Carlo Romano

Erik von Kuehnelt-Leddihn, l’errore democratico

Fra gli intellettuali espressi dal ventennio fascista, il grande storico Gioacchino Volpe si distinse per la mancanza di prepotenza e per una estesa visione delle faccende culturali. Il figlio Giovanni (1906-1984) osservò un analogo spunto nel fondare la sua propria casa editrice nel 1962 cercando di inserire, conferendole dignità, una visione lealmente conservatrice, ma aperta alle più diverse fraseologie, in un contesto allora senz’altro sfavorevole. Drieu e Ricossa, Evola e Freund, Junger e Operti, Maurras e Gerbore insieme a tanti altri – e, fra questi, anche un persuasivo studioso di estetica come Rosario Assunto - entrarono nel suo catalogo o andarono a riempire le pagine di una rivista di grande interesse come “Intervento” alla quale invitò a collaborare Camillo Pelizzi, un fascista, in qualche misura suo omologo, che fu fra i fondatori della moderna sociologia in Italia (primo titolare di una cattedra specifica in Italia, nel 1959 fondò la Rassegna Italiana di Sociologia” e fu amico e maestro di Franco Ferrarotti). Negli ultimi anni, Volpe non mancò inoltre di cercare la collaborazione dei giovani che saranno, chi più chi meno, assimilati alla “nuova destra”, come Cabona, Solinas e Veneziani.

Fra gli autori che Giovanni Volpe introdusse in Italia attraverso le sue edizioni (nell’indifferenza che perdura ancor oggi) c’è Erik Maria Ritter von Kuehnelt-Leddihn, un cattolico austriaco la cui tempra liberale è indiscutibile come la sua critica a ogni forma di oppressione totalitaria, malgrado la conclamata opzione monarchica. In un certo qual modo, Kuehnelt-Leddihn fu un liberale ancor più radicale di quelli della celebre “scuola austriaca”, e lo fu in maniera del tutto opposta alla freddezza economicista e sociologizzante grazie anche a una spregiudicata erudizione che si serviva di Tocqueville o Dostoevskij non meno che di Bakunin o Kierkegaard, di Chauteaubriand o Fenimore Cooper, di Ortega Y Gasset o Henry Adams. 

Nel titolare L’errore democratico il libro che propose nelle sue edizioni, Volpe commise tuttavia una manipolazione rispetto all’originale Freiheit oder Gleichheit (libertà o uguaglianza) per quanto l’egualitarismo democratico fosse l’oggetto da confutare. Kuehnelt-Leddihn  fu un vero critico conservatore i cui affondi risultavano tanto più efficaci – e socialmente utilizzabili - quanto più incredibilmente rimanevano stretti allo spirito di parte. “Essere di destra”, scriveva, “significa schierarsi pel diritto, per ciò che è giusto e onesto, per quel che è davvero degno dell’uomo, per la libertà, la dignità e il rispetto dei valori perenni del retaggio dei nostri padri”. A suo modo di vedere l’“antipersonalistica” democrazia non può che registrare fallimenti nei paesi cattolici benché possa provvisoriamente fiorire in quelli protestanti. Altre dichiarazioni dello stesso tenore direbbero ben poco del contenuto del volume e lo consegnerebbero a uno scialbo indirizzo liberalistico benedetto dal papa e approvato dal re. La sua forza, viceversa, è nell’ampiezza dell’esposizione, nei brillanti giri di frase e di ragionamento, in certe inattese conclusioni per le quali se nel gergo continentale i cattolici vengono definiti “i neri”, si precisa che “il nero è anche il colore della bandiera degli anarchici”. Come non ricordare, detto questo, Panfilo Gentile, un altro conservatore liberale – ma estimatore di Francesco Saverio Merlino - anche lui pubblicato da Volpe?

“Fogli di Via”, Novembre 2012 (materiali d’archivio)