Charles-Louis Philippe è l'autore del celebre Bubu de Montparnasse, la storia della prostituta costretta dal ruffiano ad abbandonare l'amante che vorrebbe redimerla. Nato nel 1874, era figlio di un povero calzolaio (mestiere che viene rammentato anche nel nostro testo) che lo spinse, con grandi sacrifici, a compiere gli studi secondari. Dalla natia Cerilly si traferì a Parigi e qui si impiegò nella pubblica amministrazione. Alla letteratura lo portò soprattutto la lettura di Dostoevskij*. Restò sempre legato all'ambiente di provenienza e diceva di essere "il primo figlio di una razza di poveri che si sia dato alla letteratura". Nell'ambito delle opere degli scrittori naturalisti, la sua si distingue (si veda qui il breve giudizio su Zola) per la conoscenza di prima mano del mondo dei diseredati e la commosssa partecipazione alle sue vicende manifeste o intime (che per lui rappresentavano, come disse a Gide, "ciò che per i romantici costituiva il pittoresco"). Morì di tifo a soli trentacinque anni, nel dicembre del 1909.

* Tanto per fare una citazione. Carlo Bo ha scritto della "grossa famiglia delle prostitute esemplari che a quel tempo si staccavano dal grosso tronco dostoievskiano per moltiplicarsi in cento reincarnazioni europee, prima di trovare una maggior consistenza nell'arte di Charles-Louis Philippe".

Charles-Louis Philippe

l'educazione ipnotica

Da New York il Daily Mail informa: "Il professor Henry, di Chicago, impiegherà l’ipnotismo e la suggestione in un istituto dei grandi piani (Indiana) dove vengono educate diverse centinaia di bambini poveri: condurrà esperimenti su bambini nati da genitori viziosi" ( Le Journal , 1° gennaio 1902).

Ecco il nostro regalo per il nuovo anno. Fai bene ad abbandonare i tuoi figli, Jean-Jacques Rousseau: non conosceranno la masturbazione né la persecuzione, come successe a te. Ci penseranno i professori. Oggi sappiamo quel che bisogna fare e quel che non va fatto. Questo s’insegna nelle scuole e quanto agli scolari che dicevano :"Grazie, egregio professore, ma per conto mio conosco pure altre campane", entreremo in loro, li aspetteremo al limitare del bosco e, di stupro in stupro, bisognerà pure che ci appartengano, ci amino e ci desiderino. Ipnotizzeremo il giovane Beethoven, figlio d’alcolista, il giovane Edgar Poe attratto dai bar, il piccolo vagabondo Maxim Gorki, e di te, povero Jean-Jacques, avremmo fatto un buon orologiaio svizzero. Czolgosz, Ravachol, la follia delle strade, la voce dei selciati, il popolo nelle corsie ospedaliere, tutto ciò che nega e supera è stroncato fin dall’infanzia dal momento che vogliamo socializzare gli uomini.

E pensavo ai nostri vizi. Dostoevskji che beve vodka, Ibsen whisky, l’ufficiale Tolstoj che passa dalla gozzoviglia all’apostolato, tutti coloro che una follia spinge sulla strada di Damasco: prenderemo la loro testa tra le mani e li guideremo per sempre poiché la scienza è grande e perfetta. E pensavo ai nostri vizi. Più di una volta, dopo una serata con le "ragazze", al ricordo dei baci che ci costavano dieci franchi, quando serbavamo nella mente malata le bevute della vigilia, vomitavamo noi stessi e, sentendo ancora il nostro pari, avremmo voluto dimenticarlo, stenderci, incrociare le braccia sul petto e dormire fino alla fine. Sognavamo una vita pulita, in una provincia dove si fa il calzolaio vicino alla finestra che dà sulla piazza. Ma più tardi pensavamo: abbiamo imparato tante cose, abbiamo vinto il bel premio del sapere. Ah ! compagno, caro compagno, sono i vizi, l’orgia, le masturbazioni della sera, i bicchierini del mattino che movimentano la vita quotidiana! Poiché tutto quel che fa male è l’albero della scienza del bene e del male.

E noi attingevamo alla vita un sapere diverso da quello di medici ed educatori. Passavamo da un errore all’altro, di vizio in vizio, strappavamo veli, bruciavamo le cortine più spesse e chi sopravviveva alle lotte otteneva ogni giorno una fronte più chiara. Ci guardavamo intorno, leggevamo nei libri. E ognuno esclamava: Le passioni , le buone passioni! A Emile Zola sono mancati grandi vizi per fare una grande opera. C’è un solo sapere, è il sapere di sé stessi. E allora chi lo raggiunge se lascia assopire un solo vizio? Non si studiano gli uomini, non si accumulano documenti e note. Si ascoltano nel proprio cuore le grida di rabbia, si premono con le dita le cattive ferite, si spreme il sangue dai vizi. Esso scorre sui libri, scorre sugli uomini e somiglia al fango terrestre. Possa soffocare il falso sapere, possa germinare al sole, ramificarsi sugli uomini e fermare chi vorrebbe castrarci delle passioni, dei dolori e dei rimorsi. Vogliamo un’umanità più consapevole. E la coscienza nasce all’indomani dei giorni d’ebbrezza, in una vita disordinata che s’organizza piangendo poiché ogni cosa si fortifica attraverso il suo contrario.

( "La Revue Blanche", n° 207, 15 gennaio 1902 )

 trad.di Jean Montalbano