che rimanda ai "luoghi genovesi" di Roma, visitabili con un itinerario attraverso le vie e le residenze dove hanno abitato o abitano alcuni genovesi "illustri", (un dépliant con una breve spiegazione informa sul percorso e illustra le ragioni della scelta). Sarà incluso anche l'unico ristorante di cucina genovese a Roma. Sto cercando di costruire un ragionamento sull'immaginario più ampio possibile: per il cinema vorrei coinvolgere Paolo Villaggio, Giuliano Montaldo... poi Pietro Germi, Moana Pozzi. Ci sarà Vittorio Gassman, Nando Gazzolo per il teatro. Forse per la letteratura Fiorello Chiabrera anche se è di Savona, Remigio Zena, Giorgio Caproni. Per quanto riguarda la musica Tenco, Paoli, forse Reverberi. Per la musica classica finora non ho individuato nessuno, Paganini ha trascorso un paio di mesi a Roma ma non è mai riuscito a lavorarci... Per l'arte visiva Grechetto, Baciccio, Domenico Fiasella, Emilio Prini; per l'architettura Carlo Barabino, forse Giancarlo De Carlo.
Caproni non è genovese ma ha scritto sulla città e l'ha scelta come suo luogo d'elezione, Prini non è nato a Genova ma ha vissuto lì... la mia scelta è legata più al vissuto che strettamente al luogo di nascita. Ci saranno anche le indicazioni circa le case di Nino Bixio, Giuseppe Mazzini, Goffredo Mameli che è morto a Roma sulle barricate della Repubblica Romana ed è genovese, per il Novecento i politici locali sono pochi... Palmiro Togliatti è nato a Genova ma non è genovese. L'unico politico realmente importante del dopoguerra genovese è Paolo Emilio Taviani, democristiano...
E tutti gli autori televisivi genovesi che lavorano o hanno lavorato alla RAI: Enrico Ghezzi, Tatti Sanguineti, Marco Giusti... loro negli anni Ottanta hanno cambiato il linguaggio della televisione; non credo sia casuale che provengano tutti dall'area genovese, abbiano frequentato le stesse scuole; l'Università in via Balbi, la riflessione sul Situazionismo, la pratica di uno sguardo critico sulla "società dello spettacolo".
Ho pensato anche a Rossana Campo, la scrittrice che adesso vive a Roma, ma poi ho cercato di mantenere le distanze, di non arrivare a coinvolgere la storia recentissima. Ci sono anche i politici, ma non intendo coinvolgermi in relazioni che possono sembrare forzate e finalizzate a secondi fini. Pensavo di fermarmi agli anni Sessanta, massimo anni Settanta, alle persone che sono entrate nella storia, gli anni Ottanta e Novanta sono un po' troppo vicini...
Capisco ma non mi è chiaro che tipo di mappa possa emergere da questa indagine. Mi chiedo se robbiettivo sia quello di individuare dei caratteri comuni che avvicinano le persone provenienti dallo stesso luogo.
Non mi interessa individuare un carattere locale specifico, nel corso dei secoli le cose sono cambiate: il Baciccio e il Grechetto nel Seicento venivano da una città importante che era un crocevia economico e culturale e questa condizione non è durata a lungo. Inoltre Genova nella storia non ha mai difeso i propri artisti più di tanto, per esempio non ha mai arredato Palazzo Ducale come palazzo di rappresentanza da mostrare a chi arrivava a visitare la città: l'interesse si concentrava sull'abitazione privata, non a caso entrando a Palazzo Tursi si percepisce una maestosità che non si ritrova in nessun palazzo pubblico. Non c'è paragone, per esempio, con Palazzo Ducale a Venezia: quello di Genova è austero ed è chiaro che nessuno, nei secoli scorsi, ha mai pensato di investire nell'arredamento, non perché non ci fossero i mezzi sufficienti per farlo, semplicemente si preferiva investire su di sé, portare tutto a casa. Non è un caso che a Genova non ci siano quasi piazze laiche, ci sono pochissimi luoghi di incontro pubblici... questa città è sempre stata teatro di una grande battaglia tra le grandi famiglie per l'egemonia territoriale ed economica, è mancato un desiderio di condivisione, un senso collettivo socialmente orientato. I giochi si svolgevano in difesa della propria famiglia, poi gli stessi conflitti all'interno delle grandi famiglie hanno accelerato il declino della città che, alla fine del Seicento con lo sviluppo dei traffici sulla rotta atlantica, è diventato inevitabile.
