Quella che segue è la prefazione a Libertarismo, self-ownership, utile universale di Fabio Massimo Nicosia. Ne è autore Tommaso Biagi che ha studiato filosofia politica e morale, nonché teoria politica, presso le Università di Milano, Pavia e Warwick. Chi conosce i precedenti saggi di Nicosia troverà in questa intervista (seguita dal saggio L’inclinazione libertaria) una sintesi rafforzata da una soprendente intonazione esistenziale. Il libro è pubblicato da De Ferrari Editore.

Tommaso Biagi

Su FM Nicosia

Non appena mi è affiorata una qualche forma di coscienza politica, ho iniziato immediatamente a cercare quale abito mi stesse meglio; ma qualsiasi vestito provassi, non ero soddisfatto e trovavo delle critiche da fare; e più ne provavo, più trovavo difetti. Non posso negare che le mie ricerche per trovare “il manuale del rivoluzionario senza sensi di colpa” erano già orientate verso uno spettro politico ben preciso; il mio percorso, tormentato dalla separazione tra la percezione di esperire ingiustizie e la ricerca di una teoria della prassi adeguata, continuò a vacillare, sin al punto di isolarmi nella torre d'avorio del filosofo per cercare risposte che, forse, nemmeno esistono, o che nemmeno hanno senso di esistere.

Un giorno, non dissimile dagli altri, mi capita sotto mano un saggio di qualcuno che, proclamandosi “libertario”, mi aprì un nuovo spiraglio, una luce di speranza per la mia mente affamata.
Finalmente avevo trovato una prospettiva teorica nuova, fresca e stimolante. Non potevo che buttarmici a pesce. Così, sempre più mi interessai dei lavori di Fabio Massimo Nicosia, sin al volerlo conoscere, per stima e per curiosità intellettuale.

Lungi dal trovare la mia chimera, trovai però in quegli scritti linfa nuova, stimolante. Non potevo che farmi trasportare da quella ventata di freschezza. E così fu. La mia ricerca politico/esistenziale, girava intorno a due concetti, fratellastri tra loro: il concetto di libertà e il concetto di uguaglianza. In qualsiasi testo trovavo o troppo dell'una a discapito dell'altro o viceversa. Queste forze invisibili che mi tiravano la giacca un po' di qua e un po' di là, trovarono  giovamento nella proposta teorica libertaria di Fabio Massimo.

La parabola politica nicosiana, inizia, come molte parabole politiche, dal primo nucleo sociale con cui veniamo a contatto: la famiglia. I forti legami emotivi e l'imprinting educativo a cui siamo sottoposti sin da piccoli, costruiscono molte credenze di base dovute ai vari condizionamenti. Non è legge assoluta, ma è raro trovare persone che, in prima battuta, sviluppano una posizione politico-morale fortemente antagonista a quella della propria famiglia.

Non fa eccezione anche il nostro Nicosia, il quale, fortemente condizionato da una figura materna di vocazione liberale, fervente anti-comunista e con un marcato accento individualista, inizia la sua avventura nel mondo della giustizia politica, rivolgendo lo guardo a Destra, ove pensava sarebbe stata la direzione giusta per la massimizzazione della libertà, in quanto la sinistra era percepita come autoritaria e fautrice assoluta di negazione della libertà. Stiamo parlando di un Fabio dodicenne, intendiamoci, non ancora maturo per poter comprendere la complessità del politico.

Dopo questo primo amore ingenuo/infantile/giovanile, la sua maturazione lo porterà a ricostruirsi uno spettro politico che scoprirà molto più complesso rispetto alla semplice e superficiale analisi del dodicenne ancora troppo legato al cordone ombelicale.

Forte della sua immancabile “inclinazione libertaria” si avvicinò allora verso il pensiero anarchico e, al contempo, affiancò i radicali, intesi, nella sua visione, come una sorta di “anarchici riformisti”, intenti, attraverso la politica dei diritti civili, a disarmare il potere; si è poi reso conto di essersi fatto delle illusioni, al riguardo, essendosi la carica libertaria dei radicali rapidamente esaurita.

Il fatto che Nicosia intuisse nel moloch dello Stato il primo nemico della libertà, lo portò a conseguire una laurea in giurisprudenza (conosci il tuo nemico), con particolare attenzione al diritto amministrativo, perché come dice lui, “lì vi è la possibilità di capire come batte il cuore dello Stato”, ovvero di comprendere davvero che cosa lo Stato sia, quali siano i suoi funzionamenti, le sue procedure. Insomma se lo Stato era da superare, lo Stato era da studiare.

Un giorno come tanti, siamo alla fine degli anni ’70, Fabio scoprì una rivistina, Claustrofobia, diretta da Riccardo La Conca, e con essa, per la prima volta, il libertarismo sotto forma di anarco-capitalismo.

