Wolf Bruno
killer astratto-concreti
Mario A. Iannaccone:
MEGLIO REGNARE ALL'INFERNO. Perché i serial killer popolano il cinema, la
televisione, la letteratura e la televisione. Lindau,
2017
Chi si
aspettasse da Iannaccone, a dispetto di quel che
sembrerebbe promettere, un'ampia ricognizione del passaggio dei pluriomicidi
nelle diverse espressioni narrative e artistiche rimarrà, temo, in parte
deluso. Una buona porzione del libro (più della metà) si dipana intorno alle imprese
dei serial killer e dei loro cacciatori ancorché, a differenza di molta
letteratura "true crime", non sia costruito
come uno spurio avvicendamento di clamorose biografie, ma intrecci - con ampio
ricorso a una rispettabile bibliografia - eterogenei spunti di riflessione
provenienti dalle diverse discipline, compresa la statistica, alle peculiari
vicende criminali che ritornano di volta in volta, negli aspetti presi in
esame, sia rispetto allo stile omicida sia rispetto alle ricerche sociali e
psicologiche, fino ai metodi impiegati dagli investigatori.
Un'attenta
perlustrazione viene riservata, per esempio, a quell'attività di "profilazione" (profiling)
che sviluppatasi pressoché in coincidenza della diffusione , da una quarantina
d'anni, del termine stesso di "serial killer", si concentra - con
l'aiuto di esperti provenienti in genere dal comparto psichiatrico ma con pochi
effettivi successi - sull'ipotesi di tipologie e comportamenti, perfino di
aspetto e condizione sociale, dell'aggressore omicida.
Al
momento di passare a cinema, televisione e letteratura, Iannaccone
riprende lo schema generale e lo applica a quello particolare. Delinea così,
senza troppe parole ma in maniera competente e scrupolo di classificazione, una
linea storiografica dove poi rintraccia costanti e discordanze nella
rappresentazione del "panico morale" indotto dagli assassini.
Al
momento di arrivare alle conclusioni Iannaccone fa un
salto in ultima analisi, ma solo in ultima analisi, coerente (che in parte
potrebbe anche spiegarsi nel suo essere collaboratore del giornale dei vescovi
italiani, "Avvenire") il cui effetto rimane quello di un salto che
mal si lega alla successione dei capitoli, e che dunque meglio avrebbe fatto
amalgamandolo nel contesto precedente.
Rievocando
il celebre caso della "Dalia nera" come epifenomeno di una relazione
fra la California di Hollywood, quella della "liberazione sessuale" e
l'omicidio efferato, si riallaccia all'ipotesi fatta da un poliziotto in
pensione nel libro Black Dahlia avenger (Arcade Publishing, 2015). Detto poliziotto Steve Hodel, è il figlio di un sospettato, George Hodel, che ritiene essere l'assassino. George Hodel era un medico ben introdotto nei più esclusivi
ambienti di Los Angeles. Amico di Man Ray e vicino al surrealismo, fu processato
per violenza sessuale sulla figlia. Era per giunta amico di Fred Sexton, l'artista che disegnò per John Huston
la statuetta del Falcone maltese, anche lui accusato dalla figlia di violenze
ripetute. Fra l'altro la madre di Steve era stata sposata proprio con Huston. Indagando sul padre l'ex poliziotto scoprì inoltre
che fu accusato dell'omicidio di una donna e che ne drogò un'altra per poter
abusare di lei. George Hodel, sostiene il figlio,
praticava un culto di sesso e di morte nella sua casa progettata da Frank Lloyd
Wright e frequentata da Henry Miller, Kenneth Rexroth,
Man Ray, Vincent Price, Peter Lorre e altri
personaggi dell'ambiente letterario, artistico e cinematografico, tutti chi più
chi meno con un occhio rivolto al surrealismo e devoti a Nietzsche e Sade,
riconosciuti finalmente come i reponsabili degli
omicidi seriali.
“Fogli di Via”, gennaio 2018