Ti sembra che lo sbilanciamento a favore della dimensione privata e familistica persista, se pur in altre forme, nella situazione attuale?
Credo che ancora oggi molte cose funzionino allo stesso modo. Tanto che culturalmente, per esempio, esiste molto poco. Per quanto riguarda le arti visive non c'è quasi nulla e sembra difficilissimo convogliare le energie dei pochi interessati su un progetto comune dedicato all'arte contemporanea... Villa Croce è un posto stupendo, con un parco, una terrazza sul mare dove si potrebbero organizzare molte cose, ma chi non è di Genova ne ignora l'esistenza. Certo le retrospettive dedicate agli artisti genovesi sono interessanti, ma non ci si può limitare a questo e portare avanti un museo d'arte contemporanea solo con l'idea di documentare la storia del territorio.
Come spieghi che, all'interno del tuo percorso, dopo esserti occupato in progetti precedenti come Wide City delle presenze e degli intrecci culturali nel territorio milanese di persone provenienti da altri paesi, altri continenti, adesso ti dedichi a uno specifico così locale da un lato e biografico dall'altro?
Hai usato due termini precisi: locale e biografico. Essendo di Genova avevo già da tempo l'idea di fare qualcosa sulla mia città. Ho sempre lavorato sul luogo, sulla memoria e dunque mi interessava, e mi divertiva, occuparmi anche del "mio" luogo, della mia città di appartenenza con tutti gli amori e gli odi che questa scatena. Ovviamente volevo proporre questo lavoro non a Genova per poter dare di questa un'immagine diversa o quanto meno non conosciuta. Genova ha una posizione simile a tantissimi altri centri della provincia italiana non riconosciuti come centri turistici, né come centri economici del paese. Volevo utilizzarla come metafora di un luogo altro vicino e interno a no Quando ho fatto Wide City ho parlato di persone che vivono a Milano ma provenienti dall'estero e dunque riconosciute come straniere. Adesso mi interessava l'idea di utilizzare un luogo vicino come metafora di qualcosa che invece è estremamente distante.
Per te è stato un passaggio naturale decidere di andare via e proseguire il tuo lavoro fuori da Genova dove avevi iniziato?
Sì, anche se il legame con la mia città natale c'è. La mia famiglia è ligure, nonni compresi. Sono fortemente legato al paesaggio ma mi piace non abitarci perché non condivido l'immobilismo in senso lato che caratterizza la città. Le persone che hanno avuto un ruolo culturalmente significativo - e si parla di individui, mai di collettività - alla fine si sono formate o sono andate a lavorare all'estero o comunque fuori Genova. Mi sembra una città di sabbie mobili per cui difficilmente si riesce a produrre un pensiero produttivo rimanendovi, come se ci fossero delle liane che ti legano e ti tirano in basso e non riesci a liberarti, non riesci a uscire da questa morsa se non hai un rapporto reale con l'esterno. Anche quelli che hanno deciso di continuare a viverci, hanno prevalentemente lavorato fuori Genova all'inizio, poi sono tornati ma comunque sono maturati altrove. Non ho nostalgia della città, ma provo un grande piacere a tornarci e più si dilata il tempo dell'assenza, più è piacevole rivedere certi luoghi, risentire certi profumi. Mi capita spesso di incontrare qualcuno che mi chiede se mi mancano il clima, il mare, spesso scattano una serie ben nota di luoghi comuni a proposito per esempio delle relazioni con Milano... ma a Genova, a parte la città in sé - la meraviglia urbanistica, i palazzi, le vie, gli scorci, il porticciolo, gli scogli, le colline, i monti - non c'è una vera attrattiva contemporanea, io quando sono lì vado a visitare gli amici, la famiglia... poi forse sono sempre stato abituato a stare fuori, ho studiato fuori Genova...
Torniamo alla mostra...
L'ultima sala sarà in penombra con la fontana piena d'acqua. Cercherò di ricreare il profumo di mare. In un angolo ci sarà la proiezione di un video dedicato al trallalero genovese che realizzerò con l'Opificio Ciclope di Bologna. Le immagini mostreranno le esibizioni di quattro, al massimo cinque, squadre di trallalero ambientate in altrettanti luoghi tipici della città stile cartolina. Credo che il video sarà in bianco e nero, utilizzeremo delle macchine anni Settanta o telecamere di sorveglianza.
