Nel breve periodo di tempo che intercorse tra l’occupazione da parte delle truppe tedesche della Renania – primavera del 1936 – e l’annessione dei Sudeti – settembre 1938 –, passando attraverso l’Anschluss e l’intervento delle truppe dell’Asse nella Guerra civile spagnola, si posero quei presupposti che avrebbero provocato l’immane tragedia bellica della Seconda guerra mondiale. In questo stesso arco temporale, in un spazio assai diverso e circoscritto, un quadrato, due uomini, un americano e un tedesco, anticiparono, simbolicamente, quel confronto che la guerra avrebbe drammaticamente ingigantito. Due pugili, due pesi massimi; un americano, Joe Louis, e un tedesco, Max Schmeling. Le vicende che li videro protagonisti sono stati negli ultimi anni argomento di ben tre libri, usciti negli Stati Uniti, che rievocano con grande dovizia di particolari tutti i retroscena di due dei più celebri incontri della storia del pugilato: P. Myler, Ring of Hate. Joe Louis vs. Max Schmeling: The Fight of the Century, Arcade Publishing 2005, L. A. Erenberg, The Greatest Fight of Our Generation: Louis vs. Schmeling, Oxford University Press 2005, e infine D. Margolick, Beyond Glory: Joe Louis vs. Max Schmeling, and a World on the Brink, Alfred A. Knopf, New York 2005 – quest’ultimo disponibile ora anche in traduzione italiana: Oltre la gloria. Joe Louis vs. Max Schmeling, Il Saggiatore 2008.
Joe Louis Barrow, the Brown Bomber – l’aggettivo brown segnala una gradazione di colore della pelle particolarmente chiara dovuta al fatto che la nonna paterna era una Cherokee – , nacque a Lafayette, Alabama, nel 1914. Settimo di otto figli, presto orfano del padre, non ebbe certo un’infanzia semplice. Negli anni che seguirono la fine della Prima guerra mondiale, infatti, le difficili condizioni socio-economiche della società meridionale, segnata da una rigida segregazione razziale e da una sostanziale negazione di ogni diritto per la comunità degli afroamericani, avrebbero prodotto un vero e proprio esodo verso il Nord del paese, verso i suoi grandi centri urbani. Saint Louis, Cleveland, Detroit, New York, Chicago divennero così la meta per milioni di neri in cerca di lavoro e di migliori opportunità di vita. Inseguendo queste speranze, anche la famiglia del piccolo Joe – la madre si era nel frattempo risposata – si trasferì a Detroit nel 1926. Contravvenendo alla volontà dellla madre che aveva pensato per il figlio un’improbabile carriera di violinista, il diciassettenne Joe abbandonò la Bronson High School per seguire in una palestra dell’East Side ben altro tipo di lezioni di un’arte, secondo molti, altrettanto nobile. In pochi anni Louis ottenne un ragguardevole record di vittorie in ambito dilettantesco. Agli inizi del 1934 è ormai pronto per il grande salto; si trasferisce a Chicago dove incontra Jack Blackburn, l’allenatore che lo seguirà per tutta la sua carriera pugilistica e nel luglio di quello stesso anno combatte per la prima volta come professionista sul ring della Bacon’s Arena di Chicago sconfiggendo per KO alla prima ripresa Jack Kracken. Sarà la prima di una serie di ventidue vittorie – di cui tredici per KO – che lo porterà al primo grande incontro della sua carriera: sul ring allestito allo Yankee Stadium, il 25 giugno del 1935, Louis affrontò Primo Carnera. Seppur già in fase declinante dopo la durissima punizione impartitagli da Max Baer giusto un anno prima, Carnera poteva rappresentare ancora un valido test per un giovane agguerrito come era Joe Louis. In un drammatico sesto round, dopo che il gigante di Sequals ebbe visitato tre volte il tappeto, l’arbitro Arthur Donovan fermò l’incontro. Sbarazzatosi poi di Max Baer e del tenace basco Paolino Uzcudum, Louis giunse al primo confronto con Max Schmeling, nel giugno del 1936 con un record immacolato di 27 successi di cui 15 per KO. L’Ulano nero del Reno, come venne soprannominato Max Schmeling, era nato nel 1905 in un villaggio poco distante da Berlino. Passato professionista all’età di diciannove anni, Schmeling fu attivissimo nei primi due anni di carriera combattendo per ben ventitre volte e conquistando, nel 1926 contro Max Diekmann, il titolo tedesco dei mediomassimi. Dopo essere diventato campione europeo in quella stessa categoria e campione tedesco dei pesi massimi, nel 1928 Schmeling lasciò l’Europa per tentare la fortuna sul grande palcoscenico americano. Al termine di una serie di incontri di ambientamento, giunse per lui la grande occasione: Gene Tunney aveva infatti lasciato vacante il titolo di campione del mondo dei pesi massimi e proprio il tedesco, insieme all’americano Jack Sharkey, vennero designati come contendenti. Il 12 giugno del 1930 allo Yankee Stadium di New York, davanti a quasi ottantamila spettatori, i due pugili si affrontarono in una battaglia talmente feroce che durante il quarto round l’arbitro interruppe l’incontro e squalificò Sharkey per aver colpito l’avversario sotto la cintura: dopo più di trent’anni da quando l’inglese Bob Fitzsimmons aveva perduto la corona per mano dell’americano James J. Jeffries, il titolo di campione del mondo dei pesi massimi era tornato in possesso di un europeo. Il regno di Schmeling fu però breve: nella rivincita con Sharkey, tenutasi nel 1932 al Madison Square Garden, il tedesco venne sconfitto ai punti con un verdetto piuttosto discusso. Da questo momento fino al fatidico primo incontro con Louis, Schmeling continuò a combattere in America piegando due volte il basco Uzcudum ma venendo battuto da Max Baer. Fu a questo punto che il destino di Schmeling si incrociò con quello di Hitler. Evidentemente un tale esemplare di razza ariana poteva essere sfruttato in chiave propagandistica in maniera assai efficace; l’evento che consacrò Schmeling quale simbolo del regime si tenne ad Amburgo nel marzo del 1935 quando, in un incontro fortemente voluto dalle gerarchie naziste, egli sconfisse il forte statunitense Steve Hamas in un tripudio di svastiche e canti inneggianti al Reich e al Fürher. La stampa tedesca a questo punto cominciò a chiedersi quale potesse essere il prossimo avversario da opporre al “dio ariano”, se Max Baer, l’ebreo, o il “negro mezzo sangue dell’Alabama”.
