le voci che corrono

Eduard Limonov

> Eduard Limonov, Libro dell’acqua, traduzione dal russo di Mario Caramitti, Alet Edizioni, Padova 2004

 

Agitatore politico e artista ribelle, dissoluto libertino e feroce militante armato, Eduard Limonov (nome d’arte che evoca il suono della parola russa “granata”) è la più scomoda e inclassificabile figura di dissidente intellettuale nella Russia postcomunista. Espulso o fuggito dalla Russia alla fine degli anni Sessanta, si è rifugiato negli Stati Uniti, dove ha simpatizzato con i trockisti ed è stato avvicinato dal KGB per collaborare come spia. Il suo romanzo Fuck off America!, tuttora inedito negli Usa, diviene ben presto un bestseller maledetto in Russia. Nel 1992 fa ritorno in Russia, dove sogna una rivoluzione sul modello di quella leninista. Nel 1993 fonda il Partito nazionalbolscevico, cui si uniscono artisti underground, ragazzi di buona famiglia, una nota cantante di night club, la “Nuova Lega della Gioventù Comunista” e svariati skinhead, ultras del calcio insieme a fan dell’heavy metal. Il Libro dell’acqua è stato scritto in carcere nel 2002, mentre Limonov scontava una pena di quattro anni per terrorismo e traffico d’armi. oggi vive a Mosca, dove continua a dirigere il suo partito.

l’editore

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... Eduard Limonov, a 61 anni, può considerarsi un uomo fortunato. È riuscito ad avere il destino che ardentemente sognava nei suoi vagabondaggi giovanili, quando immaginava di combattere, armi in pugno, per qualche causa estrema, rivoluzionaria o criminale. Da oltre un decennio, da quando cioè è crollata l'Unione Sovietica, ha abbandonato la bohème newyorkese e parigina che aveva fatto di lui il più atipico degli esuli russi e si è immerso in una frenetica attività politica e militare, con l'intento di creare la propria leggenda. È andato a combattere a fianco dei serbi in Croazia, dei russi in Moldavia, degli abchazi nel Caucaso. E poi, in qualità di presidente e fondatore del Partito nazional bolscevico, uno dei tanti gruppuscoli di opposizione che agitano la scena postsovietica, ha cominciato a organizzare giovani attivisti in nome di un'ideologia che combina nazionalismo e socialismo, aggiungendo al suo curriculum anche due anni di carcere, per traffico di armi, scontati nella fortezza di Lefortovo. Ma soprattutto EdicŠka Limonov è riuscito a evitare ciò che più gli ha sempre ripugnato: diventare un rispettabile «signor scrittore», magari di quelli con l'aura mondana del ribelle, come se ne trovano oggigiorno, un tanto al chilo, alle più varie longitudini. «Gli scrittori non sono gente interessante. E il romanzo è un genere morto»: così parla questo eccentrico personaggio al cronista di “Panorama”, scenograficamente scortato per le vie di Mosca fino all'abitazione del capo da un giovane militante del partito nazionalbolscevico

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«Gli unici autori che mi interessano» concede «sono quelli che hanno elaborato un universo di idee acuminate e le hanno perseguite andando fino in fondo al loro destino, come per esempio Céline, oppure il marchese de Sade».

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Sta per uscire infatti Il libro dell'acqua, scritto in prigione, accompagnato da una bella introduzione di Mario Caramitti e corredato dalla giovane casa editrice Alet con vivaci materiali di contorno. Qualche mese fa era uscito Il diario di un fallito (Odradek), scritto a New York negli anni Settanta. E Ponte alle Grazie annuncia per la prossima primavera L'adolescente Savenko, romanzo autobiografico sulla vita sovietica negli anni Cinquanta e Sessanta. Con queste iniziative editoriali l'Italia riscatta la sciatta disattenzione con cui venne accolto vent'anni fa il primo libro di Limonov EdicŠka, ovvero io (Frassinelli 1985, tradotto non dal russo ma dal francese con l'ammiccante titolo Il poeta russo preferisce i grandi negri).

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Massimo Boffa, “Panorama”, 10 settembre 2004