Carlo Luigi Lagomarsino
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Givone X Kolakowski X Onfray
Un libro ove si affermi solamente che fare sesso è una gran bella cosa non avrebbe l'aria di essere un gran bel libro nemmeno per il signor de La Palice. L'esigua minoranza il cui parere fosse diverso, non si farebbe certo convincere da un po' di pagine esortative, fossero anche tante e meditate. Saint-Beuve diceva che ogni secolo ha la sua mania, il suo aveva quella umanitaria. Molti indizi fanno supporre che la stessa fissazione si sia trascinata, con inaspettate conseguenze, lungo l'intero secolo XX. In una parte cospicua di esso, soprattutto nella sua seconda metà, la smania umanitaria ha avuto modo di ravvivare i colori del riformismo sessuale, facendone una diffusa materia di rivendicazione non più relegabile a pochi attivisti o ad attempati professori tedeschi. La vera e propria inondazione delle tematiche connesse -fra rivoluzioni e controrivoluzioni sessuali, diritti reclamati, nuove regolamentazioni giuridiche e infiniti problemi etici e di coscienza- ha trascinato con sé quel malanno che più d'ogni altro nuoce proprio alla sessualità, vale a dire l'assuefazione. Rinvenire sulla copertina di un libro l'assicurazione di quanto sia opportuno "farla finita con la monogamia, la fedeltà, la procreazione, la famiglia, il matrimonio e la coabitazione forzata" rimane tuttavia non dico una sorpresa, è ovvio, ma una consolazione per tutti coloro che queste cose le hanno patite -senza contare che anche chi trova soddisfazione nel patimento, quando non è "in tiro", deve pur sempre riflettere. Il libro in questione si intitola Thèorie du corps amoureux (Grasset, 2.000) e l'ha scritto Michel Onfray: Fra gli impegni presi in copertina quello che ha maggiore evidenza (del resto fa da sottotitolo) afferma l'intenzione dell'autore di porsi dalla parte di "un'erotica solare", allusivo capovolgimento, pensiamo, dell'erotismo nero e sacrificale di un Bataille. Come nella maggior parte dei suoi libri, Onfray si appoggia alla saggezza antica e agli scrittori pagani, coi quali, se non altro, gli era riuscito anni addietro di mettere a segno perlomeno un piccolo e non inutile manifesto della riscossa cinica (Rizzoli, 1992). Ciònondimeno in questo nuovo volume -il quale, benchè disgraziatamente proprizio nel contenuto, risparmia al lettore quelle storie personali che ci avevano annoiato nel precedente Politica del ribelle (Ponte alle Grazie, 1998)- il paganesimo è solo di ornamento. Cosa curiosa, evidentemente, in un testo dove è presente in tutte le pagine, ma epicurei, sofisti, cinici e stoici sono come deprivati di quell'elemento scettico e variamente pessimistico -ereditato del resto dai libertini dell'età moderna- che essi largivano in abbondanza. In altre parole, il libro di Onfray evita di tenere nel debito conto quel che c'è di violento e di prevaricatorio nella relazione sessuale, e di dire dunque -dal momento che si tratta di un appello all'anarchia dei desideri- come questi elementi entrino in rapporto con la libertà. In modo ben diverso la questione viene affrontata in due libri usciti nello stesso torno di tempo di quello di Onfray. Si tratta di Eros/Ethos, pubblicato da Sergio Givone con Einaudi, e del Breviario minimo di Leszek Kolakowski, tradotto da Vera Verdiani per le edizioni de il Mulino. Gli autori di questi due libri partono, come è noto, da un comune fondamento cristiano-cattolico che non esitano a far incontrare, più che a confrontare, coi risultati del pensiero moderno. Il libro di Kolakowski si occupa, a dire il vero, come anche si può dedurre dal titolo, di un ventaglio più ampio di problemi (il potere, la tolleranza, il lusso, le superstizioni ecc.), c'è tuttavia un'omogeneità col libro di Givone, soprattutto nel modo di ragionare (e per età ed esperienza è verosimilmente Kolakowski a meritare il titolo di "maestro") ma anche nei nodi tematici essenziali, che sollecita la riflessione in una identica direzione. E non si tratta, si badi, di volgersi pedantescamente all'affermazione dei previsti principi etici, che piuttosto ne escono dibattuti in gradi mai espliciti, o di stare a subire inaccettabili collere moralistiche pur di attingere qualcosa di interessante dalla lettura. Sono libri nei quali non vi è "banalità del bene" che si contrapponga al male, né vi è l'eccellenza dell'uno o dell'altro, e nemmeno la loro semplice compenetrazione. Non guardano all'etica come a un capitolo della teologia (in senso lato è molto più "teologico" quello del "neopagano" Onfray) e non danno a vedere di considerare l'uomo come la creatura prediletta di Dio (nemmeno quando Kolakowski è di Dio che parla). Il loro contenuto è di fatto meno evidente di quello che gli autori dicono esso sia, ma non per dissimulazione o per qualche disonesto scopo di requisizione intellettuale. A modo loro, dunque con quel pizzico di dotta esperienza che non è di tutti, affermano l'ovvietà di fare e pensare. Non a caso Givone conclude il suo libro in questo modo: "E se la violenza che vediamo dilagare intorno a noi nelle forme più diverse trovasse la sua ragion d'essere proprio qui, in questo che è il più difficile nodo da sciogliere, e che comunque si annida non in una remota origine metastorica (Girard), non nelle istituzioni di potere che governano il comportamento degli individui (Foucault), non nelle macro-strutture destinali che consegnano l'uomo alla tecnica senza scampo (Heidegger, Severino), bensì in quanto ci è più prossimo e più intimo? Appunto, l'idea è di tornare a riflettere su ciò che è intimior intimo meo…".