Vittorio
Rieser
Dario Lanzardo
(1934-2011)
Dario Lanzardo, scomparso sabato
a Torino, è stato un compagno fuori del comune, un militante e un intellettuale
poliedrico e innovativo; un intellettuale autentico e non “per mestiere”, anche
perchè la sua formazione intellettuale se l’è costruita da sè, in un’esperienza
di lavoro e politica incasinata e multiforme. Diplomato macchinista navale, ha
lavorato sulle navi (e di questo c’è un’eco nel suo primo romanzo), ha fatto il
fotoreporter collaborando a giornali, ed è approdato a Torino (da La Spezia
dov’era cresciuto) alla fine degli anni ’50 come dipendente delle Ferrovie. E’
qui che inizia il mio incontro con lui – e, siccome era il mio più antico e
caro amico, inevitabilmente percorrerò un po’ il filo dei miei ricordi.
Arrivò a Torino, insieme alla sua compagna Liliana, come militante di sinistra
del Psi – scopersi dopo che, a La Spezia, aveva fatto parte (come me e Giovanni
Mottura a Torino) dello sparuto ma vivace gruppo dell’Usi di Valdo Magnani – e
subito Dario e Liliana legarono col gruppo di compagni che si stava costruendo
attorno a Raniero Panzieri, approdato a Torino dopo essere uscito dal gruppo
dirigente del Psi, ormai dominato dalla linea di Nenni. Nacquero allora i
Quaderni rossi, a cui Dario diede un contributo determinante: sul piano
dell’elaborazione sindacale (l’opuscolo sulla lotta contrattuale dei ferrovieri
fu il primo in cui si proponevano – un po’ (forse troppo) in anticipo – gli
aumenti salariali uguali per tutti) e sul piano teorico: è grazie a un articolo
di Dario (“Produzione, consumi e lotta di classe”, Quaderni rossi n° 4) che
“scoprimmo il fordismo” e la sua portata innovativa nello sviluppo
capitalistico.
Mi sia permesso qui un aneddoto. Nella prima fase dei Quaderni rossi, imperversavano
i litigi tra i compagni che facevano capo a Tronti e chi vi si contrapponeva
(Panzieri, per un po’, mantenne una posizione “mediana”). In una di queste
riunioni, particolarmente infuocata, i compagni che facevano capo a Tronti ci
spiegavano che la classe operaia era “tutta fuori del capitale”, mentre nella
nostra analisi finiva per essere “tutta dentro al capitale”. In un intervallo,
Dario – che, pur avendo una posizione precisa, manteneva un suo distacco
ironico – camminava su e già per la sala canticchiando “tutto fuori, tutto
dentro – gli faremo un monumento…”.
Alla fine del periodo dei Quaderni rossi, Dario fu uno degli animatori di una
delle esperienze più interessanti del lavoro operaio dei QR, il giornale “La
Voce Operaia”, costruito insieme ad operai della Fiat, dal 1966 agli inizi del
’68. E – insieme a Liliana – prese attivamente parte all’intervento nelle lotte
operaie avviato nel movimento studentesco: la Lega studenti-operai fu un’altra
esperienza significativa di quel periodo.
Nel corso degli anni ’70, Dario si allontanò dalla militanza organizzata, non
riconoscendosi nei vari “gruppetti” in cui si era frazionato il “movimento del
’68″; non però dall’impegno politico, come mostra la sua attività di
fotografo (raccolta recentemente in una mostra fotografica sulle lotte di quel
periodo), o il libro sui fatti di piazza Statuto.
Il (relativo) disimpegno dall’attività militante-organizzata fece esplodere
tutte quelle capacità professionali e intellettuali che erano rimaste un po’ in
secondo piano. Anzitutto la passione (e la genialità) sviluppatasi, fin dagli
inizi, per la fotografia. Da allora ad oggi, Dario ha prodotto mostre e volumi
di fotografie su una gamma di temi non solo politici, ma più “astratti” e –
vorrei dire – “filosofici”: dalle armature agli spaventapasseri, dal tema della
luce a quello delle nuvole. E non erano “solo fotografie”, perchè attorno ad
esse si sviluppava un’acuta e originale ricerca ed elaborazione culturale, che
spaziava da Goethe agli autori più moderni. In questo si manifestava, anche, la
“simbiosi intellettuale” con la compagna Liliana – che, come sappiamo, ha
sempre mantenuto una sua autonomia di impegno politico e di ricerca (con
importanti lavori di storia sociale), così come un suo originale lavoro di pittrice
e autore di testi, ma che ha contribuito alla “ricerca intellettuale” che
accompagnava il lavoro fotografico di Dario.
Ma Dario aveva anche una vena di scrittore – l’ultima, in ordine di tempo, che
sviluppò pienamente: lo testimoniano i due romanzi e la raccolta di racconti
usciti negli ultimi anni (altri ne aveva in cantiere).
Dario era un vulcano di idee – in tutti i campi. Si aveva l’impressione che
producesse idee più rapidamente di quanto riuscisse a tradurne in testi di
fotografie o letterari. Per questo si sentiva sempre “in ritardo”, malgrado
lavorasse a un ritmo incessante. E per questo la sua morte improvvisa, oltre
che dolore, ci lascia un senso di rabbia: perchè Dario aveva tante cose ancora
da dirci – alcune “già pronte” nella sua testa – che sono rimaste interrotte. “Liberazione”, 22 febbraio 2011