Domenico Letizia
libertari analitici e
dogmatici
Fabio Massimo Nicosia: IL DITTATORE LIBERTARIO. Giappicchelli, 2011
La critica attuale e le varie correnti post-moderniste e non, hanno messo in discussione l’ideale libertario che rimane il più ampio e aperto a discussioni. Il pensiero libertario non essendo dogmatico e preconfezionato varia dall’anarco-capitalismo all’anarco-comunismo avendo come punto cardine la libertà libertaria. Ma tra le varie correnti, se la critica rimane la stessa, lotta alla coercizione, non è possibile trovare una sintesi? Non è possibile apportare nuovi modelli sia giuridici che economici che politici- filosofici che inducano ad ulteriore speculazione? Il libro di Fabio Massimo Nicosia (“Il dittatore libertario – anarchia analitica tra comunismo di mercato, rendita di esistenza e sovranity share”) è talmente pieno di spunti e di problematiche che contemporaneamente mette discussione sia tutti i “dogmi” che il movimento libertario ha accettato condannando se stesso e propone interessantissimi riflessioni innovative al pensiero e al metodo libertario.
Nicosia parte da sé stesso, e ne parla come di un’anima inquieta, sempre alla ricerca di un difficile equilibrio tra le varie forme di “libertarismo” o di “anarchismo” esistenti, con le quali non ha mai cessato di confrontarsi e di trarne insegnamenti. Del resto, come nota Nicosia, lo stesso anarco capitalismo, affidando la difesa delle proprietà ad agenzie di protezione implica il proprio reciproco, e cioè l’anarco-sindacalismo, dato che i lavoratori e i disoccupati non avrebbero meno diritto di organizzarsi per difendere i propri interessi. Pensiero innovativo quindi, mai nel mondo libertario, tranne che per brevi spunti si era pensato ad un confronto tra la pratica e la teoria anarco-sindacalista e quella anarco-capitalista. Nicosia parte da una riflessione personalissima parlando di “libertarismo per vocazione” contrapponendo tale elemento dello spirito e tale approccio all’esistenza a quello opposto cioè l’inclinazione “autoritaria”, propria di chi vorrebbe comandare e di chi, non riuscendovi, si adatta a essere comandato: l’animo dello schiavo, direbbe Nietzsche. I veri libertari sono pochi e non ci sono molte chance che la pedagogia possa cavare uomini libertari partendo dal contesto sia sociale che educativo attuale intrinsecamente controllato e autoritario. S’intravede qui un elemento elitista nella prospettazione di Nicosia, dato che qualcuno potrebbe pensare alla sua “dittatura” libertaria come a un governo dei migliori. C’è del vero in tale considerazione, tuttavia Nicosia ritiene che una società libertaria, fondata sul libero mercato andrebbe a vantaggio di tutti, anzitutto a tutela delle minoranze, problematica che la sinistra si è sempre posta senza mai trovare una reale e antiautoritaria prospettiva.
Teorie, come quella di Rothbard, partono dal presupposto che la natura umana sarebbe in essenza libertaria, ma è evidente che vi è un difetto, dato che lo spettacolo che ci si offre è un incremento della coercizione, dell’ imposizione e del totalitarismo. Persino quando si protesta, ci si rivolta, ci si arrabbia molte volte invece di chiedere meno istituzione e imposizione si chiede più controllo e più presenza statale. Torniamo al mercato. Va precisato che, per Nicosia, per mercato si intende non solo il mercato dei beni di consumo, come di solito banalmente si ritiene. Per Nicosia il mercato è un ordine politico-giuridico a tutto tondo che riguarda tutte le azioni umane in quanto tali, secondo un modello che affonda la sua radice in studi come quelli di Gary Becker o di Bruno Leoni. Nicosia è consapevole che allo stato attuale un mercato completamente lasciato a sé stesso sarebbe un mercato per soli ricchi e rischierebbe di creare disuguaglianze addirittura ulteriori e monopoli, il tutto sostenuto dallo Stato, il quale detiene, oltre al monopolio della forza, quello monetario. Aggiungerei che l’obiettivo principale come si legge nel volume di Nicosia è quello di estendere il mercato a tutti per renderlo efficace e giusto e Nicosia si preoccupa allora –e in questo egli è forse il primo autore ad averlo fatto- di dare un fondamento libertario e non statalista alla previsione di un reddito di cittadinanza, che lui chiama rendita di esistenza, a ogni cittadino del mondo. Riprendendo uno spunto del marxista analitico G. Cohen i libertari di destra errano a vedere solo gli impedimenti alla libertà “negativa” determinati dallo Stato, laddove impedimenti alla libertà derivano anche dalla proprietà privata. Infatti, vale il fatto che un proprietario fondiario può impedire agli altri il passaggio o lo sfruttamento dello stesso suolo, il che, al di là di ogni giudizio di valore sul fondamento di quella proprietà, costituisce palesemente un elemento impediente per la libertà negativa dei terzi. Ma se la proprietà privata non può essere sacralizzata tuttavia è utile, immensamente utile e per numerose ragioni. Nicosia non propone di abolirla semplicemente ne trae il corollario che, da un punto di vista libertario, la Terra sia una res communis e non una res nullius, come ritengono gli anarcocapitalisti. Ne deriva che chi vuole impossessarsi di porzioni di suolo può farlo, ma deve tener conto degli altri, ovvero lasciare abbastanza terra fruttuosa per tutti, in ossequio al cosiddetto “proviso di Locke”, ne deriva che tutti gli odierni diseredati dovranno ricevere una somma a titolo di rendita, che Nicosia chiama “di esistenza”, proprio perché vale per tutti gli abitanti del mondo per il solo fatto di esistere.
Una concezione assolutista della proprietà privata invece di sviluppare fattori di integrazione, come fa il mercato, sviluppa fattori di esclusione ecco perché Nicosia ha munito la proprietà di un fondamento di mercato, cosa che fa anche con la realizzazione dei beni pubblici, che oggi sono oggetto di un imposizione unilaterale dall’alto, mentre queste scelte collettive potrebbero essere tranquillamente sostituite da un voto “monetario”, collegando il discorso alla rendita di esistenza, con il quale misurare l’intensità delle preferenze di tutti, non solo cioè come oggi dei costruttori e dello Stato, ma anche dei cittadini dissidenti e che vedono calpestate le proprie libertà: si pensi alla TAV o alle centrali nucleari. Nicosia stravolge anche la prassi anarchica dell’ astensionismo ritenendo il problema da valutare quello di presentarsi “organizzati” e di puntare francamente a un governo libertario. Nicosia propone quindi un modello di transizione tra la situazione attuale e quella del mercato perfettamente libero, attraverso l’assunzione da parte degli anarchici di responsabilità di governo. Sia chiaro Nicosia non vuole statalizzare nulla (semmai vuole fare emergere in bilancio le ricchezze statuali già esistenti) e non vuole neanche rinforzare lo Stato, ma guidarlo per un processo di deperimento, che potrebbe durare anche all’infinito: teniamo sempre conto, infatti, di quanto si è detto sopra, e cioè che la maggior parte delle persone appalesa un’inclinazione autoritaria e non libertaria. Se tale situazione, per qualsiasi ragione, dovesse modificarsi, il processo di transizione subirà un’accelerazione “positivamente libertaria”. “Fogli di Via”, novembre 2011