È il testo della sezione relativa al lettrismo pubblicato sul catalogo della mostra "Sentieri interrotti
-crisi della rappresentazione e iconoclastia dagli anni cinquanta alla fine del
secolo"
che si tenne nell'estate 2.000 a Bassano del Grappa (catalogo edizioni Charta).
A suo tempo presente sul web in un sito oggi dismesso, lo ripubblichiamo
volentieri. Ricordiamo che, sempre relativamente alla sezione “lettrismo”,
sulla nostra circolare del 2000 apparve il testo del cosiddetto “precatalogo”
(Ed. Derive Approdi).
Sandro Ricaldone - Carlo Romano
il lettrismo
Ai primi di maggio del 1947 la copertina di "Samedi-Soir" ritraeva - fotografati da Willy Rizzo, futuro compagno di Elsa Martinelli - un giovane nell’atto di reggere una candela e una giovane in pantaloni. Lui, tale Plemiannikov, sarebbe diventato il primo dei numerosi "signori Bardot", benché di preferenza optasse per l’essere chiamato con un nome, Roger Vadim, assai meno impegnativo sia dell’originale sia di quello che un’anagrafe inflessibile e patriarcale non gli avrebbe tuttavia potuto riconoscere. Lei, Juliette Greco, si sarebbe più tardi sposata con un simpatico attore, Michel Piccoli, propenso a mostrare sullo schermo una cospicua peluria appena mascherata da mutande e canottiera - indossate, del resto, con invidiabile esibizionismo. In altre parole quella lontana copertina condensava una buona fetta del "tout Paris" dei successivi trent’anni. Il problema che si poneva allora non era comunque la brillantezza delle stelle che si specchiavano sulla Senna, o di quali e quante consuetudini esse avessero con stuzzicanti amenità come le famiglie principesche o i più esclusivi luoghi di villeggiatura. Si doveva dar conto, piuttosto, di come vivevano, quali gusti avessero, coloro che senza mezze misure venivano definiti "i trogloditi di Saint-Germain-des Prés", la nuova popolazione giovanile che, avendo invaso la strada parigina e le sue adiacenze, preoccupava i benpensanti non meno di quanto eccitasse le cronache. Jacques Robert, il giornalista autore dell’articolo, dopo aver parlato di maglie e pantaloni, segnalava come questi giovani avessero sostituito le tradizionali oscenità vergate sulle pareti dei cessi nei bistrot con pensieri ben più angosciosi ed originali. Uno di questi era riportato anche in copertina: "è tale il mio risentimento che vorrei rinascere in un disastro ferroviario". Trogloditi sì, ma non per questo privi di una qualche esacerbata finezza o velleità. Che li si dovesse chiamare, sulla scorta della filosofia sartriana allora in voga, "esistenzialisti", poteva anche avere una sua pertinenza, tant’è il nome è rimasto. Dal canto suo, Jean-Paul Sartre - il quale a Saint-Germain-des-Prés aveva piantato le radici ormai da tempo, e non cercava quindi la novità nel recarsi a bere e a scrivere nei locali di Flore o dei Deux Magots - soleva dire che quei ragazzi non avevano nulla a che fare con lui, né lui con loro. Si poteva cogliere d’altronde una certa incongruenza nell’indicare in un uomo che aveva già passato la quarantina una sorta di trascinatore di quell’incontrollabile massa giovanile attaccata ai propri vent’anni. Ciò nondimeno uno dei graffiti raccolti da Jacques Robert andava dicendo che "esistenzialista è chi ha Sartre nel sorriso". Non c’è dunque da stupirsi che la filosofia dello scrittore, diventato improvvisamente famoso nel mondo intero, potesse interagire con le intemperanze di quei giovani o che, perlomeno sul piano della notorietà, qualcosa di reciproco ci fosse. D’altra parte che proprio Sartre avesse offerto una rubrica di "Les Temps Modernes" a uno dei giovani animatori (ed etnologo postumo) di quei luoghi e di quegli anni, Boris Vian, qualcosa doveva pur significare.
Non erano tuttavia soltanto quelli del giro di Sartre gli intellettuali che, avvezzi o meno ai locali del quartiere, partecipavano della nuova eccitante realtà, sebbene non sempre, o non esattamente, per confondervisi, fiutando piuttosto l’occasione di poter fare notizia. Jean Cocteau, in stato di grazia cinematografica, era fra questi. Andava al Tabou, la "cave" per eccellenza, accompagnato da Christian Bérard, lo scenografo dei suoi films. E’ a quest’ultimo che si deve un’osservazione, in qualche modo definitiva, sulla prevedibile piega che avrebbe preso la punta più mondana e chiacchierata, ancorché esistenzialisticamente patibolare, della gioventù. Stava commentando le toppe di visone applicate a un paio di pantaloni quando la Greco gli chiese cosa fosse l’animaletto in questione. "Presto la saprai" fu la lucida risposta. E’ difficile stabilire se, e come, questa frivola saggezza dei più anziani abbia ottenuto il debito peso morale. Ad ogni modo fra i giovani che sembravano un’unica massa di fanatici del jazz e spregiatori del bagno, l’élite del quartiere era ben lontana dal raccogliere quell’unanime adorante consenso che le veniva concesso dalle prime folle dei turisti - seppur indispettite dal non trovare i nuovi eroi intellettuali al posto di comando indicato sulle gazzette, dal quale si erano prudentemente ritirati.
In un contesto dove la ritrovata allegria sembrava fare continuamente i conti col problema filosofico (o concreto) del suicidio e con le passioni dettate da un "impegno" che aspirava a dilagare nel politico, c’era anche chi si proclamava baldanzosamente "disimpegnato" e rifiutava i nuovi e spesso crudeli culti civili non meno di quanto mal sopportasse i vecchi. Non del tutto privi di ammirazione per Jean Paul Sartre, che avrebbero tuttavia fatto oggetto d’un paio di pamphlet, questi altri giovani esemplari, saturi di buone letture, avevano già trovato in D'Artagnan e Julien Sorel quello che la massa aveva scoperto in Roquentin e Mersault - quantunque ne derivasse una diversa inflessione per cui i tormenti sull’assurdità della vita potevano venir leniti da una corsa in Jaguar. Se la maggioranza dei giovani mostrava di essere orientata "a sinistra", il loro porsi (in termini assai peculiari) "a destra" era certo un modo come un altro per sfuggire alle insidie del conformismo e ottenere, come si direbbe oggi, "visibilità, ma soprattutto, nei fatti - e nelle circostanze di allora – poteva paradossalmente corrispondere a una scelta per - di fondo libertari - tirarsi fuori dalla politica e aver così da parlare senza i vincoli che essa crea. Per il resto, in barba all’anticonformismo, la loro grande occupazione - la quale, diversamente dal lavoro, non si misurava in tempo bensì in litri, come il vino - era quella dell’intero quartiere, cioè trangugiare ogni sorta di liquido fuorché l’acqua. D’altronde alcune testimonianze sono propense ad indicare giusto in uno dei letterati vicini a questo gruppo, Antoine Blondin, il bevitore più scatenato. Jean Cau, dapprima giovane comunista e segretario di Sartre poi gollista e quant’altro, raccontava di averlo incontrato al mattino presto davanti al quindicesimo pastis. Vinse anche il premio letterario istituito fin dagli anni trenta ai Deux Magots, il locale preferito dai surrealisti (in giuria c’erano stati, fra gli altri, Jacques Baron, Michel Leiris, Georges Ribemont-Dessaignes) e viene da pensare che gli indubbi meriti di Blondin passassero in secondo piano rispetto alla netta vittoria conquistata sul campo della mescita.