Hai già individuato i luoghi dove andrete a girare?
Si: la spiaggetta di Boccadasse, l'Osteria Moretti, Spianata Castelletto, Campopisano e forse Villetta Di Negro. La struttura sarà semplice: il gruppo sarà fermo, disposto come d consueto in cerchio, circondato da un panorama locale tipico.
Infine ci sarà un tavolino quadrifoglio, mobile caratteristico della produzione artigianale del Settecento genovese che ha un'impiallacciatura per cui la forma che risulta è un quadrifoglio. È un tavolino da lavoro per signora aristocratica, un tavolino da cucito che faccio ricostruire in maniera molto semplice. Ci sarà solamente il piano impiallacciato, il resto sarà pulito perché si tratta di una copia. Sarà in legno chiaro e, su di esso, ci sarà mattone vuoto con una fessura tipo salvadanaio mi piace sottolineare questo aspetto noto del carattere genovese.
E' voluta la commistione di un elemento così prezioso come il tavolino quadrifoglio con un elemento grezzo come il mattone?
Sì, sono partito dal mattone come simbolo di investimento ottuso su qualcosa di estremamente sicuro che è tipico del carattere genovese.
E il mattone è il primo passo...
La tirchieria tradotta in investimento produce il mattone: l'unico vero investimento che fa il genovese, è un investimento sicuro che solo il terremoto può scalfire...
E la Liguria non mi risulta sia un'area a rischio fortemente sismico...
Mi divertiva non rinunciare a un carattere così forte per Genova. La mostra presenta allo stesso tempo gli aspetti tipici della città e del mio lavoro: da un lato l'attenzione alla musica popolare, al cibo, l'itinerario fuori dallo spazio espositivo e dall'altro l'odore del mare, la struttura urbanistica, le tracce di quelli che se ne sono andati per potersi realizzare, il carattere classico stereotipato e famoso in tutto il mondo della tirchieria, Volevo utilizzare qualcosa per appoggiare il mattone e allora ho preferito utilizzare un supporto non anonimo, anzi estremamente prezioso. lì carattere genovese è bifolco per certi aspetti ma in realtà ha grandissimo gusto solo che ognuno se lo tiene per sé e non lo mostra se non a chi si ammette a casa propria.
La prima immagine che mi viene in mente sono certe case di Castelletto con tavolini del genere o simili...
Tra l'altro adesso sono rarissimi, costano decine di milioni, e nelle collezioni pubbliche ce ne sono pochi esemplari.
Prima hai accennato al cibo, cosa intendi fare a proposito?
In parallelo alla mostra organizzo un corso di gastronomia ligure in quattro puntate. Lo terrà il professor Rebora, docente di storia economica all'Università di Genova e noto gastronomo. La prima sarà una lezione teorica sulle radici della gastronomia ligure, la provenienza dei piatti e delle materie prime e l'evoluzione che questi hanno avuto nei secoli. Le altre tre lezioni saranno tenute da due cuochi fratelli, Giovanni e Romano Villa. Nel primo incontro non ci saranno dimostrazioni, solamente un racconto su come vengono utilizzati alcuni ingredienti, per esempio le erbe che hanno un ruolo così importante nella cucina ligure basata su materie estremamente povere arricchite da sapori semplici presenti nella vegetazione locale. Nella seconda lezione ci sarà probabilmente una dimostrazione nelle cucine di Palazzo delle Esposizioni, mentre l'ultima consisterà nella preparazione di una cena genovese, realizzata in collaborazione con i cuochi del Palazzo e i partecipanti al corso. Dopo cena ci sarà una festa finale di fine mostra con un gruppo di trallalero che canterà nel corso della serata.
La mostra si intitola...
Stundàiu.
E vuol dire...
"Stundàiu" è un termine genovese che racchiude le caratteristiche umane degli abitanti. Ti leggo a proposito una frase di Eugenio Montale che le descrive perfettamente: "l'atteggiamento tipico di orgoglio e timidezza misto a diffidenza. La pratica quotidiana del mugugno, un certo complesso di inferiorità nei confronti dell'altro, bilanciato dal senso di superiorità di ordine morale". Un ritrattino perfetto. lì genovese è questo, è inutile nasconderselo.