Inizialmente entusiasta di questa nuova prospettiva, per cui Nicosia rivendica di essere stato il “secondo anarco-capitalista italiano”, fu poi costretto a rendersi conto che il tipo di libertà e il tipo di società che andava cercando non si identificava con quella degli anarco-capitalisti, men che meno con quelli italiani di seconda generazione (i quali nascevano all'interno della Lega Nord, mantenendo posizioni molto conservatrici per quanto riguarda i diritti civili, e a volte autoritarie). Iniziò allora a chiedersi dov'era tutta questa libertà propugnata dagli anarco-capitalisti, che santificavano solo la proprietà privata, non la libertà, “proprietaristi”, più che non libertari.

Allontanatosi da questo mondo, Nicosia inizia a maturare teorie che sempre più lo portano vicino ad un libertarismo “di sinistra”: in un importante intervento del 1999, pubblicato su A - Rivista anarchica, prende definitivamente le distanze dall'anarco-capitalismo, segnando l'inizio di un cambiamento molto rilevante. Da allora inizia un prolifico e stimolante lavoro intellettuale, che lo porterà a posizioni diametralmente opposte all'anaco-capitalismo su non poche questioni, anzitutto la concezione che la terra (la Terra) sia di tutti (res communis), e non di nessuno.

In pratica, partito da una forte influenza anti-comunista, beffe della sorte, le sue teorie si spostano sempre di più a “sinistra”, dichiarandosi un libertario “geo-comunista”, ritenendo le risorse esterne appunto proprietà di tutti gli individui (presenti e futuri).

Tra i padri fondatori di questo pensiero non possiamo non citare l'economista Henry George; il pensiero georgista sostiene che ognuno abbia il diritto di appropriarsi di ciò che crea attraverso il proprio lavoro, ma che ogni cosa che si trova in natura, principalmente la terra appartenga in maniera egalitaria a tutta l'umanità. La filosofia georgista è legata all'idea di una tassa unica sul valore della terra. Nicosia è giunto su questa posizione però autonomamente, prima di conoscere George, e munendola di una giustificazione di principio libertaria: “nessuno può imporre unilateralmente obblighi giuridici o morali agli altri”, contestando il tentativo di fondare unilateralmente, e non consensualmente, la stessa proprietà.

Da qui in poi, Fabio apre i rubinetti e lascia sgorgare teorie e concetti che diventeranno il fulcro del suo pensiero, i quali prenderanno forma nella pubblicazione, dopo tre volumi dedicati, all’inizio degli anni ’90, a un diritto amministrativo di taglio fortemente liberale, di un trittico di saggi che inizia con “Il sovrano occulto” (2000), fondamentalmente una critica del concetto di obbligo giuridico; passa per “Beati Possidentes” (2004), che propone una dottrina individualista in filosofia del diritto, e si conclude nella sua opera “Il Dittatore Libertario” (2011), in cui esplora la filosofia politica, fino al più recente “L’abusiva legittimità” (2017), con il quale si propone di instaurare una nuova dottrina critica dello Stato contemporaneo, fondata su un’applicazione estensiva del diritto della concorrenza, visto come nuovo diritto comune tra operatori sia privati che pubblici.

Le posizioni di Nicosia, attuali e molto argute, arricchiscono un dibattito che si era un po' affievolito dopo la breve ribalta di quel filone di autori che si definiscono left-libertarians (Steiner, Wolff, Otsuka, Vallentyne). Questi left-libertarians hanno in comune con il nostro Autore solo l'approccio egualitario sulle risorse esterne. Le loro analisi puramente filosofiche, mancando di conoscenza giuridica ed economica adeguata, non si pongono neanche il problema dello Stato, né si propongono di analizzarne il concreto funzionamento. Danno per scontato che anche nel loro sistema un qualcosa di simile allo Stato ci sia a priori, tacendo sul fatto che non essendo neutrale (Nicosia lo definisce un “giocatore autonomo”), è, fonte di turbamento di per se stesso.

Il grave errore di questi autori sta nel non riuscire a capire come proprio lo Stato e la sua analisi devono occupare un posto di primo piano, se si vuole fornire un approccio libertario compiuto.

 Da questo punto di vista, Nicosia, forte del suo antiautoritarismo e antistatalismo, si colloca addirittura più a “sinistra”, se l’antiautoritarismo è “sinistra”, dei cosiddetti “left-libertarians” fondando ogni possibile norma attraverso il mercato, che, badi bene, con tutte le proposte libertarie avanzate da Nicosia, tra cui l’utile universale incondizionato, l'abolizione di brevetti e copyright, presenta un carattere ontologicamente altro rispetto al mercato capitalistico per come lo conosciamo oggi. Certo, Bobbio ha complicato le cose, collocando la “libertà” a “destra”, ma qui l’intento è di quadrare il cerchio, convinti invece che il favor per l’autorità sia una caratteristica classica della “destra”; o dovremmo ritenere un Bakunin, in quanto teso a massimizzare simultaneamente libertà ed uguaglianza, di centro? Beh, del resto il nostro Autore dichiarò venti anni fa proprio di essere alla ricerca di un “centro anarchico”, intendendo però la propria posizione come mediana tra anarco-capitalisti e anarco-comunisti, e riempire questo spazio con una difficile conciliazione pare davvero un “vasto programma”.