La dissidenza meno assimilabile, del tutto estranea a quel po’ di omertà presente fra gli uomini di lettere, era rappresentata da un piccolo gruppo il quale, ancorché partecipe della fenomenologia riscontrabile nella famosa strada, poneva la sua ragione d’essere in termini solo apparentemente intrinseci alla letteratura e all’arte in genere - delle quali per altro reclamava lo sviluppo ultimo – quando concretamente ne stravolgeva ogni principio e ogni pratica corrente, compresa quella dell’avanguardia, della quale ciò nondimeno costituiva palesemente un ramo. Dal momento che si proclamava "lettrista", il gruppo dava esplicitamente a intendere una sua filiazione dalle più classiche aspirazioni del simbolismo, fornendo altresì una chiave per associarlo alle correnti cosiddette "moderniste", tentate dagli inediti tecnicismi piuttosto che dalle azioni perturbative. Rispetto ai compiti che si erano proposti i tonanti e distruttivi movimenti di prima della guerra, il nuovo gruppo poteva sembrare d’altra parte un piccolo ed innocuo sodalizio di tipo studentesco, di quelli che si dedicano alla poesia pensando di dire l’ultima parola, ma questa volta l’aggressività non mancava. La sua prima clamorosa iniziativa pubblica fu quella di disturbare nientemeno che una conferenza di Tzara, e tutto fa credere che venisse preso sul serio. Quanto alla collocazione nell’alveo dell’avanguardia, per evidente che fosse, poggiava sì a questo punto sopra comuni fondamenta, ma solo a patto di riconoscervi la necessità di oltrepassare il tipico nichilismo dadaista. Avanguardia e modernismo avevano da ritrovare nel lettrismo le loro affinità, l’una quale punta avanzata del mutamento e l’altra come ricerca della nuova sensibilità che lo rende possibile. Diverso dalle temperie karamazoviane e pessimiste proprie dell’esistenzialismo come da quelle, di altra derivazione ma per alcuni versi analoghe, dell’avanguardia storica - Breton aveva scritto a suo tempo che riconciliando l’uomo con l’istinto essa si poneva fuori da ogni criterio morale e di gusto - il lettrismo aveva poco o niente di nero e sulfureo ma, invitando a un ottimismo il quale, senza dover tributare alcunché a Condorcet o a Comte, era comunque schietto, non desiderava certo la tranquillità per sé e per gli altri. In altre parole, dava la misura di come, secondo il vecchio detto che le vie del signore sono infinite, il risultato non sempre sia alla ricerca delle stesse premesse. Glorificando l’arte ne intendeva colpire concretamente il nucleo di resistenza con una intensità pari a quella di chi la voleva una mistificazione tra le più alienanti.
Isidore Isou, il fondatore del gruppo, veniva dalla Romania, dove era nato nel 1925. Alla fine del 1944 la guerra a Bucarest era conclusa. Perché scelse di emigrare a Parigi è lui a dircelo: "Ho esitato fra l’andare in Russia, il paese di Ehrenburg e Gorki, o l’andare a Berlino, dove potevo fare lo scrittore yiddish. Quando scoprii che la Francia era il paese dell’avanguardia, ho abbandonato tutte queste idee, ho smesso di leggere libri in tedesco e in inglese e mi sono concentrato sulla lingua francese…se volevo diventare scrittore, dovevo raggiungere Parigi. Anche prima di concepire il lettrismo volevo venirci, perché rappresentava la letteratura più avanzata". Un’anima candida, evidentemente.
Il suo era un nome de plume. Si chiamava in realtà Goldstein ed era ebreo, cosa che, sebbene a correnti alternate, per alcune sue teorie non è priva di importanza, come si vedrà meglio in seguito. Poeti ed ebrei rumeni erano anche Tzara e Paul Celan che come lui avevano elevato Parigi ad abituale residenza. Con un po’ di buona volontà e tanta fantasia, a prescindere dal fatto che Celan scriveva in tedesco, Isou si potrebbe mettere fra i due, ancorché venga da pensare che il tipo di operazione, alla quale per il solito dedicano tante premure, riuscirebbe in questo caso sgradita agli specialisti della letteratura. Per Tzara chiuderebbero anche un occhio, "più storia dei movimenti culturali che poesia" - è facile immaginare la sentenza - ma su Celan non transigerebbero: è profondo. Quando si scrive in modo sibillino si hanno o poeti o ciarlatani. Dove mettere Isou? Arrivando a Parigi dalla Romania egli non si dava pensiero al riguardo di una futura collocazione, tanta era la sicurezza nei propri mezzi. A Frederique Devaux, autrice di una lunga intervista, dirà: "come ha scritto Henri Murger ne La vie de Bohème, uno sconosciuto attende, scrivendo nella sua camera, che qualcuno lo scopra e lo innalzi fino al pinnacolo". Qualche santo provvederà, dunque. Tanto candore non ne faceva ad ogni modo un Forrest Gump del 1945, tutt’altro. Isou sapeva come farsi strada e, al pari di tutti i finti ingenui, non aspettava che di giocare le sue carte: "un autore deve imporre la propria opera, deve cominciare ad imporsi con una super-propaganda vicina allo scandalo. E’ quel che ho fatto".
Per prima cosa si trovò un discepolo, sufficientemente debole, bisognoso d’affetto e di bistecche, al punto di innalzare da subito il maestro alle auspicate vette, conferendogli ulteriore sicurezza. Si chiamava Gabriel Pomerans, anche lui era ebreo e anche lui scelse di cambiarsi il nome, ma con minimo sforzo, diventando Pomerand. Nel 1956 venne espulso dal lettrismo e finì, quindici anni dopo, per suicidarsi. All’azione combinata dei due e di un paio di adepti conquistati alla causa - che faceva seguito a un fallimentare tentativo di qualche giorno prima per coinvolgere la stampa - si deve la rumorosa iniziativa di disturbo alla menzionata conferenza di Tzara. Stava parlando Leiris. L’indomani tutta Parigi, per lo meno la rive gauche, ma la cosa aveva finalmente stuzzicato i giornali, sapeva chi erano quei lettristi dei quali avevano distrattamente letto qualcosa su dei fortunosi volantini appiccicati ai muri nottetempo. Anni dopo, nel 1963, ormai facenti parte d’un movimento temprato dalle scissioni, i lettristi, in fondo rispettosi di chiunque avesse rappresentato la novità in arte, parteciperanno ai funerali di Tzara prendendosela coi burocrati stalinisti che lo stavano interrando. Nel 1946 dovevano viceversa mostrare i muscoli. Che un’ingiuriosa aggressività li imparentasse all’avanguardia, era altresì una delle prime acquisizioni ai loro riguardi. Tanto fecero che, allacciati i rapporti coi surrealisti - dai quali li dividevano in realtà molte cose - credettero perfino di riuscirne a sconvolgere il consolidato organigramma. Fatica inutile, ovviamente. Isou si lamenterà successivamente di essere rimasto escluso da l’Anthologie de l’amour sublime (1956) di Benjamin Péret, ma un vero risentimento non gli sarebbe mai convenuto.
