Carlo Stagnaro

l’Europa vera e quella falsa

Da qualche lustro a questa parte, un fantasma s’aggira per l’Italia. Sono i "parametri europei". I politici di ogni colore e schieramento non fanno altro che ammonirci che ne siamo troppo lontani. Preti e sindacalisti paventano una nostra "uscita dall’Europa". Perfino il mio panettiere mi ha detto che bisogna assolutamente "adeguarsi" a Maastricht. Giuro che non capivo. Scommetto che il 90% delle persone neppure sa dove sia Maastricht. Ma io mi e vi chiedo, perché mai dovremmo a tutti i costi conformarci a quello che è stato deciso in quella remota località? Perché il nome di quella cittadina è circondato da un alone di sacralità?

Pancia in dentro e petto in fuori, il collo stretto da una algida cravatta e gli occhiali fuori dalle orbite, l’oratore di turno si commuove sempre quando parla di Unione Europea, di parametri, di "standard". Il tono è quello delle grandi occasioni, l’imperativo è semplice e categorico: vincere! E ci adegueremo. Bruxelles e Strasburgo hanno sostituito Cuba e la Thailandia nei sogni vacanzieri della gente. Pare da quei luoghi irradiarsi una luce fulgida e calda. Le sirene ivi residenti cantano "progresso, ricchezza, benessere". "Così lo buttiamo finalmente in culo a quegli stronzi degli Americani", ha prosaicamente sentenziato l’altro giorno un amico con cui ne discutevo. (Come se ce ne fregasse qualcosa, delle cavità anali d’oltreoceano, come se non ci dolesse già la nostra, ogni volta che ci tocca pagare le tasse.)

Gli opposti schieramenti politici, addirittura, quando si parla di Europa paiono commuoversi. Una amorevole lacrimuccia cola sulle guance e l’ascia di guerra viene momentaneamente seppellita. L’unico pomo della discordia è a chi appartenga il merito di averci fatti "entrare" in Europa. Sarò fesso, ma io credevo che in Europa ci fossimo da quando il mondo fu creato. E poi i nostri popoli sono figli dell’Europa e della tradizione europea. Ognuno di noi porta in sé un briciolo d’Europa – non si sa quanto a norma di legge.

Effettivamente, la cosa suona un po’ ridicola. Far entrare la Liguria in Europa sembra come avere la pretesa di far entrare l’Alabama in America. C’è già, punto e a capo. Per lo meno se per Europa si intende una comunanza storica e culturale che affonda le proprie radici nella notte dei secoli. La tradizione europea è un dorato sentiero di libertà. Il suo cuore più profondo giace nella decentralizzazione e nella coesistenza di infiniti sistemi di governo diversi. L’Europa vera era il Sacro Romano Impero, prima, e l’Impero Asburgico, dopo. E le franchigie e le libertà comunali, che hanno reso Genova grande tra i grandi.

"Il cosiddetto straordinario – scrive Joseph Roth in un passo del suo eccezionale romanzo La cripta dei cappuccini – per l’Austria-Ungheria è l’ovvio. Con questo voglio dire che in questa pazza Europa degli Stati nazionali e dei nazionalisti ciò che è ovvio sembra bizzarro. (…) L’anima dell’Austria non è il centro, ma la periferia. L’Austria non bisogna cercarla nelle Alpi, dove hanno camosci e stelle alpine e genziana, ma neppure un’idea di che cosa sia l’aquila bicipite. La sostanza dell’Austria viene nutrita e incessantemente rigenerata nei territori della Corona".

In maniera meno poetica ma altrettanto chiara, un grandissimo economista del nostro secolo, Wilhelm Roepke, ha affermato: "l’unico modo di essere fedeli all’Europa è conservare il suo spirito e la sua tradizione… la decentralizzazione è l’essenza dello spirito europeo. Tentare di darle un’organizzazione centralistica, piegare il continente a una burocrazia legata alla pianificazione economica, saldarla in un unico blocco non sarebbe nulla di meno che un tradimento dell’Europa e del patrimonio europeo (…)Il rispetto per le differenze e le particolarità, per le diversità e per le piccole unità di vita e civiltà… questi sono i principi generali il cui rispetto meticoloso ci identifica come veri Europei che prendono sul serio il significato dell’Europa".

Solo in questo senso è giusta e auspicabile l’Europa. Ma quella che oggi ci viene contrabbandata come necessità storica è esattamente il tradimento dello spirito europeo paventato da Roepke. L’Unione Europea è un organismo onnivoro che tenta di regolamentare, uniformare, standardizzare tutto e tutti. Perché così è più facile controllare. E allora giù a decidere quando i fagioli smettono di essere fagioli, via a insegnare che le banane troppo gobbe non vanno bene. Sotto a chi tocca, a riscrivere la ricetta della pizza e del cioccolato. Avanti col divieto del formaggio coi grilli e del culatello. Venghino, siore e siori, il pesto da oggi si cambia: meno aglio e via il basilico.

Solo un folle può desiderare tutto ciò. Come lo auspicarono due pazzi che finirono per fare i tiranni: Napoleone e Adolf Hitler, veri e propri padri nobili dell’unificazione continentale. Ma la Liguria non ha alcun legame con tutto ciò. La Liguria è già europea, senza il bisogno di rispettare nessun parametro. La Liguria ha scritto ampie pagine della storia del nostro continente. L’Europa vera e profonda sono i banchieri genovesi, i galeoni che viaggiavano e pacificamente commerciavano protetti dalla Croce di San Giorgio, la difesa gelosa delle autonomie dei nostri paesi e dei nostri quartieri. L’Europa della libertà e delle piccole patrie è nei fasti rinascimentali del capoluogo di questa regione malmenata dallo statalismo, ed è ugualmente negli insediamenti più remoti e ricchi di storia. L’Europa è nelle grotte di Toirano e nelle pietre del castello di Santo Stefano d’Aveto, nei muri trasudanti secoli del Bracco e nelle assi dei gozzi che riposano sui nostri arenili.

Genova e la Liguria non hanno bisogno di uniformarsi alla religione laica ed empia di Bruxelles. Non necessitano di alcun patentino. Genova e la Liguria sono già Europa. Lasciare che qualche burocrate azzurrovestito depredi il patrimonio di ideali e libertà ben rappresentato dal Palazzo Ducale sarebbe un gesto criminale di tradimento nei confronti della Repubblica. Quella vera, naturalmente, non quella di cartone "nata dalla Resistenza", che ha umiliato la nostra regione con la favoletta grondante sangue dell’Unità Nazionale.

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