Il sistema-mercato inteso da Nicosia non è certo il mercato del capitalismo storico, semmai è la sede della sperimentazione degli stili di vita alternativi, e non del capitalismo delle corporations protette dallo Stato, capitalismo gerarchico e verticista, capitalismo dello sfruttamento e del dominio. Anzi, da questo punto di vista lo si può inserire in quella nuova scuola di pensiero libertario che, facendo del neo-mutualismo il proprio cavallo di battaglia, pensa ad un mercato “anticapitalista”, ove la figura del capo fastidioso e autoritario, delle strutture gerarchiche di dominio e sfruttamento, tipiche del lavoro subordinato odierno, non possano che ripresentarsi, solo laddove liberi individui dotati di un potere contrattuale notevole, garantitogli dal reddito di esistenza/rendita universale, vogliano volontariamente ricreare questo schema per qualsivoglia motivo (es, masochismo): ribadiamo, volontariamente.

La proposta di Nicosia quindi ha un qualcosa di straordinario: in esso convivono antistatalismo, comunitarismo e mercato, mantenendo una struttura coerente e razionale che lo porta a teorizzare una vera e propria teoria libertaria di stampo anarco-individualista, forse anche “socialista” (anche se lui lo nega, pur avendo pubblicato uno studio sul socialismo democratico italiano), nel senso però in cui intendeva il termine un Benjamin Tucker, in quell'America del diciannovesimo secolo, che trasudava un ethos anarco-individualista sperimentalista; anzi, Nicosia parla provocatoriamente addirittura di “comunismo di mercato”, fondandolo oltretutto su una sottile analisi del concetto di self-ownership in elegante dialettica con quello di “comunione”, oltre che su di una devastante critica del “diritto di proprietà” assoluto, così come inteso dai right-wing libertarians, rappresentati qui come bersaglio polemico da Murray Rothbard; il tutto, bene lo si nota, tiene conto della sua vasta cultura ed esperienza come giurista, amministrativista in particolare.

Per quanto riguarda l'impostazione dei suoi scritti, Nicosia, essendo stato il capostipite di quella corrente che (rifacendosi al gruppo dei marxisti analitici) prende il nome di anarchismo analitico, utilizza precisione, logica, coerenza, chiarezza, analisi linguistica dei concetti; insomma, in poche parole, siamo di fronte a un intellettuale e filosofo politico di matrice analitica, per certi versi anche a un teorico dell’economia, ma anzitutto a un giurista, dato che la sua capacità analitica gli deriva proprio da questo tipo di pratica –il falsificazionismo logico del processo amministrativo ne è un esempio- e teoria, così come da tale caratteristica gli deriva un’attenzione ben maggiore ai profili di “effettività”, rispetto a quanto non siano soliti fare di solito gli astratti filosofi analitici e morali; sicché, come lui stesso ha scritto in passato, per l’Autore la filosofia politica diventa, come in Rousseau, invenzione di “diritto politico”.

Io, che ho sempre odiato gli autori che scrivevano in maniera oscura, poetica, troppo interpretativa, non potevo che andare a nozze con questa impostazione. Da qui l'idea di voler impostare questo progetto come un'intervista. Una modalità che può sicuramente intimorire molto meno rispetto ad una lezione frontale unilaterale, giacché mantiene una dinamica dialettica che spezza la concentrazione forzata e duratura di un determinato topic, portando il lettore ad essere metodicamente stimolato, sperando che tutto questo possa invogliare alla lettura.

Credo che in un periodo storico come questo, totalmente deideologizzato, un tale progetto –che contempla, oltre alla mia intervista, il saggio “L’inclinazione libertaria”, in cui si indagano le implicazioni di una visione della libertà di derivazione bakuniniana-, che non esiterei a definire anche un pamphlet politico, si pone sicuramente in una posizione, non solo in controtendenza rispetto al pensiero “debole” imperante, con una proposta forte; ma anche in un ambito spazio-temporale estremo e radicale rispetto al pensiero liberal-statalista che continua ad imperare indisturbato, non trovandosi davanti antagonismi degni di nota, che non sia un libertarianism, spesso ridotto a pensiero conservatore. Antagonista che, a mio avviso, sembra ora avere trovato. (Settembre 2018)