Pomerand si era dato oltremodo da fare, perfino chiedendo l’elemosina, così da assicurare al capo sostentamento e proseliti, i quali in breve tempo divennero tanti abbastanza da costituire una presenza non più trascurabile di Sain Germain des Prés. Gallimard, che era stato avvicinato precedentemente con qualche sotterfugio, si convinse alla fine di pubblicare quanto Isou gli era già andato proponendo. Nel 1947 uscivano due libri, Introduction à une nouvelle poèsie et à une nouvelle musique, il titolo inutilmente proposto prima all’editore, e L’agrégation d’un Nom et d’un Méssie, assai rivelatore dell’abnorme ego che l’aveva concepito. Prendeva forma in questo modo "la dictature lettriste" - che è peraltro il nome di una rivista, cahiers d’un nouveau régime artistique, rapidamente decaduta - ma è difficile stabilire chi ne dovesse sopportare il carico, quale che fosse. A parte Pomerand, votato a fare l’Apostolo, c’era viceversa di che anarchicamente divertirsi. Nel 1949 Isou pubblicava, non più con Gallimard, bensì con le edizioni Aux Escaliers de Lausanne (da lui stesso create in memoria dell’accoglienza riservatagli dagli studenti della città svizzera), una sorta di romanzo erotico, arricchito da brani sessuologici, basato sulle sue proprie esperienze. La fama di libro pornografico gli procurò, come allora succedeva, alcuni fastidi con la legge - del resto benvenuti quale fonte di pubblicità. Breton, Tzara, Cocteau, Aymé, fra gli altri, firmeranno una petizione di soccorso. In questo modo la sensazione di avere a che fare con qualcosa di gradevolmente sovversivo si fece ulteriormente largo.
Se la rive gauche del dopoguerra costituiva una vera e propria cassa mondiale di risonanza, aveva tuttavia il difetto di azzerare le differenze nel fenomeno di costume, osservato per lo più con leggerezza. A vario titolo, il pettegolezzo faceva il suo corso come forma di critica a buon mercato che rinsaldava le fila dei vari gruppi di flaneurs male in arnese. Giochi di parole sul tipo di "Saint Germain des pedé" erano assai frequenti. Nel 1950 Pomerand, pubblicando un libro, Saint Ghetto de prets, dimostrava ancora una volta come i lettristi non fossero semplici comparse passive. Per quanto non accorgersi di loro fosse ormai impossibile, il parlarne a ragion veduta restava difficile, vuoi per pregiudizio, vuoi per un certo paternalismo della cultura ufficiale - oltre che per l’ermetismo del loro linguaggio (il libro di Pomerand era zeppo di oscuri simboli). Fra gli americani a Parigi si accorse dei lettristi un giovane Robert Shattuck, futuro storico dell’avanguardia in odor di patafisica (è "provèditeur géneral", o giù di lì, del celebre "College"), che inviò una sua corrispondenza ad "Accent", ma il tono non usciva dalla perplessità, né ci si deve stupire.
Chi guardava alla Parigi di quegli anni (ma chi non lo faceva?), assisteva alla fondazione di nuovi giornali e nuove riviste (non solo "Les temps modernes", basti pensare a "Critique", a "La table Ronde" o a "Les lettres francaises"), si imbatteva in "affari" appassionanti e non di rado partigiani (da quelli legati alla "epurazione" all’affare Kravcenko, ai "cittadini del mondo" di Garry Davis), ritrovava i vecchi protagonisti come Cocteau in forma smagliante e ne scopriva di nuovi come Ionesco (per il quale Bataille si scomodò al punto di fare da "uomo sandwich" per publicizzare la prima de La cantatrice calva). Un’occhiata ai titoli dei libri usciti a Parigi in quegli anni è rivelatrice. Solo per farsene un’idea: Paroles di Prévert (1945), Le déshonneur des poétes di Péret (1945), Traversée de Paris di Marcel Aymé (1946), Le Bavard di de Forets (1946), Le Sabbat di Sachs (1946), J’irai cracher sur vos tombes di Vernon Sullivan-Boris Vian (1946), La peste di Camus (1947), Animaux Familiers, Carnets de Don Juan ed Essai sur moi-meme di Jouhandeau (tutti nel 1947), Humanisme e terreuer di Merleau Ponty (1947), Exercises de style di Raymond Queneau (1947), la raccolta dei Poèmes di Breton (1948, ma negli anni immediatamente precedenti erano usciti anche Arcane 17 e l’Ode à Charles Fourier), Poèmes politiques di Eluard (1948), Le corps tranquilles e Caroline chèrie di Jacques Laurent (1948, il secondo come Cècile Saint-Laurent), Le hussard bleu di Roger Nimier (1948), La part maudite di Bataille (1949), Journal du voleur di Genet (1949), Lautremont e Sade di Blanchot (1949), Les structures élémentaire de la parenté di Lévi-Strauss (1949), Dialogues des Carmélites di Bernanos (1949, postumo), La cantatrice chauve di Ionesco (1950), La littérature à l’estomac di Gracq (1950), L’homme révolté di Camus (1951), Le rivage de Syrtes di Gracq (1951), En attendant Godot di Beckett (1952), Saint-Genet di Sartre (1952), Feérie pour une autre fois, di Céline (1952). Si tenga inoltre presente che nella stessa tornata di anni facevano la loro comparsa diversi libri poetici di Char, Ponge, Frénaud e Tardieu, uscivano alcune opere saggistiche (e diaristiche) di Mauriac (nonché svariate dell’attivissimo figlio, Claude), almeno tre libri di Aron, le prime raccolte delle Situations di Sartre, gran parte dei suoi drammi e, fra le altre non poche cose, nel 1946, il testo della sua conferenza del 1945 L’existenzialisme est un humanisme, che contribuì come nient’altro a farlo diventare un personaggio pubblico.