Schmeling e Louis si affrontarono la prima volta il 19 giugno del 1936 allo Yankee Stadium. Malgrado tutti i favori del pronostico fossero per Louis, Schmeling si impose per KO alla dodicesima ripresa. Nella rivincita, il 22 giugno 1938, fu Louis – da circa un anno detentore del titolo di campione del mondo dei pesi massimi – ad imporsi con un impressionante KO alla prima ripresa. In entrambi i casi le vittorie sollevarono un enorme entusiasmo nei rispettivi paesi: se Schmeling venne ricevuto con tutti gli onori da Hitler e osannato come il simbolo trionfante della razza ariana, Louis non solo incarnò lo spirito della democrazia americana in contrapposizione alla dittatura nazista, ma divenne l’eroe dei ghetti neri, di tutti gli afroamericani che da sempre reclamavano piena cittadinanza nella società statunitense.
Proprio questa battaglia venne più volte combattuta sui ring d’America per riaffermare, attraverso la supremazia fisica, un diritto altrimenti negato non solo dal colore, ma anche dall’appartenenza etnica. Louis peraltro non può essere considerato alla stregua di pugili come Jack Johnson, Sonny Liston, o Muhammad Alì, autentici race rebels, radicali eversori di un sistema disposto ad accettare unicamente comportamenti sociali disciplinati da parte dei neri. Fu forse più simile ad altri campioni, come Sugar Ray Robinson o Floyd Patterson, apparentemente più malleabili ma non per questo meno coscienti della portata sociale delle loro gesta.
Nel caso di Schmeling va invece ricordato come, malgrado l’evidente uso strumentale della sua vittoria da parte dei nazisti – numerose sono le foto che lo ritraggono con Goebbles, Göring e lo stesso Fürher –, in lui prevalse una certa ritrosia se non rifiuto ad abbracciare in maniera netta le posizioni ideologiche del regime – non accettò, tra l’altro, di allontanare Joe Jacobs, il suo manager ebreo, aiutò ed ebbe contatti con ebrei tedeschi – ; ancor più quando, dopo la sconfitta, “una terribile sconfitta” scrisse Goebbles nel suo diario, l’entusiasmo nazista si tramutò comprensibilmente in freddezza. La stampa tedesca peraltro non diede particolare risalto alla notizia liquidando l’intera vicenda con considerazioni che non necessitano commenti: “I negri e gli elefanti non dimenticano una percossa”.
Sul ring Louis avrebbe continuato a compiere imprese leggendarie: dal fatidico incontro con il tedesco, egli difese il suo titolo per ben diciassette volte battendo avversari quali Tony Galento, Arturo Godoy, Lou Nova, Buddy Baer, entrando così nel firmamento della boxe. La carriera di Schmeling per contro può considerarsi conclusa dopo la sconfitta con Louis.
Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, i due pugili si trovarono impegnati a combattere ben altre battaglie. Entrambi servirono il proprio paese – Louis si arruolò volontario nell’esercito, Schmeling, paracadutista, fu gravemente ferito in battaglia –; la tragedia bellica inevitabilmente segnò la loro carriera pugilistica. Nel dopoguerra Schmeling tentò il rientro ma con scarsa fortuna; si conquistò invece un posto di prestigio nel mondo degli affari diventando l’importatore della Coca-Cola per la Germania. L’Ulano nero del Reno è morto nel 2005 all’età di novantanove anni.
Diversamente dal tedesco, Louis fu ancora capace di difendere il suo titolo quattro volte – con Billy Conn, Tami Mauriello e Jersey Joe Walcott due volte – per poi cederlo, nel 1950, a Ezzard Charles al termine di un regno durato ben tredici anni. L’ultimo atto della sua carriera, rituale passaggio di consegne come spesso avviene nella boxe, fu la sconfitta, nel 1951, con Rocky Marciano. Un record finale di 65 vittorie, di cui 51 per KO, a fronte di solo 3 sconfitte certifica l’immenso talento di Joe Louis. Fuori dal ring la vita per Louis, scomparso nel 1981, non fu facile a causa di una lunga serie di problemi personali – droga, divorzio, fallimenti finanziari – contro i quali reagì nell’unica maniera che conosceva: combattendo. Una volta ad un giornalista che gli chiese se si sentisse vecchio, the Brown Bomber ormai sessantenne rispose: “ Mi sentirò vecchio quando una mattina, alzandomi, dovrò pensare prima di tirare il destro”.