Si parte da qui (indicando la maquette realizzata nel frattempo), si sale e quando si arriva all'inizio non si vede la fine del vicolo. Poi passando dall'altra parte ci si accorge che l'esterno della struttura è il retro di una scenografia cinematografica. Lo spazio appena attraversato è irreale, siamo entrati in una situazione di fiction...
Parte II le regole del gioco
A proposito il mostrare la struttura a vista traduce in immagini una tua modalità di lavoro che hai già attivato in altre occasioni: è come vedere a vista gli strumenti, le fonti che utilizzi...
In occasione della mostra Mappe '96, radicalizzando questa idea, ho realizzato un lavoro dove ho presentato appunti e materiali in preparazione di una possibile installazione sul luogo. Ho ricevuto giudizi e pensieri contrastanti su questo lavoro che da una parte mi ha divertito, dall'altro mi è sembrato un po' sterile. In realtà adesso che mi ci lai ripensare lo collego alle buche con il suono che proviene dalla terra che ho realizzato in diverse versioni a Castel San Pietro, a Catania, a Nimes, a Villa Medici e, recentemente al PS1 di New York. In questa serie di lavori insceno un immagine di lavori in corso, qualcosa che non è ancora terminato, ma che è stato interrotto da qualcos'altro lo ha ridefinito come opera.
Io però nel tuo percorso riconosco l'attitudine a non avere paura di dichiarare quali gli elementi in gioco, a lasciare visibili le strade che hanno condotto al risultato finale...
In realtà questo vale per i presupposti teorici ma i miei lavori sono finiti e non mi sembra che siano così visibili i procedimenti. Anche in lavori come Pratica del luogo dove attivo una processualità costante, dove accade qualcosa che modifica il lavoro nel tempo della mostra, il processo è definito sin dall'inizio. O per esempio nel lavoro realizzato a Colonia nella galleria di Christian Nagel con i Rom: la situazione mutava nel corso dell'esposizione con il contributo del pubblico ma anche in quel caso c'era una programmazione a tutti gli effetti.
Non dico che i tuoi lavori non siano finiti ma che le strade che hai praticato per raggiungere la configurazione finale, per quanto dinamica, non sono nascoste. Sono sempre intuibili e in qualche modo ripercorribili da chi mostrasse le intenzioni di farlo.
E' vero che non intendo proporre delle immagini fini a se stesse o comunque definitive, ma come si può intravedere un percorso precedente così si può pensare che esistano strade successive di approfondimento.
Dopo anni in cui hai esplorato svariati luoghi in giro per l'Italia e per il mondo torni a occuparti di un territorio che, per storia personale, ti appartiene. Ml piacerebbe capire questo "ritorno" in relazione agli Itinerari intimi dove mettevi in mostra alcuni luoghi della tua memoria. Possiamo dire che questa tappa ti ha consentito di "tornare a casa"?
Se inizialmente il mio lavoro, comunque giocato sulla dimensione esistenziale, era centrato sul rapporto generale che intratteniamo con un luogo, sugli atteggiamenti, le attitudini e i comportamenti che esso determina, negli anni ho cominciato a riflettere di più su me stesso, sulla mia esperienza personale. Hanno preso corpo così dei lavori concentrati sui luoghi della mia memoria. lì progetto in corso rispecchia questa attitudine anche se è troppo presto per esprimere un giudizio a proposito. I presupposti riguardano il voler parlare della città dove sono cresciuto, dei luoghi della mia memoria personale, c'è il desiderio di giocare su un'immagine per me conosciuta, digerita... e poi il voler fermare l'attenzione su un luogo vicino ma in realtà distante e conosciuto all'esterno solo per stereotipi...
Potrebbe essere una metafora di un processo di conoscenza: dalla superficie ti avventuri a scardinare alcuni luoghi comuni, a ribadirne altri...
Lavorando su alcuni aspetti della cultura popolare il luogo comune e lo stereotipo si riscontrano inevitabilmente. A volte mi piace sottolineare questo aspetto, magari con ironia o rendendolo giocoso. La musica popolare, la musica folk, il cibo sono i primi elementi che ci consentono di avvicinarci a un mondo diverso dal nostro, con tutti i luoghi comuni che questi aspetti comprendono, pensa alla cultura rom, alla dimensione della festa...