In un terreno. Come quello rappresentato da Saint-Germain-des-Prés, fertile al punto da lasciar confusi, l’aver ottenuto di essere riconosciuti come parte dinamica e caratteristica era già un risultato ragguardevole. Nello stesso affaccendarsi megalomane di Isou si profilava qualcosa di eroico. Non mancava comunque chi, fra i dati più appariscenti e bozzettistici, cercava i ragguagli d’un nuovo genere artistico e letterario. E’ il caso d’un bravo cronista italiano, Bruno Romani (già fascistissimo collaboratore di "Primato", ora liberale) il quale in due fitte pagine riusciva a comporre un profilo che, nella sua brevità, resta a tutt’oggi in larga misura esemplare:
… "Le serate lettriste erano animate e fervide. Esse ricordavano quelle del futurismo italiano. Le polemiche e le discussioni nascevano nella sala, e si sviluppavano tra il pubblico e gli oratori, con scambi di ingiurie e di battute. E terminavano in una baraonda indescrivibile…".
… "Quando Isou giunse a Parigi già portava dentro di sé i suoi progetti letterari e artistici. Aveva meditato a lungo sulla evoluzione della poesia, scoprendovi l’esistenza di due epoche, o due cicli: l’epoca "amplique" che va dai greci fino a Baudelaire, e un’epoca "ciselante" da Baudelaire ai nostri giorni. Nel corso del primo ciclo la poesia impegnava tutto l’uomo, proponeva e risolveva problemi umani, sociali e storici. Nel corso del secondo ciclo è il "cesello" che prevale su ogni altro interesse. Esso coincide con la ricerca e la creazione della poesia attraverso la parola. Il surrealismo, infine, con la sua estetica dell’automatismo, porterà la dissociazione della parola dal contenuto fino alle sue estreme conseguenze. Una terza epoca della poesia nasce, secondo Isou, con la dissoluzione delle lettere e della parola che conduce alla creazione di un motivo poetico-musicale … Isou a tal proposito cita spesso passaggi degli Uccelli di Aristofane, delle favole di La Fontaine, del Borghese gentiluomo di Molière, eccetera. Ma il valore musicale delle lettere in sé e per sé non era stato ancora affermato. Il numero delle lettere, secondo i lettristi, non è fisso: gli accoppiamenti, gli accenti, le cesure, creano tutta una nuova gamma di lettere. Isou ne ha, dal canto suo, scoperto ben 18 ".
… "Isou aveva delle idee e cercava un interprete fedele per esprimerle in buon francese: e l’interprete fu Pomerand. Il lettrismo è figlio di due padri, Isou e Pomerand … egli declamava, davanti a un pubblico borghese e cosmopolita, poesie lettriste. Con voce nasale scandiva i ritmi; la successione dei suoni dolci, gutturali, duri, disorientava il pubblico che reagiva o con la indignazione oppure con l’ironia … I lettristi avevano preso assai sul serio la loro missione. Almeno una volta alla settimana gli adepti si riunivano in una libreria delle Tuileries intorno ai due fondatori: discutevano di estetica, leggevano poesie, formulavano progetti …".
Alla fine della sua ricognizione, indubbiamente accurata, Bruno Romani riteneva di scorgere nel lettrismo un movimento immalinconito con un capo avviato alla normalizzazione. Come prova di ciò citava la conversione dei lettristi al cinematografo, quasi che fossero tentati, sembra di leggere fra le righe, di diventare dei Gerard Philipe. Il libro di Romani, Parigi d’oggi (Leonardo da Vinci editore), non portava alcuna data. La copia in nostro possesso reca tuttavia un’annotazione del libraio con l’indicazione del nome del grossista e la data d’acquisto, un giorno del 1951. Una breve ricerca su un repertorio bibliografico dell’epoca ci ha confermato l’anno di edizione, il 1951, che è effettivamente l’anno in cui Isou girava il suo primo film, Traité de bave et d’eternité, e diffondeva il Manifeste du cinéma discrepant. In un certo senso, quindi, ci sarebbe di che convenire nuovamente con la bontà dell’informazione di Romani, il quale propendeva anche lui a fare del lettrismo soltanto "una stagione della giovinezza", indissolubilmente legata all’originario subbuglio di Saint-Germain-des-Prés e basta. Viceversa, con le sue nuove iniziative - che non costituivano certamente i mezzi più idonei ad una carriera normalmente intesa nella settima arte - Isou intendeva continuare a far rumore ampliando le attività del movimento, tanto che a partire dal 1949 erano state poste le basi di un’azione più ampia e massiva. In quell’anno Isou si incontrava col giovane anarchico Maurice Lemaître (in realtà Moïse Bismuth, un altro ebreo che cambia nome) destinato - più storico ed esegeta che apostolo - a sostituire strada facendo Pomerand. Sempre in quell’anno - ma vi aveva senz’altro già messo mano da tempo - faceva conoscere il Traité d’économie nucleaire: le soulevement de la jeunesse, sostanzialmente il primo di una serie di manifesti (la raccolta completa, fino all’ultimo, del 1956, sarà pubblicata a Parigi solo nel 1967) che Isou consacrava alla ribellione giovanile. L’anno successivo Lemaître avrebbe fondato una rivista, "Front de la jeunesse", ispirata dal maestro, anonimo estensore dell’editoriale.
L’idea di una pressione giovanile paragonabile a quella delle masse non era senz’altro nuova. Le sue molteplici ragioni trascendevano i dati puri e semplici del mutamento sociale - basti pensare che nel settecento un Haydn alla soglia dei diciott’anni cantava ancora in un coro di voci bianche mentre le ragazze scoprivano le prime mestruazioni mediamente dopo i sedici - e avevano portato a forme di raggruppamento diverse da quelle ampiamente ritualizzate della tradizione. La consapevolezza del fenomeno da parte della società si era riversata in una serie di associazioni sussidiarie alle organizzazioni del mondo adulto, sia come loro diretta emanazione che come non sempre ben specificate palestre di morale, educazione civica e salute. Almeno in un caso, quello dei wandervogel tedeschi di inizio secolo, il gruppo spontaneo e solidale di giovani si tradusse in un movimento più ampio, paragonabile alle strutture maggiori, quando in genere restava legato a compiti e a simbologie territoriali. Spregiudicato, a tratti enfatico, comunque costante, era stato il richiamo alla giovinezza da parte delle avanguardie artistiche. La peculiarità del discorso di Isou consisteva nell’averla assimilata al centro nevralgico della propria elaborazione teorica. Vale però forse la pena di ricordare che proprio in Francia, negli anni trenta, Bertrand de Jouvenel, figliastro e qualcos’altro di Colette, andava pubblicando una rivista che appellandosi "a tutti i giovani, soltanto loro" si chiamava inequivocabilmente "La lutte des jeunes". All’inizio del decennio c’era stato perfino un momento in cui si era profilata l’eventualità di un fronte comune di tutti i movimenti giovanili. L’appuntamento non sfuggì alla "NRF" la quale, tramite Jean Paulhan, commissionò a Denis de Rougemont (autore poco prima del saggio Cause Commune) un fascicolo speciale sui giovani denominato "quaderno delle rivendicazioni". Vi collaborarono scrittori di diversa estrazione, da Robert Aron a Paul Nizan, da Thierry Maulnier ad Henri Lefebvre.
