Wolf Bruno

Lombroso, 100anni dopo

AA.VV.: IL MUSEO DI ANTROPOLOGIA CRIMINALE “CESARE LOMBROSO”, UTET, Torino 2009

Silvano Montaldo e Paolo Tappeto (a cura di): CESARE LOMBROSO CENTO ANNI DOPO, UTET, Torino 2009

Mary Gibson, NATI PER IL CRIMINE. CESARE LOMBROSO E LE ORIGINI DELLA CRIMINOLOGIA BIOLOGICA, Bruno Mondadori,  Milano 2008

 

A cento anni dalla morte di Cesare Lombroso è stata portata a termine la ristrutturazione del singolare, stuzzicante, pruriginoso e in qualche caso rivoltante Museo torinese che porta il suo nome. Nell’ambito di questa realizzazione è maturata anche la redazione di Cesare Lombroso cent’anni dopo che, con la cura di Montaldo e Tappeto, si avvale del contributo di numerosi studiosi, molti stranieri, e fra questi quella Mary Gibson che con Nati per il crimine, ristampato in occasione dell’anniversario, ha consegnato ai lettori non necessariamente specialisti una delle rare biografie (a non esperti, come chi scrive, potrebbe venire in mente da affiancare a questo provvidenziale libro giusto soltanto la biografia che pubblicò negli anni Settanta, per la Utet, un grande e un po’ dimenticato storico del Risorgimento e del socialismo come Luigi Bulferretti) la quale, attraverso un variegato intrecciarsi di capitoli strutturati come piccole ma dense monografie, ricostruisce con attenzione diversi aspetti della storia italiana e mondiale insieme alla vicenda culturale lombrosiana. Questa vicenda, senza nascondere le perplessità che può indurre nel lettore contemporaneo,  ne esce meno scontata e banale di quel che si è soliti pensare.

L'avversione di Lombroso per il giusnaturalismo e il rifiuto della tradizione legata a Beccaria, per esempio, unita alla sua diffidenza nei confronti delle pene, comporta, andando oltre i limiti concepiti da Lombroso stesso, una riflessione sulla libertà degli uomini che prende le mosse non da occasioni retoriche (“vita, libertà, proprietà”) o da formalizzazioni giuridiche, ma dalle stesse caratteristiche che ogni individuo eredita dalla natura (e non "per diritto"). Conclusioni che se non le si vogliono legare a Spinoza, Sade, Feuerbach, Marx o Nietzsche, trovano spontanea e congrua relazione col positivismo evoluzionista di Spencer, mettendo tuttavia in conto il liberalismo di quest'ultimo e il "socialismo" di Lombroso.

Nell'ambito del socialismo italiano, dove il suo seguace Ferri militava nell'ala sinistra e benché l'impostazione positivistica fosse largamente condivisa, Lombroso dovette confrontarsi con posizioni che privilegiavano l'importanza dell'ambiente e dei rapporti sociali rispetto al suo famoso "atavismo". Con un lungo saggio, Il delitto e la questione sociale, pubblicato a puntate da "La Plebe" nel 1882 - dieci anni prima della fondazione del Partito socialista - Filippo Turati aveva cominciato a dar corpo a una critica di ispirazione sociologica (pur sempre "positivista") che si confrontò per almeno un ventennio con le idee  lombrosiane, soprattutto nell'accezione elaborata dal Ferri - spostando la contesa, almeno in parte, perfino sulle diverse fazioni rappresentate dai contendenti all'interno del movimento.

Su Lombroso - ma all'epoca era meno evidente di quanto lo possa essere per gli attuali studiosi - pesano comunque dei riferimenti statistici limitati e una selezione di casi che appare tendenziosa, senza contare lo stato delle ricerche genetiche e biologiche. Il livello di prova delle sue idee, malgrado l'affermazione della loro scientificità, è dunque compromesso già all'origine e anche in questa luce non è da trascurare il contributo di queste idee a certo darwinismo sociale e alle teorie eugenetiche. Ciò nondimeno in quanto idee (e intuizioni) esse sono da trattare con un rispetto che a lungo, dopo un lungo successo internazionale, le è venuto a mancare. Chiedersi in cosa si sia effettivamente imbattuto Lombroso nel corso delle sue ricerche non lo risolve la sfiziosa visita al Museo torinese che conserva le sue collezioni e non è occuparsi di rarità antiquariali.

Scrivendo giusto di una visita presso le collezioni dello studioso, quel monarchico conturbante e impareggiabile scrittore della "Napoli nobilissima" che fu Giovanni Artieri (La Pulce nello Stivale, Longanesi, Milano 1956) sapeva  dare del pensiero di Lombroso una sintesi che nella sua espressività è così difficile da eguagliare che sarebbe un delitto non riportare:

"In una repubblica di mosche le piante carnivore sarebbero considerate come assassine; pure loro mangiano, come l'uomo o il leone, l'animale più debole. Un delitto, voleva dire, è tale solo se urta leggi e costumi vigenti nel luogo e nel periodo in cui viene consumato, ... Insomma, Lombroso mise in circolazione l'idea del delitto come fenomeno naturale, paragonabile ad una eruzione o a un terremoto e quella dell'incongruenza antiumana e antisociale di trarne vendetta, così come non si trae vendetta dal Vesuvio e dall'Etna".

“Fogli di Via”, Marzo 2010