Nel corso degli anni Novanta, a differenza del decennio precedente, molti artisti hanno riattivato un confronto stretto con la realtà utilizzando frequentemente saperi e pratiche presi in prestito da altre discipline. Oggi è possibile tracciare un primo bilancio di questo percorso e, inevitabilmente, se ne avvertono anche i limiti. Riemerge il desiderio di andare oltre la riproposizione dell'esistente in quanto tale. Vorrei sapere se condividi il desiderio di potersi permettere a volte di prendere le distanze dalla realtà più per sognare che per scappare da qualcuno o da qualcosa... non a caso la tua mostra si apre con una sorta di set cinematografico attraverso il quale ci introduci al teatro della mostra...
Sì, ma ha lo stesso grado di finzione delle rappresentazioni cartografiche dell'inizio, ed è la stessa finzione che determina l'incapacità di capire il territorio in cui si vive. Questa è un attitudine presente da sempre nel mio lavoro, ma proprio perché si tratta di una finzione insita nella realtà stessa alla fine tutto il mio percorso si riferisce alla realtà che viviamo e vuole esprimere situazioni di vissuto con cui ci confrontiamo giorno per giorno. Prima suggerivi il confronto praticato con altre discipline e questo è per me uno degli aspetti più interessanti degli ultimi dieci, quindici anni... ci sono artisti che attraverso questo confronto hanno arricchito le modalità linguistiche e processuali di costruzione di quello che intendevano fare e sono riusciti a creare possibilità di interazione più ampie con il pubblico. C'è il desiderio di rendere popolare l'arte non solo attraverso il mercato.
Che differenza c'è tra riferirsi a un immaginario popolare e riferirsi all'immaginario mediale che oggi è altrettanto popolare?
È estremamente difficile. Personalmente sono interessato al confronto con i mezzi di comunicazione ma sono anche convinto che se il discorso dell'arte segue le stesse dinamiche viene sconfitto, non funziona perché il tipo di fruizione che essa richiede è completamente diverso, non può essere così veloce, così immediato, usa e getta. L'arte anche se deve piacere, incuriosire e coinvolgere al primo sguardo, non è intrattenimento, è il risultato di un'esperienza.
E perché l'immaginario popolare consente di non scivolare nell'intrattenimento?
Nella cultura popolare ci sono tutti i presupposti per leggere il mondo che viviamo, è una
componente epica, corale, che esprime un'individualità collettiva, compresa la tradizione orale che nelle culture scritte è stata emarginata o comunque considerata qualcosa di marginale... tutto questo credo che sia fondamentale per capire quello che da lì è partito e si è sviluppato. Credo che sia un aspetto non solo da non negare ma da dimenticare perché da qui nasce la formazione della cultura contemporanea, colta e pop.
Ti interessa pensarti come traduttore?
Come traduttore no, preferisco la definizione di lettore...
Parlo di traduttore nel senso che anche tu prendi in prestito pratiche provenienti da altre discipline per poi produrre un risultato altro rispetto ad esse...
La mia idea è riproporre ciò che intendo far affiorare così come è, senza interpretazione... mi sembra che l'interpretazione dia un giudizio, definisca delle cose... invece io constato qualcosa, un evento, un'attitudine, e li presento così come sono, ognuno può trarre le sue considerazioni da ciò che vede. lo ho una posizione che spero sia leggibile nel lavoro...
Pensi davvero che la tua posizione agli occhi del pubblico sia neutra?
In un certo senso sì, anche se è ovvio che il mio lavoro rispecchia me stesso, quello che penso...
Non credo che le relazioni con la storia, con gli strumenti che si utilizzano per dire delle cose e i contenuti che si intendono veicolare possano in alcun modo essere neutri... il pensiero di Focault è un punto di riferimento in questo senso...
Questo è vero però io non intendo dare una risposta a un'idea. L'atteggiamento di rimanere distaccato, di rappresentare una condizione esistente, affermare dunque questa condizione, non mi fa pensare come interprete nel senso che non mi porta a esprimere un giudizio su quello che intendo rappresentare...