Detto questo non si vuol togliere niente ad Isou. C’è piuttosto la tendenza, emersa soprattutto in anni recenti, a interpretare i suoi lavori in proposito come una significativa anticipazione di molta assai più tardiva ricerca sociologica in materia. In ciò c’è del vero - e la propensione a pedanti tassonomie comune a tutti i suoi scritti teorici in un certo qual modo lo sottolinea - benché se ne esageri l’originalità. Isou intendeva la gioventù come la condizione degli esclusi dai grandi circuiti dell’appropriazione che cercano forme nuove, e spesso futili, di risarcimento - il che ricorda molto da vicino la ricerca sull’anomia - sviluppata negli stessi anni e dopo, ma cominciata prima della guerra - di Robert K. Merton (per non dire degli svariati frammenti rinvenibili risalendo giù fino a Veblen, a Durkheim e anche a Marx). A nostro modo di vedere, nel contesto sociologizzante degli scritti di Isou, immersi per giunta nel bagno economicista che ne doveva garantire probabilmente la plausibilità, l’elemento di fatto più attraente resta quello legato ai sopravvissuti toni volontaristici, dunque all’insorgenza. richiamata dai titoli. In nome della gioventù, nel clima da resa dei conti che c’era in Francia, i lettristi chiedevano di "liberare i giovani miliziani dalle prigioni". "Noi abbiamo fatto la resistenza", diceva l’articolo d’un loro foglio, "abbiamo lottato per le identiche assurdità dei nostri nemici, i giovani miliziani. Aprite le prigioni ai nostri fratelli. Uniamoci …viva la giovinezza!". Era una chiara dimostrazione di coraggio, a maggior ragione se si pensa all’origine ebraica dei capi. Fra alcuni dei giovani approdati al lettrismo, le esortazioni di Isou alla "sollevazione" sembreranno tuttavia, sulla base di quanto si andava pubblicando, più affini a quella che si sarebbe detta una "politica riformista" (tipo riforme scolastiche, educazione sessuale, ecc.) che a una vera e propria rivolta. Prima ancora di assaporare i succosi frutti della devozione, il Messia del lettrismo doveva fare i conti con discordie e situazioni che rischiavano di sfuggirgli di mano. E’ il caso del famoso "scandalo di Notre Dame".
Un giovane cattolico in crisi, poi rientrato nei ranghi, si alzò, vestito da domenicano, sul pulpito della cattedrale a proclamare la morte di dio, accusando la chiesa cattolica di "infettare il mondo con la sua morale mortuaria". L’azione, prontamente sostenuta dai surrealisti, era stata combinata insieme ad alcuni giovani lettristi, soprattutto Serge Berna, Jean-Louis Brau, Claude Matricon e Ghislain de Marbaix, ma era stata seguita anche da Pomerand e da Marc’O (prossimo direttore di Ion, la rivista cinematografica dei lettristi, nonché produttore del film di Isou) i quali, con senso più dell’opportunità che dello scandalo, si sarebbero prudentemente eclissati. Qualche tempo prima, Brau e Matricon avevano conosciuto un giovane comunista, saltuario collaboratore di "Combat", Joseph, meglio conosciuto come Gil Wolman, il quale si era avvicinato ai lettristi nel corso di un recital di Francois Dufrêne. Insieme si erano dati a pubblicare l’unico numero di una rivista, "Transit". Nel 1951, Guy Debord, giovane liceale a Cannes, assisteva alle polemiche sorte in seguito alla presentazione forzata, nell’ambito del festival cinematogtrafico, del Traité de bave et d’eternité di Isou. L’anno successivo, trasferitosi ormai a Parigi, tornerà a Cannes per un’altra "spedizione" al festival dettata dall’esclusione de L’anticoncept di Wolman. In giugno veniva presentato, in una sala parigina, Hurlements en faveur de Sade, la lunga banda nera e bianca che è il primo film di Debord, il quale si alzava dicendo, "il cinema è finito, passiamo al dibattito". Una seconda proiezione si terrà in ottobre presso un cine-club diretto da Eric Rohmer. Le reazioni dei cinefili a queste operazioni sono prevedibili. Naturalmente vi partecipava anche Isou, ma qualcosa era cambiato. Dufrêne e Marc’O resero indipendente un movimento che si rifaceva al "Soulevement de la jeunesse". Per parte loro Debord, Berna, Brau e Wolman (a quanto pare furono gli ultimi due gli ispiratori) davano vita a una tendenza, che si chiamerà Internationale lettriste, allo scopo di ridurre l’influenza isouiana. La rottura avverrà da lì a poco, quando, in occasione della visita di Charlie Chaplin a Parigi, i giovani dissidenti distribuivano un volantino oltraggioso nei confronti dell’attore. Isou, Lemaître e Pomerand si dissociavano pubblicamente inviando un comunicato a "Combat". Avevano sempre sostenuto la necessità di estendere gli scandali, quali che fossero le motivazioni. L’ultima generazione di lettristi li aveva presi alla lettera. Sarà a questo punto Isou ad essere "espulso" dall’Internazionale lettriste come "individuo moralmente retrogrado" e, il che raggiunge veramente il colmo del sarcasmo, dalle "ambizioni limitate". Eliane Papai, moglie di Brau, in un libro pubblicato nel 1968, ricorderà così quel periodo: "La vita dell’Internationale lettriste non si può dissociare dal quartiere di Saint Germain. I suoi membri avevano installato il quartier generale da Moineau, un infame pertugio della rue du Four, dove sarebbero stati raggiunti dai giovani rivoluzionari che non erano prima stati lettristi. La droga, l’alcool, le minorenni, facevano parte del folclore del gruppo".
