Carlo Romano

Inferno Nero di Andrea Lavezzolo

L’italiano Franco Spada, l’amico Wuang-Si, l’affascinante e misteriosa Lao-San, lo scienziato spagnolo José Errera, il russo Borouschkine e il Cobra, Ah Chow, il cui spirito preda dell’oppio vaga staccato dal corpo. Un paese preso fra giapponesi, bolscevichi e nazionalisti. Una popolazione schiavizzata che provvede all’estrazione e alla lavorazione del petrolio che dal territorio tonchinese viene convogliato verso la Cina attraverso un invisibile oleodotto: “Un lavoro da titani, invero, se si pensa alla somma di lavoro che è costato questo straordinario impianto, questa tubazione saldata alla roccia con una quantità enorme di sostegni di ferro al di sopra delle tonanti acque del fiume sotterraneo. Ma qualcosa di più di un semplice contrabbando deve nascondersi in tutto ciò…”

Un romanzo di mistero e avventura, un Thriller si direbbe oggi. Il pensiero si potrebbe far correre al creatore del perfido dottor Fu Manchu, Arthur Sarsfield War (1883-1959) meglio noto come Sax Rohmer, scrittore a suo modo accurato nell’unire una spiccata vena fantasiosa - non immune dalle suggestioni occultistiche di cui vantava esperienza in un celebre “Ordine” inglese e sulle quali ha scritto – all’avventura investigativa affidata all’antagonista del dottore cinese, Sir Denis Nayland Smith. È con lui che l’espressione “pericolo giallo” assume i contorni loschi e terribili della genialità maligna, infida e superlativa. Il lettore italiano di una certa generazione ormai attempata, e con lui l’appassionato cultore della storia dei fumetti, leggendo il nome dell’autore di questo Inferno nero, Andrea Lavezzolo, sposterà tuttavia presto la memoria sugli albi che coi disegni di Edgardo Dell’Acqua realizzavano nell’immediato dopoguerra una sua sceneggiatura: gli albi di Gim Toro dell’editore Gino Casarotti. Il protagonista era un ragazzone italo-americano alle prese con una misteriosa associazione criminale d’origine cinese affine a una setta religiosa (“la Hong del Dragone”). La tematica orientale comune al romanzo e al fumetto non è comunque da assegnare a una speciale fissazione di Lavezzolo, il quale, viceversa, scriveva (anche nel senso di sceneggiare la narrativa grafica) con impressionante creatività di varie avventure e luoghi.

Chiavarese nato a Parigi nel 1905 in una famiglia di emigranti che qualche anno dopo rientrò in Italia, Andrea Lavezzolo si dedicò presto alla scrittura lavorando per varie riviste e vari editori con racconti, romanzi, pezzi giornalistici, curatele e anche poesie. Negli anni Trenta collaborò a diverse serie “minori” di narrativa poliziesca come il periodico “L’Avventura poliziesca” delle edizioni SADEL o “I gialli moderni” dell’editrice Impero. Nel 1940 mise mano alle sceneggiature di Dick Fulmine, l’allora popolarissimo fumetto creato da Vincenzo Baggioli coi disegni di Carlo Cossio (che per il protagonista si ispirava alle fattezze di Primo Carnera). In  questo campo l’attività di Lavezzolo sarà poi cospicua e di qualità tale da meritargli un posto di grande rilievo come autore classico. Oltre ai citati albi di Gim Toro vanno ricordati quelli di Tony Falco disegnati da Andrea Bresciani, imperniati sulle avventure alla Henry Ridder Haggard di un ingegnere italiano in Africa; quelli di Kinowa, un western bizzarro e allucinato affidato alle matite della Essegesse*; quelli del Piccolo Ranger, un altro western, ma più tradizionale e longevo, realizzato coi disegni dello spezzino Francesco Gamba. Inoltre Lavezzolo prestò al fumetto le sue competenze giornalistico-redazionali inventando per “Il Giorno”, quotidiano fortemente innovativo, la pagina delle strisce disegnate - lavorando per giunta al supplemento settimanale“Il Giorno dei ragazzi”, rimasto per sempre nei ricordi di una generazione. Solo per questo Lavezzolo va annoverato fra i principali artefici della cultura popolare italiana. Più avanti negli anni, si impegnò peraltro nel compito di far conoscere autori ed editori del fumetto italiano collaborando alle pagine di “Sgt. Kirk” - la rivista genovese di Fiorenzo Ivaldi e Claudio Bertieri che, fra l’altro, per prima pubblicò Una ballata del mare salato di Hugo Pratt – e de “Il Fumetto” – importante testata legata all’ANAF (Associazione nazionale amici del fumetto) indispensabile negli anni Settanta e oltre per chi si interessava di storia e critica di questo particolare genere espressivo.

