Nicola Caricola

Killers of the Flower Moon

Un lustro, dal 2017 al 2022, è occorso per passare dal progetto del film al film di Martin Scorsese, Killers of the Flower Moon, costato duecento milioni di dollari. Tanti, come tante sono le sue tre ore e ventisei minuti. Le prime due sono ideologia woke per risarcire moralmente i pellirosse Osage, che un secolo  fa erano solo duemila, tutti molto ricchi per via dei giacimenti petroliferi nella loro riserva. Perciò erano anche molto corteggiati. E molto ammazzati.

Il resto del film è l’intreccio poliziesco-processuale suggerito dal titolo, con Fbi degli albori, che arriva per volontà del presidente Harding a imporre la legge, là dove la polizia dell’Oklahoma lasciava correre.

Lo spettatore giovane e cinefilo si incanterà per la ricostruzione d’ambiente. Quello attratto dalla presenza di Leonardo Di Caprio e Robert DeNiro rifletta: Di Caprio è un divo, non un grande attore; DeNiro è stato un grande attore. A Lily Gladstone, di sangue pellerossa, Scorsese deve aver detto di essere sempre attonita, lei gli ha obbedito e vincerà l’Oscar…

Se non per regia e recitazione, The Killer of the Flower Moon merita comunque pazienza e rispetto. Infatti è ormai rarissimo vedere una tale ricostruzione degli Stati Uniti rurali 1919-1925, qui l’Oklahoma, comparabile a quella dei due film con James Dean: La valle dell’Eden di Elia Kazan (1955), ambientato in California; Il gigante di George Stevens (1956), ambientato nel Texas. Cambia lo Stato, non la morale. Il sogno americano è sempre: vince chi muore più ricco.

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