In un’inchiesta sui giovani pubblicata da Françoise Giroud qualche anno dopo, che darà anche il nome a un gruppo di speranze del cinema francese, la nouvelle vague, non c’erano tracce di tutto il gran daffare di Isou intorno a loro. Nell’indagine compiuta dall’Institut français d’opinion publique nel 1957 su un campione di 15.000 giovani, non c’è nessuno che indichi Isou fra gli scrittori che hanno "lasciato l’impronta più forte". Su tutti, fra l’altro, vinceva ancora Sartre con una percentuale del 20% (Camus era al 4, Aragon al 2). Di fatto, la situazione non era molto diversa sul terreno più propriamente artistico e letterario. Sebbene il lettrismo, in specie Isou, fosse una realtà in larga misura acquisita, il suo dominio più appropriato sembrava quello delle eccentricità, significative fin che si vuole, ma alla fine estranee a quel discorso sulla "grande arte" che non ha smesso mai di riprodurre i suoi arcigni professori e le loro spesso dubbie valutazioni. Né a lungo valsero a sovvertire la situazione (per altro poco chiara anche oggi) le personali testimonianze di svariati artisti riconducibili a quel novero - Ben, Alain Resnais, Yves Klein e altri - a sostegno di un ascendente apertamente riconosciuto e lontano dagli inutili sentimentalismi. Il solo vero libro di riferimento sulla stagione fondativa e classica del movimento di Isou è stato per un tempo infinito (e resta ancor oggi per vari aspetti insuperato) un libro del 1962 (un suo condensato lo pubblicò più tardi in Italia il "Marcatré") scritto da un lettrista dissidente, propugnatore dello schematisme, Robert Estivals: L’avant-garde culturelle parisienne depuis 1945 (Guy Le Prat editeur). Ma su un’altra funzione del lettrismo - quella legata ai pungoli personali se non a quelli generazionali, alla metamorfizzazione degli abiti mentali e a un più generale disegno di critica delle idee ricevute - le testimonianze non lasciano dubbi. Di Eliane Papai abbiamo detto. A Jean-Louis Brau si deve invece un’interessante (ma per niente apprezzata da Debord) "storia dei movimenti rivoluzionari studenteschi europei", Cours, Camarade, le vieux monde est derrière toi! (Albin Michel, 1968) che si diffonde sul lettrismo come una delle fonti della rivolta moderna. Brau, comunista, figlio di un sindaco comunista, figlioccio di Charles Tillon (burocrate e stretto compagno d’armi di André Marty, uno dei massacratori degli anarchici in Spagna), al pari di quei personaggi inquadrabili nel "ritratto dell’avventuriero" di Roger Stephane, aveva tentato giovanissimo di entrare nella Legione straniera e, sempre attratto dalle avventure guerresche, riusciva finalmente nel 1954 ad imbarcarsi per l’Indocina. A quel punto era ovviamente già stato espulso dalla Internationale lettriste per "deviazione militarista". Ciò nondimeno, il passaggio nel lettrismo e le pagine consacrategli nel suo saggio, assumono, alla luce di queste esperienze di vita, un aspetto stringente e veritiero di unicità e momenti propiziatori. A questo proposito, la testimonianza forse più vivida è quella un tantino pantagruelica (in fondo una chiave per leggere quanto c’è di umoristico in queste vicende) rilasciata da Jean-Luc Mension in una lunga intervista d’un paio d’anni fa all’editore Gerard Berreby (La tribu).
Nello stesso anno del sondaggio di cui sopra, il 1957, i rappresentanti della Internationale lettriste, insieme a quelli di altri gruppi convenuti a Cosio d’Arroscia, nella Liguria interna, davano vita alla Internationale situationniste. Se questa è un’altra storia, della storia è anche una continuazione. Non per niente le personalità maggiormente intrinseche al surrealismo, come è il caso di Asger Jorn, concederanno al movimento di Isou, a scapito degli stessi gruppi di provenienza, il profilo del più importante raggruppamento d’avanguardia del dopoguerra. Per sua parte, l’Internationale lettriste si era già caratterizzata rispetto alla casa madre - ben oltre l’inclinazione alle scomuniche da tutti condivisa - attraverso una spiccata ripresa degli impegni surrealisti, dei quali, a ben guardare, costituirà lo sviluppo coerente. D’altro canto il filone originale del movimento - fedele a un dettato niente affatto accomodante, seppur interessato a rivendicare l’affinità con l’avanguardia storica - andrà mostrando negli anni un’inflessione che le numerose bizzarrie non ci impediranno di definire dogmatica. I metodi, che nei vecchi raggruppamenti venivano improvvisati in vista di scopi più o meno immediati, equivarranno fra i lettristi a delle leggi.
"Nous entrerons dans la carrière…", scriveva Isou, ai suoi esordi. E, al di là dei risvolti sociologici e di costume, va rimarcato come si sia trattato di una carriera anzitutto letteraria, rapidamente intrecciata con la pittura, il cinema, l’art corporel, nell'intento di costruire - entro l’ambito delle arti e, più in generale, della conoscenza - un vero e proprio sistema. Ma la percezione, all’esterno del movimento, di questa tensione globalizzante doveva emergere solo a ridosso degli anni ’60. In una prima fase i pochi esegeti si soffermavano in prevalenza sulla produzione poetica, magari comparandola alle glossolalie religiose e ai neologismi degli alienati, come faceva Lydia Krestovsky nel 1947 su "Esprit". Enunciata da Estivals nelle pagine di "Grammes", l’idea del Système d’Isou, doveva divenire oggetto di un lungo scritto di Asger Jorn, pubblicato sul quarto numero dell’ "Internationale Situationniste". Jorn vi sostiene che Isou si dibatte in una contraddizione di fondo fra originalità e grandezza, fra l’importanza del suo apporto personale e quella del sistema che ha elaborato. E, pur riconoscendo all’interno di questo un inestricabile viluppo di componenti religiose e artistiche, lo interpreta come un’ottica, un "qualcosa di estremamente divertente e nuovo" per l’Europa giacché contemplerebbe la misurazione "di tutti i valori nella prospettiva cinese, mentre a partire dal Rinascimento sono stati costantemente misurati nella prospettiva centrale". Ma in verità questo ha più a che fare con la "posizione" di Isou che non con il suo sistema. E la posizione che Isou scopertamente assume sin dall’inizio aggira sia l’originalità che la grandezza per puntare, messianicamente, sull’unicità. "C’est un Nom et non un maître que je veux être" … "le Nom des Noms = Isidore Isou".
Lasciamo ad altri di occuparsi in maniera approfondita del "nome" che Isou ha assunto per realizzare sé stesso e il mondo ("Vi sarà un giorno in cui tutto sarà compiuto, integro e perfetto. Non è forse Isou l’incarnazione di quest’avvenire?"), limitandoci a notare come vi s’annidino implicazioni religiose diverse (letteralmente Isidore significa "dono di Iside", contiene l’anagramma di Osiride, e secondo l’interpretazione dell’interessato in ebraico significherebbe Israele, mentre Isou sembra foneticamente molto vicino al nome del messia dei cristiani). Più interessante è notare che del modello messianico - già lucidamente indicato da Estivals come nucleo della demarche isouiana - vengono mantenuti l’annuncio, la cerchia dei discepoli, il radicamento in una tradizione millenaria mentre cambia radicalmente lo strumento salvifico: all’atto di fede si sostituisce l’atto di creazione.
