le voci che corrono
Gerald Kersh
> Gerald Kersh, La notte
e la città, Fanucci, Roma 2003
… Nel West End di Londra, negli anni Trenta, la maniera piú efficace di
sopravvivere è approfittare delle debolezze altrui. Harry Fabian, in
quest’arte, si considera un campione. Con le sue pose da gangster americano che
parla di dollari invece che di sterline, le giacche di diverse taglie piú
grandi, la lingua sciolta, il vezzo di spacciarsi per autore di canzoni e
intimo amico delle star hollywoodiane, Harry è un ambizioso. Non importa se per
campare sfrutta la dolce Zoë lasciandola alla vita di strada, e spende le poche
sterline che ha in tasca in whisky e sigarette nei night club: nel suo miope
egoismo, riesce a pensare a se stesso come a uno smaliziato uomo d’affari,
destinato a sicuro successo. Harry sogna. La sua ultima grande idea lo vede
impegnato nella promozione di incontri di lotta libera, insieme al socio Joe
Figler, anche lui un faccendiere, ma i due non si fidano l’uno dell’altro.
Naturalmente, il fair-play e lo sport non centrano nulla, e gli ‘atleti’
vengono spremuti al massimo: impresa non difficile, poiché il lottatore tipo è
una montagna di muscoli con un cervello da bambino di sei anni… E se qualcuno
dovesse lasciarci la pelle, pazienza: quel che conta è lo spettacolo. Attorno a
Harry, la notte londinese è popolata di prostitute, proprietari e camerieri di
night club, entraîneuse, venditori ambulanti dalla grezza parlata cockney,
ciascuno con la sua umanissima storia di ambizioni fallite, tentazioni e
compromessi, resistenza o resa ai continui assalti che la vita infligge alla
loro fragile moralità. Nel buio di questa notte, in questa città impassibile, è
facile cadere ma assai piú difficile rialzarsi.
l’editore
§
Nel 1950 il regista Jules Dassin – sulla via del lungo esilio
determinato dalle ostili attenzioni maccartiste - si reca a Londra e vi gira –
interpretato da Richard Widmark, Gene Tierney ed Herbert Lom - I trafficanti della notte, uno dei suoi
grandi noir. La gabbia squisitamente “americana” del film non è tuttavia da
ricondurre unicamente, come verrebbe da pensare, alla cifra stilistica del
regista di Middletown, Connecticut, poiché essa è già del tutto evidente nella
fonte originale, un romanzo dell’inglese Gerald Kersh che risale,
sorprendentemente, agli anni trenta, ben prima dunque del diffuso
“americanismo” del dopoguerra. Mi sembra oltremodo significativo che l’autore
(nato nel 1911 nei pressi di Londra) muoia nel 1968, dimenticato e in povertà
come vuole un certo canone, dopo aver
acquisito la cittadinanza americana.
La storia è quella di Harry Fabian, un organizzatore di incontri
clandestini di lotta che si scontra con i boss del settore in un clima di
precarietà esistenziale ed etica. Certe ironiche insinuazioni del protagonista
non sono per giunta inferiori a quelle di celebrati classici dell’invettiva.
C’è poi, di straordinario, lo sfondo londinese nel quale si insinua
l’avvincente e strampalata antropologia di un Dickens che vada ad immergere i
suoi personaggi nelle acque del lago Michigan (e che ridesti, con nuova
malizia, la “Londra sconosciuta” di Arthur Morrison o le antiche incisioni
londinesi di Doré).
Il merito di averci introdotto a questo notevole e particolare romanzo
(che è notevole e particolare e non notevole perché particolare) va diviso fra
la traduttrice, Anna Martini, e la casa editrice Fanucci, la quale sembra aver
finalmente trovato – dopo un periodo di sbandamento – il rigore che aveva agli
inizi. Mi risulta tuttavia che questo stesso romanzo avesse albergato nelle
intenzioni editoriali di una vecchia collana di romanzi polizieschi, una
quarantina di anni fa. Ciò non toglie nulla, evidentemente, alla proposta
attuale, che corrisponde a quanto di meglio, nel campo della narrativa, sia
stato pubblicato in Italia in questo primo semestre del 2003.
Carlo Romano, “Menabò Magazine”,
n.3, 2003
§
GERALD KERSH, PROLIFICO SCRITTORE E AVVENTURIERO, MUORE A 57 ANNI
MIDDLETOWN, N.Y., 7 Novembre. Gerald Kersh, autore di oltre due dozzine
di libri, di racconti e di articoli di giornale, è morto martedì all’Horton
Memorial Hospital di cancro della gola. Aveva 57 anni, gli ultimi dei quali
vissuti presso la comunità di Cragsmoor, nella contea Ulster.
Era un duro che possedeva quella che un critico ha chiamato “bruciante
energia”. Il temperamento avventuroso lo rifletteva nei suoi romanzi. … Prima
di ottenere la fama di scrittore lavorò come panettiere, come buttafuori in uno
squallido night di Soho, come commesso, come lottatore professionista. Mentre
serviva nella protezione civile durante la seconda guerra mondiale, in mezzo a
una strada di Londra una bomba gli esplose fra i piedi, danneggiandoglieli.
Kersh sosteneva di aver lavorato poi, nel dopoguerra, per i servizi segreti
britannici, usando come copertura quella del giornalista o dell’impiegato al
Ministero dell’Informazione. … Era massiccio e portava una barba nera che gli
conferiva un’aria feroce. I suoi occhi neri erano perforanti e si compiaceva di
essere giudicato “una canaglia”. Godeva
delle sue esibizioni, come spaccare in due l’elenco del telefono, stappare le
bottiglie di birra con le unghie, piegare le monetine coi denti. … Era nato il
6 agosto del 1911 a Teddington-on-Thames, Inghilterra. Una volta disse di esser
stato un bambino “triste e piagnone”. Il suo primo racconto lo scrisse a otto
anni … Raccontava di esser morto “a tre anni, di congestione” e di possedere
“un certificato di morte per testimoniarlo” … Questa sua tanatica stravaganza
la trasferì nella scrittura … Orville Prescott, sul “NY Times”, scriveva che i
suoi personaggi erano “repellenti, ma ognuno di essi, nel suo degrado morale e
intellettuale, era descritto brillantemente”. Prescott considerava Kersh come
“uno dei più dotati giovani scrittori inglesi”, mentre Lewis Garnett dell’”Herald
Tribune” diceva che aveva “un senso terrificante della realtà”. … Kersh
era diventato cittadino americano perché, diceva, in Inghilterra “le
sovvenzioni sociali e le tasse impediscono a uno scrittore di sopravvivere” …
Faceva colazione con acciughe e brandy … Kersh valutava di aver scritto circa
5.000 fra articoli, racconti e libri. Da noi collaborava con “The Saturday Evening Post”,
“Esquire”
e “Playboy”. N.J.
dal “coccodrillo” di “The New York Times”, 1968