Dunque ai vertici della classicità per quel che riguarda la narrativa disegnata, Andrea Lavezzolo riscosse poco o niente quale narratore puro. Ciò è da attribuire all’allora diffusa mancanza di interesse critico nei confronti della letteratura avventurosa e all’indifferenza verso le produzioni editoriali alla buona, culturalmente poco strutturate e nella maggior parte dei casi effimere. L’inversione di rotta rispetto a questo stato di cose è in fin dei conti recente. Negli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso questa editoria aveva una sua floridezza e se è d’uso rammentare due o tre autori italiani e sostanzialmente un solo editore – Mondadori, quello che regalò alla nostra lingua una volta per tutte l’espressione “letteratura gialla” – le storie di avventure criminali e poliziesche trovavano riscontro in una gran quantità di autori e collane. Persino un editore di libri raffinati, annotati e prefati, classici o d’avanguardia che fossero, Carabba, inserì alcuni “gialli” nella collana dei Grandi romanzi stranieri (il primo Poirot della Christie, fra gli altri). La casa editrice Carroccio di Gino e Renzo Boschi che pubblicò nel 1943 Inferno nero a Lavezzolo, aveva tutt’altro profilo e si diceva disposta a pubblicare nuovi autori italiani purché le loro opere fossero “veramente alla portata di tutti” (nel 1941, fra l’altro, un decreto del Minculpop aveva stabilito delle prescrizioni ancor più pesanti di quelle già in vigore riguardo la letteratura). La collana dove appariva il volume era la “Romantica avventurosa”, palesemente ricalcata su quelle dell’editore Sonzogno, tanto che proprio Inferno Nero era indicato come appartenente alla “categoria delle opere che resero giustamente celebri i London, i Curwood e gli Stacpoole”, autori pubblicati dalla casa editrice maggiore. Gino e Renzo Boschi collocavano nella “Romantica avventurosa” anche un’opera di Romualdo Natoli che proprio nella “Romantica economica” di Sonzogno aveva pubblicato anni prima diversi romanzi polizieschi. Nel dopoguerra la Carroccio si specializzò nelle riduzioni dei classici avventurosi (compresa la gran parte dei titoli salgariani, in alcuni casi radicalmente reinventati) con volumi economici e illustrati a colori (ci sono, ad esempio, libri con le tavole di Lina Buffolente, di Nadir Quinto e pure di Angelo Bioletto). Un filone d’oro per i ragazzi dell’epoca. Fra l’altro, ad Andrea Lavezzolo si deve (1951) una riduzione del Robinson Crusoe. Anche uno scrittore con diversamente riposte ambizioni come Arnaldo Frateili – che pubblicava da Bompiani e al quale si deve un fondamentale libro sui “caffè letterari” romani – si cimentò con queste riduzioni.

In un secolo nel quale i letterati più in vista dicevano di apprezzare soprattutto le sperimentazioni sofisticate, la narrativa era interrogata sull’uso spregiudicato della lingua, si valutava l’affondo nelle profondità della coscienza e non dispiaceva l’esibizione dei punti d’incrocio culturali. Viceversa, si disprezzava “la facile vena”, cosa della quale c’era in realtà  da rimanere ammirati, essendo la scrittura – come capacità di narrare - un esercizio tutt’altro che facile e pigro. A parte il fatto che sarebbe da stabilire se gli elementi sopra citati  mancassero veramente al genere di narrativa praticato da Lavezzolo, senza contare che molta della loro carica è affidata alla sintesi mentale di chi legge, assistere deliziati alla continua elaborazione degli stereotipi, giacché non si vorrebbe fatta d’altro la letteratura popolare, comporta in buona sostanza gustare nel modo più diretto possibile i procedimenti stessi della letteratura tutta. Se anche Inferno nero è giocato in buona parte fra un cavernoso mondo da incubo e la luce alfine ritrovata, ci dovremmo lagnare perché la stessa storia l’abbiamo già letta in Dante? E se constatiamo che, peraltro in modo discreto, il protagonista Franco Spada, in questo romanzo pubblicato nel 1943, è definito “il giovane italiano”, dobbiamo pensare all’anno XXI  dell’era fascista (come d’uso riportato nel colophon) oppure al fatto che di giovane italiano in effetti si tratta?

“Fogli di via”, Novembre 2009

 

*L’acronimo dei disegnatori Sartoris, Guzzon e Sinchetto, assai popolare per gli albi di Capitan Miki, Il grande Blek e Il Comandante Mark.