Mentre vengono quindi recepite senza eccezioni le discipline classiche, si determina la necessità di un loro sovvertimento radicale. L’originalità, la novazione tornano in campo come attributo (e inveramento) dell’unicità. Non si tratta, beninteso, di una presa di partito in favore di pratiche istintuali e spontaneiste. Al contrario l’originalità è raggiunta mediante l’uso di una serie di regole, se non di un metodo vero e proprio. Il riconoscimento di nuovi domini operativi (quello della lettera, prima di ogni altro) viene raggiunto impiegando processi di frammentazione (la scomposizione della parola) che coesistono con altri, improntati invece all’accrescimento (l’ipergrafia, che associa in un quadro di ordine superiore lettere e immagini unificando de facto le discipline letterarie e plastiche; il quadro supertemporale che introduce la dimensione diacronica e la pluralità degli autori all’interno dell’opera) o, ancora, ad una sorta di trasposizione virtuale (l’esthapeirisme, arte immaginaria o infinitesimale ove ogni singolo elemento compositivo viene spogliato del suo senso immediato per evocarne un altro, inesistente). Né va dimenticata la genesi per negazione: così, ad esempio, alla mecaestetica generalizzata, che prevede la realizzazione di opere avvalendosi ogni materiale possibile, esistente o no, fa riscontro l’antimecaestetica in cui viene posto in atto il detournement del supporto, utilizzato in maniera innaturale o comunque opposta all’uso invalso. E così ancora alla musica e alla poesia "sonore" si contrappone l’afonismo, sfera "della recitazione inudibile o silenziosa".
Benché l’apparenza sia di un coacervo abbastanza confuso, ad un esame più attento l’insieme si rivela coerente e simmetrico. E se è dubbio che arrivi a coincidere con "la loi à la quelle obèit Dieu" si presta senz’altro ad integrarsi in un sistema le cui pretese totalizzanti si fondano da un lato su una classificazione puntuale (detta kladologia) delle branche dello spirito e della materia, che induce Isou ad occuparsi volta a volta di economia, di psicopatologia, di fisica, di matematica, di chimica, di medicina; dall’altro su una trasversale istanza rigeneratrice.
Non solo: ciò che conta maggiormente è che si tratta - come notava Debord - di un approccio valido per "investigare i meccanismi della creazione": tratto non da poco, quando si consideri la povertà di molte correnti contemporanee, ridotte al monotono utilizzo di "une seule gag artistique essouflée", talvolta attinta almeno in parte (potrebbe essere il caso della poesia visiva e sonora, del Nouveau Realisme, dello Schematismo, dell’arte concettuale e via dicendo) proprio dalla strumentazione lettrista.
Se la grande teoria resta monopolio di Isou, la messa a punto di singole branche è affare dei suoi vicari: di Maurice Lemaître, che definisce nel 1952 il Sistème de Notasion pour les Lètries (ed. Richard-Masse) e in seguito unifica l’ambito dei mezzi di comunicazione sonori (iperfonologia) e quello dei mezzi di comunicazione visiva (ipergrafia) nella ipergrafologia; di Roland Sabatier, che approfondisce in particolare le tecniche della politanasia, volte a distruggere le forme esistenti dell’arte "al fine di liberare il corpo lirico da una cancrena irrimediabile e di lasciar respirare nuove particelle, più complesse o più fini". Ma è soprattutto sul terreno delle opere che gli artisti del movimento si sono espressi, con una poliedricità che riflette la dimensione totalizzante del sistema isouiano e che produce, quando ancora l’idea di intermedialità (che sarà propugnata oltreoceano negli anni ’60 da Dick Higgins) era di là da venire, interessanti forme di ibridazione disciplinare.
Si è già accennato, a questo proposito, come la prima fase dell’operatività lettrista sia legata principalmente alla dimensione poetica. In quest’ambito Isou e i suoi primi compagni sperimentano un primo decisivo depassement: quello della parola. Il materiale che ne emerge, la lettera, si pone anzitutto come entità sonora. In questo forse - al di là della genealogia letteraria che dall’epopea omerica, per successivi raffinamenti, approda a Mallarmé e Rimbaud, cui viene riconosciuto il merito di aver spezzato le pastoie del verso - è possibile intravedere ancora un portato della tradizione ebraica che coniuga aniconismo e primato della dimensione verbale. E sulla poesia fonetica i lettristi convergono attraverso una serie di recitals (cui si accenna nel resoconto di Romani riportato più sopra) ove emerge la figura di Gabriel Pomerand che non solo propone al Tabou le prime composizioni di Isou, come Lances rompues pour la dame gothique o Swing, ma presenta alla Salle Rochefort, nel 1946, la propria Symphonie en K, in cui espressione lirica e musicale si fondono in una "chorale ciselante", incentrata sull’articolazione arbitraria della lettera che le fornisce il titolo. Altri contributi fondamentali verranno proposti negli anni seguenti da personaggi ai margini dell’ortodossia lettrista: da Gil J. Wolman, nel 1951, con la megapneumia, tecnica del "grande soffio" in cui vengono dissolte le consonanti; da François Dufrêne, nel 1953, con i cri-rythmes, suscitati da una reazione all’asserto di Artaud secondo cui in Francia non si sarebbe saputo più gridare. Più tardi, negli anni '70, Jean-Paul Curtay, seguendo la traccia, integrata con gli apporti dell'art corporel, di un suono non più affidato alla vocalità, proporrà la forma estrema della Body Music.
Benché le prime manifestazioni dedicate alla pittura lettrista presso la Librairie de la Porte Latine rimontino al 1946 è solo all’inizio del decennio seguente che si compie, in questo dominio, un decisivo passo in avanti, con l’apertura alla totalità dei segni alfabetici, matematici, tecnici e d'invenzione e il conseguente approdo alla metagrafia (in seguito ribattezzata ipergrafia), propiziato - una volta ancora – dalla mediazione letteraria. Il procedimento è infatti utilizzato da Isou in quell’anno nel prototipo del nuovo romanzo in cui la sequenza narrativa è stravolta dall’introduzione di elementi visivi: Les journaux des dieux, cui fanno seguito Saint ghetto des préts, di Pomerand, già citato, e Canailles, di Lemaître. Il primo organico ciclo metagrafico, Les nombres, viene infatti esposto da Isou nel 1953 alla Galerie Palmes di Parigi. E si tratta, in realtà, della trasposizione di una serie di trentasei "stanze" in rima baciata sul tema dell’utilizzo dei numeri in pittura e poesia: un risultato già in qualche modo definitivo, ma che altri arricchiranno nel tempo di innumerevoli varianti: Lemaître in direzione più marcatamente plastica, Minola con un raffinato calligrafismo, Sabatier attraverso una sorta di iperdeterminazione decorativa, Satié con una sintesi originale fra lettera e astrattismo geometrizzante, Curtay con lavori sulla prospettiva, Poyet mediante una scansione ritmica fondata sulla "ripetizione differente" dei segni grafici, Dupont con la sovrapposizione delle scritture.