Non sono d'accordo perché già il fatto di dare voce alla cultura orale, di privilegiare il confronto con la cultura popolare e non con l'immaginario mediale esprime una presa di posizione e tutto il tuo lavoro, al di là del fatto che non espliciti un giudizio, esprime una posizione precisa... penso a Liberi tutti! sui luoghi storici dell'anarchia che hai realizzato a Roma e a Basilea... Segnalare che quel movimento al posto di un altro esiste e si è sviluppato, è cresciuto e ha vissuto in certi luoghi ha un significato... É vero che non chiedi adesione, che lasci aperte molte strade al pubblico e che non intendi esprimere di certo la volontà di persuadere qualcuno o cose del genere, ma certo non si tratta di un atteggiamento neutro...
Sì, forse questi aspetti mi sembrano impliciti perché mi appartengono... intendo solo offrire delle indicazioni... Certo che le opere esprimono delle mie scelte personali e se io fossi diverso al posto delle bandiere anarchiche potrebbero esserci delle bandiere con la mitra e le chiavi... però il procedimento, l'idea dell'opera, il rapporto del percorso di conoscenza che l'opera crea non cambierebbe. Cambia il soggetto che nasce da me, dalla mia cultura, dalle mie esperienze però il rapporto linguistico con l'opera non cambierebbe.
Vuoi dire che c'è spazio per una possibile separazione tra forma e contenuto, tra linguaggio e contenuto? Pensi davvero che se ti occupassi di mitre e di chiavi lo faresti secondo strumenti e modalità identici a quelle che hai usato fino a ora?
Mi piace pensare così. lì dibattito artistico non riguarda tanto il soggetto ma il procedimento linguistico secondo il quale è costruita l'opera e il tipo di relazione che essa stabilisce con il pubblico. Quindi in questo senso mi piace pensare che il soggetto è intercambiabile e in sé non è fondamentale, è fondamentale come lo esponi. Certo è indubbio che, come tutti ho un background culturale e utilizzo quelli che ritengo i miei materiali. Mi interesso ad ambiti tradizionalmente definiti come periferici che, essendo i meno conosciuti, sono per me i più interessanti e in un certo senso sono i più semplici per quanto non sia facile a volte farli emergere. Mi piacerebbe potere svolgere un analogo percorso linguistico utilizzando tutt'altro tipo di immaginario.
È anche vero che è difficile trovare espressioni del pensiero dominante che utilizzano elementi linguistici che non appartengono al linguaggio dominante...
Questo è vero, ma mi piace pensare così... Al posto dell'itinerario anarchico avrei potuto costruirne un altro: linguisticamente non è importante per il pubblico che si tratti proprio di un itinerario anarchico, il mio obbiettivo principale era di dare la possibilità di trovare, in mostra, un'indicazione a uscire dallo spazio espositivo per percorrere un itinerario urbano che suggerisse un'immagine diversa della città, poco conosciuta. Questo passaggio implica un modo altro rispetto alla contemplazione tout-court di un lavoro d'arte. Ciò non toglie che, personalmente, decidere di lavorare sull'ideale libertario non è affatto una scelta casuale.
Tanto il pensiero anarchico, quanto l'immaginario popolare, o un certo tipo di rapporto con il cibo, con la musica, suggeriscono delle pratiche, dei comportamenti...
Questo sì, le utilizzo proprio per questo, perché agevolano, stimolano un modo di lavorare che permette uno spostamento del linguaggio dell'arte in una direzione che mi interessa.
In generale tutto il tuo lavoro si confronta con la dimensione della memoria, intesa sia b senso personale che collettivo. In quanto elemento dinamico, mai fissato una volta per tutte, soggetto di continue riletture e ridefinizioni, è terreno denso di trappole dove affiorano fastidi, cose che non intendiamo ricordare, dolori, zone d'ombra... come attraversi questi passaggi, come entra tutto questo nel tuo lavoro?
Ti riferisci al rapporto con la memoria del luogo sul quale mi trovo a lavorare o alle dinamiche di elaborazione del lavoro stesso?
A entrambi questi aspetti...
Per quanto riguarda le dinamiche del lavoro, apparentemente le zone d'ombra non ci sono quasi, più che zone d'ombra parlerei di procedimenti inconsci e può accadere che in un primo momento io non li abbia chiari...
