Maurizio Cabona
Ken Loach coi tifosi oltre la
sinistra
Senza popolo, niente politica, niente calcio, niente
cinema. L’oblio della dimensione collettiva per quella individuale, che isola
le persone,rendendole manipolabili, apre la strada alla meno democratica forma
di potere, quella per cooptazione: la governance. E’
la consapevolezza tanto dell’attore, calciatore, provocatore francese Eric
Cantona, quanto del regista inglese Ken Loach, “leone d’oro alla carriera” alla
Mostra di Venezia nel 1994, “pardo d’oro alla carriera” al Festival di Locarno
nel 2003, “palma d’oro per Il vento che accarezza l’erba” al Festival di Cannes
nel 2006. E ora anche “premio Lumière” al Grand Lyon Film Festival, ricevuto proprio dalle mani di Cantona.
Appassionato di calcio (è dirigente del Bath Football
Club, che milita con alterne fortune nelle serie minori), Ken Loach è tra i
fondatori dell’anticapitalista Partito del Rispetto, che verrebbe voglia di votare
non solo per l’orientamento, ma anche per il nome che si è dato alla fondazione,
nel 2004. Dimostrando di essere di sinistra, ma non settario (quasi un
ossimoro), col “Mio amico Eric”, interpretato da Eric Cantona nel 2008 e
presentato a Cannes nel 2009, Loach ha fatto sapere anche a chi lo nega che,
tra le residue forze sane delle nazioni, ci sono i tifosi del calcio. Merito
anche di un direttore di Festival, Thierry Frémaux, che va al lavoro in bicicletta, è cintura nera (sesto
dan) di
judo e tifa per l’Olympique
Lyon, seguendolo anche nelle trasferte intenazionali.
Signor Loach, prima di premiarla, a Lione hanno
mostrato immagini di suoi film...
“Pare che, prima di morire, ti passi davanti tutti
la vita. E’ la sensazione che ne ho tratto. Solo non ricordavo d’aver girato in
mezzo secolo tante scene di calcio”.
Ma sapeva d’aver
avuto coerenza...
“... di stile? Sì, uno stile documentaristico. Se il
film riesce male, al pubblico rimane il documentario”.
Coerenza politica, intendevo.
“Non è un merito, non potevo fare altrimenti”.
Lei viene dal
teatro, poi dalla Bbc...
“Avevo vent’anni quando ci fu la crisi di Suez: la
Gran Bretagna perdeva l’Impero un pezzo dopo l’altro. In teatro sono stato per
tre anni: dovevo essere il peggior attore
d’Inghilterra...”.
La qualità di quel teatro è tale che il suo peggior attore
sarebbe, altrove, dei migliori.
“Lei è gentile. In effetti sottostare a provini ed essere
bocciati insegna il rispetto per chi l’ha superato”.
In quegli anni, negli Stati Uniti, si recitava col “metodo
Stanislavskij”, alla maniera di Marlon Brando e James
Dean.
“Che non era la mia. Un attore, anche bravo, non può
far bene qualunque personaggio solo perché lo studia, s’immedesima, imita chi
fa quel mestiere”.
Il suo metodo
per girare qual è?
“Tengo gli attori il più possibile all’oscuro di ciò
che accadrà ai loro personaggi, così potrò filmare il loro stupore, autentico”.
Lei gira le
scene in ordine cronologico?
“Sì, quando posso. Costa di più, talora, ma il film
viene meglio”.
Che cosa rende convincente un’interpretazione, oltre
al talento?
“Luogo di origine e classe sociale dell’interprete
che siano aderenti a quelli del personaggio. Per modi e gesti, oltre che per il
linguaggio, un lionese è credibile nel ruolo di tifoso dell’Olympique,
ma non del Manchester United”.
Lessico: il popolo di ieri era meno sboccato del ceto
medio oggi.
“Il linguaggio indica condizione sociale e stato d’animo:
quello di un adolescente disoccupato delle vie di Glasgow non è quello della regina
a Buckingham Palace, a Londra”.
E il suo accento che cosa dice agli inglesi, signor
Loach?
“Che sono originario delle Midlands.
Quanto al tono, in questo momento dice che sono contento”.
Per il premio
preso a Lione?
“E perché il Bath ha
vinto: 4-3”. Nel “Mio amico Eric” si tifa Manchester United.
“L’idea del film è stata di Cantona e lui ha giocato soprattutto lì”.
Abbiamo saltato il suo periodo in tv. Me lo
sintetizza?
“Cominciai realizzando documentari con immagini di repertorio
su quel che era successo dopo la seconda guerra mondiale in Gran Bretagna”.
Prosegua.
“Coi governi laburisti del dopoguerra le maggiori industrie
furono nazionalizzate. Sorsero i grandi sistemi di sicurezza sociale. Tutti vegliavano
su tutti. Oggi è l’opposto”.
Tutti contro
tutti?
“Quasi. Nell’Unione Europea c’è chi lo auspica e ha
la maggioranza”.
E’ l’Europa
dei mercanti.
“E noi non siamo abbastanza forti per opporci al
mercato. Di fronte a un simile paesaggio politico non si può esser ottimisti”.
Nemmeno
realisti?
“Ma forse s’illudono anche i realisti”.
Perché?
“Credono che le cose resteranno come sono, che non
possano peggiorare”.
Invece lo faranno. Dunque?
“Bisogna organizzarsi. Non credo che la coesistenza
politica resti pacifica a lungo”.
Lei non ama le
perifrasi.
“Ricorda Brecht? Dire le cose come sono per toccare
il cuore di tutti”.
Lotta di
classe, senza ipocrisie da “tecnici”?
“Il nemico sa che cosa vuole. Lo sappiamo anche noi.
Resisteremo”.
Cantona lavora con lei in un film comico, poi boicotta
le banche; lei parla di nemico, come Carl Schmitt. La sinistra la preferiva
prima...
“Privatizzazioni selvagge, disoccupazione di massa,
erosione dei servizi sociali, l’eredità della Thatcher lasciata all’Europa,
sono fatti. Le previsioni sono in
conseguenza”. “Secolo d’Italia”, 30 ottobre
2012