Il cinema rappresenta il terzo grande ambito in cui si esercita l’innovazione lettrista. E’ ancora Isou ad inaugurarlo, nel 1951, con il Traité de bave et d’eternité, in cui Stan Brackhage identifica "non un film ‘mito’ ma un film ‘colonna vertebrale’ ". Isou utilizza scarti di pellicola del Servizio cinematografico dell’esercito e immagini volontariamente degradate, separa la banda sonora dall’immagine (realizzando il c.d. montaggio discrepante), rinnega la stessa nozione di sequenza. Lo segue in quello stesso anno Lemaître, con un autentico capolavoro, Le film est dejà commencé?, definito dall'autore séance de cinema, in cui l'opera diviene totale, coinvolgendo il supporto della proiezione (un pallone sospeso), l'ambiente e il pubblico, stimolato a partecipare attivamente. Vi si affacciano quei fotogrammi (forme circolari in campo scuro; spezzoni interamente neri e bianchi) che, isolati, formeranno il tema visivo azzerante de L'Anticoncept di Wolman e, soprattutto, di Hurlements en faveur de Sade, l'opera in cui Guy Debord inizia a praticare la tecnica del detournement su cui - unitamente alla derive di ascendenza surrealista - s'impernierà l'esperienza dell'I.L. In seguito il cinema si rivelerà uno dei territori più idonei alla creazione infinitesimale, coltivata in particolare, oltre che da Lemaître, da Roland Sabatier in lavori senza pellicola e schermo, a durata infinita ecc.. Sarà, infine, il bacino di coltura di una generazione lettrista che - venuta alla ribalta fra gli anni '70 e '80, attraverso le figure di Pierre Jouvet, Frederique Devaux e Michel Amarger - si dimostrerà capace di recare nuovi apporti al movimento.
L'ampiezza degli interessi del gruppo rende pressochè impossibile darne un resoconto esauriente. Occorrerebbe dire ancora, fra l'altro, dell'impegno nel teatro, nell'architettura, nella fotografia, nella performance e - perché no? - nella polemica culturale. Ma, seguendo una pratica avviata dallo stesso Isou addirittura nel 1947, è tempo di abbozzarne un bilancio. Cosa ne è oggi del lettrismo? Sorto più di cinquant’anni fa, non ha ancora rinunciato a tenersi aggrappato a quell’evento ampiamente incompreso, zeppo di mistero, che a volte, con ingiustificata superbia, chiamiamo vita. Dunque, semplicemente, il lettrismo "è". Ed è per giunta il più longevo di tutti i raggruppamenti d’avanguardia, benché non manchino gli assertori di un preteso "movimento surrealista", il quale - legato oltretutto a traffici accademici e a professori d’università, magari in buona fede e dotati perfino d’un adeguato pedigree - sarebbe eventualmente neonato più che sopravvissuto. In ogni caso la continuità senza sbavature esibita dai lettristi rimane davvero impareggiabile. Stabilire invece cosa ne sia delle tante ed entusiastiche promesse di espansione creativa che hanno continuato a caratterizzare il movimento è più difficile e, forse, anche superfluo. Naturalmente, gioverebbe conoscere come e quanto esse siano state effettivamente credute, anche se l’impostazione dei lettristi lascia poche speranze a quanti vogliano pensare ad un mero assegnamento metaforico. Per dirla tutta, sulla base delle promesse c’è poco da constatare. Tuttavia, anche se fosse niente – cosa probabilmente vicina alla realtà – il lettrismo è comunque stato tutt’altro che avaro di opere e, quello che è più importante, non meno intriganti (talvolta, anche per l'inusualità dell'approccio, decisamente di più) di tutte quelle altre che negli ambienti dell’arte hanno ottenuto reputazione.
Suppergiù da un ventennio, la sua presenza nelle mostre di alto profilo, al cui indirizzo in qualche misura lo si possa assimilare, è diventata naturale. Una comoda data onde far cominciare tali fortune, che comprendono la Biennale veneziana del 1993, la si può fissare con la mostra Paris-Paris del 1981 al Centre Pompidou. In quell'occasione ai "commissari" (è questo il nome attribuito ai curatori delle mostre) sarà magari sfuggito che l’inserimento del lettrismo, a quel punto inevitabile, in un così prestigioso concilio avrebbe di fatto allargato la vecchia nozione di école de Paris, tracotante e pervasa di grandeur. Ma piaccia o non piaccia è ormai così. Fa però un certa impressione riscontrare che i lettristi, quasi si trattasse di un gruppetto agli inizi, continuino a fare affidamento esclusivamente sulle proprie forze per spargere i brandelli della loro sapienza. E’ del resto ragionevole pensare che, concependo soltanto tempi messianici, possano in effetti credere di stare ancora partecipando ad una fase aurorale. Ipotizzare inoltre che la loro ostinazione possa derivare da una comprensibile diffidenza nei confronti dei commentatori è altrettanto ragionevole. Le ricostruzioni ancora di recente proposte, in particolare da Roland Sabatier e Frederique Devaux (quest'ultima nel settore cinematografico) con il rigore della loro ortodossia finiscono con l'impoverire la portata del movimento. Eppure, la presenza del lettrismo come protagonista delle arti si è accompagnata, in questo ventennio, ad una superiore, decisa e pertinente considerazione del fenomeno culturale che rappresenta e, ancor più, che ha rappresentato. La stessa morte di Debord, nel 1994, ha riversato sul suo antico gruppo d’appartenenza molta dell’attenzione di quegli ambienti che a lungo gliela avevano negata. Artisti e scrittori nati dopo il 1960, perciò estranei alle temperie addensate attorno al 1968, quando una certa agitazione raggiungeva il culmine e ancora spandeva freschezza, hanno cominciato a scriverne, comunque li si giudichi, perlomeno con cognizione di causa: pensiamo a Stewart Home. Taluni saggisti e giornalisti più vecchi hanno viceversa pubblicamente confessato la loro ignoranza e si sono variamente dati da fare per porvi rimedio. E’ il caso di Greil Marcus il quale, con il suo Tracce di rosssetto del 1989 (Leonardo, per l’edizione italiana), in uno stile un po’ "new journalism" e un po’ "Planéte" (una delle bestie nere dei situazionisti), ha portato la materia al cospetto di un pubblico indifferenziato e curioso - quantunque l’impianto, per così dire, "complottistico", possa risultare alla fine fuorviante. Ultima lodevole iniziativa, all’atto di scrivere, è stata la collocazione del lettrismo nell’ambito delle "scienze anomale", genere al quale Isou ha fornito esempi in abbondanza. Ciò è avvenuto nel contesto di un’opera enciclopedica, Forse Queneau (da un calembour di Giulia Niccolai) curata da due studiosi italiani, Albani e della Bella, che si sono guadagnati la partecipata introduzione di un filosofo professionista come Paolo Rossi. Naturalmente, un serio episodio della storia recente della cultura quale è il lettrismo, deve qui dividere il proscenio con ameni svaghi di natura patafisica, e con la Patafisica stessa. Per fortuna non mancano personaggi che, seppur lontanamente, si possono imparentare agli enormi sforzi di Isou per appressare "i principi primi", si pensi a Giulio Ser-Giacomi. In definitiva si deve a persone come loro la riaffermazione di una elementare considerazione: chiunque pensa è un filosofo. Non solo. Contro il costume invalso nel mondo accademico di giudicare la filosofia, allo stato delle cose, unicamente sulla base di una storia specialistica, per cui certi aspetti particolari e tecnici, come l’ermeneutica, sono portati ad invadere tutto il pensiero, personaggi come Isou si innalzano a rivendicare la pregnanza di ciò che ci assilla.