Carlo Luigi Lagomarsino

Losurdo, la controstoria e i suoi critici

L’accoglienza concessa all’ultimo libro di Domenico Losurdo, è stata probabilmente inferiore alle aspettative, se queste confidavano in quel che promette il titolo,  Controstoria del liberalismo (Laterza, Bari 2005). Attestatisi sull’indubbio riconoscimento dell’erudizione dell’autore, i vari commenti ne hanno altresì scardinato la tesi promessa, rilevando come l’eventuale incoerenza degli assertori della tradizione liberale non ne intacchi nella sostanza i principi. Anziché trattare di questa tradizione, il libro affronta infatti varie vedute e storie personali o collettive in rapporto soprattutto ai trascorsi neo-schiavistici degli Stati Uniti d’America.

I critici hanno avuto buon gioco nel ricordare Losurdo come un “comunista ortodosso”, cosicché Giulio Giorello, che pure ha un passato simile, in un breve testo del “Magazine”  del “Corriere della sera” (19 gennaio 2006), ha invocato contro di lui, colpevole di metafisica “paleomarxista” (Losurdo  è, prima di tutto, un profondo conoscitore di Hegel e molti temi di questo libro li aveva già affrontati discutendo del filosofo tedesco) le certezze dell’empirismo, sorvolando con eccessiva noncuranza sull’ordine dei fatti che il libro espone e documenta prima ancora di riflettere sul loro fine ultimo. Dell’ortodossia di Losurdo non fa cenno ovviamente il critico del giornale del Partito della Rifondazione comunista “Liberazione” André Tosel, il quale senza mezze misure ritiene che il libro “dovrebbe far testo” e che, dopo averne abbozzato, comunque con efficace sintesi, i contenuti, arriva a definirlo “il libro più filosofico” dell’autore (un po’confermando - dipende naturalmente dal significato che si vuol dare al termine “filosofico” – il senso dell’attacco di Giorello).

Il problema non preoccupa nemmeno Giuseppe Bedeschi – liberale, ma pure lui con un passato marxista, “dellavolpiano” nel caso specifico – che sul “Sole-24 ore” (11 settembre 2005) mostra di apprezzare la ricerca di Losurdo riferendone con sicurezza i punti essenziali e accettandone, con grande apertura, le conseguenze, ma non senza chiarire che, alla lettura, “si resta con una forte impressione di manicheismo e di semplicismo storico”.

Riguardo a questo aspetto, un’ampia ed articolata critica – anzi, una “controstoria alla controstoria” – l’ha data sul sito dei “Liberali per l’Italia” (www.liberaliperlitalia.it) Raffaello Morelli concludendo che  quello di Losurdo è un vecchio fraintendimento che non gli fa accettare “che qualcuno possa restare indietro, magari addirittura per sua responsabilità, e che la società nel suo complesso possa non fermarsi tutta ad aspettarlo”, in altre parole che “la libertà non segue un percorso prevedibile, sicuro, identico per tutti, in ogni luogo e in ogni tempo”, per cui Losurdo avrebbe “redatto la sua controstoria modellandola certo non su fatti inesistenti ma su ipotesi interpretative campate in aria”.

Con inattesa prudenza, benché diversi mesi dopo la pubblicazione, ne hanno parlato invece i liberali di scuola libertarian, come a voler dimostrare che la reazione di fronte a un  libro “molto ben scritto e assai documentato” non può essere ogni volta, prendendo spunto dal retroterra ideologico dell’autore, semplicemente liquidatoria. Carlo Lottieri su “L’indipendente” (8 gennaio 2006) lamenta ciò nondimeno che “la vigoria del saggio” sforzandosi “di leggere la teoria a partire dalla storia” diventa “il segno stesso della sua fragilità”. Non diversamente Luigi Marco Bassani su “Libero” (6 gennaio 2006) coglie l’aspetto paralogistico dell’assunto: “un autore è liberale, questi appoggia la schiavitù, quindi il liberalismo è schiavista.” Ciò che andrebbe posto instancabilmente in luce è che in ogni caso a partire dal liberalismo classico si  affaccia “una dottrina politica fondata sulla limitazione del potere” (Bassani) che darà luogo alle dottrine libertarie che “negano la legittimità stessa dello stato” (Lottieri).

Resta però il dubbio che i particolari dello studio di Losurdo non siano affrontati di per sé stessi e in tutte le loro implicazioni. Come per gli scritti politici e sociali di Noam Chomsky - altrimenti lusingato studioso del linguaggio - mi pare che ci si sia tranquillamente allontanati dai fatti esposti quasi non esistessero dal momento che sono raccontati attraverso un supposto pregiudizio ideologico. Ma i fatti ci sono e, come nei libri di Chomsky, sono ben documentati. Losurdo, ad esempio, per tanto che si dilunghi sullo schiavismo americano, non manca di ricordare il favore con cui fu accolto il fascismo da liberali viscerali quali Einaudi e Mises. Non si trattava, è evidente, di una tentazione alla tirannia, ma sicuramente era l’ammissione di ritenerla in alcune circostanze necessaria. Ritenere ciò dei semplici incidenti di percorso poi superati e chiariti dai pensatori libertari alla Rothbard, come fa Lottieri, mi sembra un’arma a doppio taglio (è come dire che libertà e individuo non  sono intrinseci all’uomo, ma coincidono con le sue progressive conquiste politiche, per cui nello stesso scambio non ci sarebbe una condizione originaria bensì istituzionale).

Il problema che ha posto Losurdo, comunista ortodosso e paleomarxista che sia, alla fine altro non è che prendere in considerazione quale rapporto esiste fra il liberalismo e lo stato dei fatti (e dei “fatti dello Stato”, va da sé). E quello dello “stato dei fatti” (ecc.) è un tema oscuro le cui ombre si allargano o si restringono a seconda delle esigenze del momento, senza alcun rigore. Mi hanno perciò sorpreso non poco  i termini coi quali è intervenuto sulla questione dei treni ad altà velocità in Val di Susa un giovane studioso liberale (libertarian) come Alberto Mingardi dell’Istituto Bruno Leoni in un articolo di “Libero” (2 novembre 2005). Difendendo “l’ardita opera” dai suoi contestatori, Mingardi è passato disinvoltamente sopra agli espropri e al diritto di un proprietario di ritrovarsi integra, anche per quel che riguarda il paesaggio in cui è collocata, la sua proprietà, assumendo per buona l’opera dello Stato evocando “il progresso” - contro la diffusa mentalità avversa (“verde”, c’è da esser sicuri) cui sarebbero soggetti i contestatori - e “il bene comune”. Se lo Stato in qualche caso lo assicura, quand’è che non lo fa?