Rocco Lomonaco
Baudelaire
progressivo
A prima vista épatante,
la pubblicazione del saggio-biografia di
Giuseppe Montesano (Il ribelle in guanti rosa, Mondatori 2007) sul poeta
delle Fleurs nella collana “Scrittori
italiani e stranieri” spogliata dell’appariscente veste antiaccademica (fino a
negarsi pressoché ogni riferimento bibliografico e qualsiasi nota a piè di
pagina) rischia poi di mostrarsi figlia dello sbadato affollamento librario. Un
tomo di oltre quattrocento pagine su tale abusato soggetto evidenzia pure
quella bulimia editoriale che, come le merende ipercaloriche, causa danni
a chi non se ne tenga lontano, facendo pensare alla sparizione di ciò che si
chiamava “lavoro editoriale”.
Montesano ha una lunga frequentazione con il poeta avendone tra l’altro
curato un Meridiano per lo stesso editore, ha letto molti libri ma non li ha
dimenticati. Abbiamo faticato non poco per terminare la lettura, e non crediamo
che le colpe possano addebitarsi al
biografato: a tratti pareva di leggere quei saggi, accademici appunto, in cui
nulla viene tralasciato pur di decretare l’attualità e praticabilità dell’esaminato giustificando il tempo speso. Sicuro, arduo dire
dell’inedito su un poeta di 150 anni fa se non ricorrendo all’automatismo del
rovesciamento in base a cui tutto quel che procurava discredito sull’origine
della sua poesia oggi può essere esaltato; il basso, l’infermo e l’informe
vanno oggi non tanto scusati quanto accentuati.
Inaggirabile e insopprimibile anche secondo Montesano è l’esperienza del 1848, quando il dandy, ormai sotto tutela, si rivolta e fa le barricate, tra la feccia e i paria, fino a sporcarsi i guanti con il calcio del fucile puntato verso quella borghesia da cui proviene. E’ il darsi via senza riserve, all’imprevisto che accade o all’ignoto che passa, sotto la bandiera dell’incorreggibilità. Una lettura, ci si passi il termine, no-global che tiene presente, ça va sans dire, gli acquisti benjaminiani: con il che, tutto il detto e ridetto fino allo sfinimento nelle tesine para-universitarie, da Parigi capitale del secolo al flâneur, dall’aura perduta all’istante rivoluzionario che interrompe la storia, eliminato dalle note tende ad ingolfare il testo.
Il pazzo di genio (vedi i giudizi Sainte-Beuve o Hugo) nella nostra epoca che si pretende adulta non necessita di assoluzioni; siamo uomini di mondo che hanno anestetizzato ben altro, figurarsi Baudelaire. Ma quando non c’è più nulla da insultare cominciamo forse a prendere le sue poesie meno sul serio dei giudici che le condannavano: il che mette in questione la nostra sensibilità innanzitutto. L’elemento utopico ed impraticabile si sottrae nello stesso movimento che rifiuta all’autore del Mon coeur…ciò cui tanto teneva: gli onori della colpa.
Con altro regime (la dieta di cui sopra) obbedendo alla stringatezza
nemica di scolastiche ripetizioni (ah, gli editori-redattori di una volta)
tutto poteva essere sobriamente scritto (meno pancia, più ciglio asciutto) in
molte meno pagine: dai motivi gnostici (piegati fino al satanismo) al tema
dell’eros sacrificale, dal nesso “snobismo versus comodità”
all’americanizzazione (mutuata da Poe) come atrofizzazione della parte
spirituale, dall’influenza proudhoniana all’appropriazione polemica di De
Maistre, incluso l’uso disinvolto del cattolicesimo di cui sono figlie
proposizioni come questa (da non prendere sottogamba ma neppure da disinvoltamente
estrapolare): “Avviso ai non-comunisti: Tutto è comune, anche Dio” .