Wolf Bruno
Renzo
Laurano
Di antica famiglia sanremasca e vissuto sempre in Liguria, Renzo Laurano (Luigi Asquasciati,
Sanremo 1905-Genova 1986) rimane, quale poeta, di ardua collocazione proprio
all’interno di quella “linea ligure” che è d’uso riconoscere in un ruvido,
essenziale, toccante esistenzialismo. Come ricorda Stefano Verdino presentando Marinaresca
la mia favola. Renzo Laurano e Sanremo dagli anni venti al club Tenco,
fastoso e indispensabile volume curato
con Marco Innocenti e Loretta Marchi (De Ferrari editore, Genova 2006), egli
stesso ne “menava vanto, anche per gusto di eccentricità”. Intervistato in
proposito dalla scrittrice Minnie Alzona (per un testo, ripreso nell’attuale
volume, che apparve su un oggi raro “libro bianco” della cultura genovese
pubblicato da Sagep nel 1967) Laurano diceva apertamente “di non appartenere, e
non ho da dolermene né da compiacermene, al «filone ligure»… I ligustici…
schifano dalle loro poetiche vene il sangue infinitamente azzurro del mare,
temono, arroccati a scogliere o accomodati su arenili o addentrati
nell’entroterra, la Ligure nobiltà, difficile, antica contrastata e vasta del
mare a perdita d’occhio”. Aggiungendo: “Nella mia poesia, che è tanto turbata
inquieta e sommossa dal mio «mal di Liguria» o
«amor di Liguria», il mare-mare, quel «mare in persona» io lo conosco
benissimo”.
A Laurano interessava dunque poco esaurire la questione della sua
estraneità alla “linea ligure” nei puri meandri dello stile e riteneva più
congruo far risaltare una visione che metteva al centro di tutto l’orizzonte
marino, al punto di sbilanciarsi non tanto a favore di qualche poeta ma di uno
schietto e insuperato scrittore “di mare” come il sammargheritese Vittorio G.
Rossi (“…come scrittore di mare, e tante volte molto bene di solo mare,
il primato non soltanto ligure, ma italiano, va a Vittorio Giovanni Rossi”).
Ciò detto, se pure è obbligatorio il richiamo all’eccentricità segnalato sopra,
altrettanto lo è quello circa l’interesse portato da Laurano all’antica poesia
trobadorica (rafforzato all’Università di Genova per il tramite di Alfredo
Schiaffini). Con qualche circospezione va inteso viceversa l’ulteriore richiamo
di Verdino (che pare poi contraddetto nel suo stesso ingente contributo su La
lingua strana di R.L.) riguardo la
“non del tutto compiuta coscienza novecentesca” di Laurano. Meglio (o
più prudente) sarebbe argomentare su “un altro novecento” per il quale, più della sperimentazione, sono stati
importanti compostezza e fluidità ritmica, nel qual caso si andrebbe a
rimarcare, fra l’altro, la continuità della passione trobadorica con la
personale esperienza di poesia e quel sostegno al mondo della canzone che portò
Laurano nel circondario festivaliero di Sanremo e alla creazione del Club
Tenco. Resta inteso che quanto viene offerto in Marinaresca la mia favola
è una succulenta ricognizione critico-biografica - sospinta fin dentro la
cultura ponentina del novecento - che vede i diversi e puntuali contributi (di
Domenico Astengo, Andrea Aveto, Luigi Betocchi, Giovanni Choukhadarian,
Agostino Contò, Alessandro Giacobbe, Angela Giorgetti, Marco Innocenti, Enzo
Maiolino, Loretta Marchi, Saverio Napolitano, Stefano Verdino) accresciuti da
inserimenti iconografici (dove si mostrano, fra l’altro, diverse foto delle
belle donne corteggiate da Laurano, comprese le attrici Assia Noris e Isa
Miranda) e documentari (fra l’altro carteggi con Vittorini, Montale, Fiumi,
oltreché alcuni frammenti nei saggi, come nel caso di Betocchi). Un libro come
questo, concepito nel centenario della nascita di Laurano, è la miglior
risposta a una frase di Fausto Curi - colta (citata) nel fascicolo dedicato a
Francesco Pastonchi dagli utilissimi quaderni della Fondazione Novaro - secondo
la quale si muoverebbero troppe iniziative “per celebrare poeti che, per non
corrompere i giovani”, sarebbe stato bene lasciare nell’oblio”.