Per quanto riguarda invece il luogo, le zone d'ombra sono parecchie, gli annuvolamenti... L'aspetto divertente è farle emergere, rivedere determinate cose come te le immaginavi, le ricordavi e poi come crescono, come mutano con la lavorazione e col tempo. Vengono fuori naturalmente approfondendo un argomento che di partenza già conosco, al quale sono interessato e che intendo sviluppare, tutte le zone d'ombra, gli abissi della memoria vengono tradotti in immagini, in cose che devono essere rese visibili allo spettatore... E un gioco che non ha dei tempi, continuamente in movimento fino all'inaugurazione della mostra... Poi ci possono essere evoluzioni in altri lavori o eventi all'interno della mostra stessa ma in linea di massima il lavoro si concretizza una volta che è esposto.
C'è qualcosa che pensi non si possa raccontare?
Da un lato ci sono tantissime cose, tutte le cose che non ho mai raccontato e che forse non sarei in grado di raccontare, dall'altra sono convinto che proprio non si possa raccontare tutto. È un po' come dare un giudizio comunque, voler conoscere tutto, è impossibile e difficilissimo da fare se non si lavora all'interno di un ambito specifico, così come non è possibile prendere posizione su qualsiasi cosa.
Ma non mi riferivo alla quantità, quanto piuttosto alla qualità, ti sei mai trovato a confronto con il silenzio, con forme di resistenza da parte del tuo interlocutore che non intendeva rispondere a ciò che in quel momento stavi esplorando...
lì silenzio implica sicuramente diverse letture, va rispettato, può creare imbarazzo o tranquillità. Non è facile rapportarvisi e dunque bisogna vedere come ci si incontra, come ci si relaziona. Se l'incontro è positivo - come per esempio può accadere nel momento in cui sta prendendo corpo l'idea di un lavoro - non lo interrompo, preferisco che si mantenga e aspettare che qualcuno prenda la parola, mi riferisco anche a una possibile voce interna... E anche per questo che un lavoro come Itinerari intimi ho iniziato a pensano nel '94 e ha vissuto per anni nel silenzio, stava crescendo in solitudine... questi lavori si sono formalizzati in una mostra quando a un certo punto una voce si è aperta e ha fatto sì che il progetto maturasse. Credo allo stesso procedimento anche in relazione al silenzio che incontriamo all'esterno. Non bisogna mai forzano, è un elemento con il quale confrontarsi. E se è propositivo nel senso che funziona, prima o poi qualcuno prenderà parola, ci sono molte cose che non vengono più espresse...
*
Nato a Genova nel 1964. Vive e lavora a Milano.mostre personali (selezione)
1985
Scatole, Libreria Sileno, Genova
1988
Galleria Pinta, Galleria Pinta, Genova
Studio Gennai, Pisa
1989
Galleria Pinta: 13 aprile 1989, Informazione del luogo, Galleria Pinta, Genova
1990
U7. U7 Gallery, London
Galleria Pinta, Galleria Neon, Bologna
L'invisibile Informa il visibile, Galleria Paolo Vitolo,
Roma
1991
Topazo, Galleria Franz Paludetto, Torino
1992
Transiti, Galleria Raucci/Santamaria, Napoli,
(con U. Cavenago)
1993
Carte Atopiche, Galleria Paolo Vitolo, Milano
Galleria Marsilio Margiacchi, Arezzo
(con U. Cavenago)
1994
Il Luogo dell'Arte / The PIace of Art,
Galleria Emi Fontana, Galleria Paolo Vitolo, Milano
Der unbestimmte Ort, Galleria Christian Nagel, Koln
Appunti di viaggio, Juliet, Trieste
1996
Liberi tutti!, Special Project for Liste '96, Basel
Ein Sonntag in Wiepersdorf ich mochte nichts
machen, nur horen, Kunstlerhaus Schiose
Wiepersdorf, Wiepersdorf
1998
Wide Citv, Openapace, Milano
Intimate Itineraries, Galleria Christian Nagei, K8in
1999
Itinerari Intimi, Galleria Neon, Bologna
Edge of Europe, O.K Centrum fu.~r Gegenmartskunst,
Liìz, Austria
2000
Coppie, Galleria Primo Piano, Roma
Hole, P.S.1, New York;
Stundàiu, Palazzo delle Esposizioni, Roma