Ken Knabb

come divenni situazionista

(estratti da Confessions of a Mild-Mannered Enemy of the State)

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Rexroth e Snyder avevano alluso a una "grande cultura sotterranea" che coinvolgeva, lungo la storia, diverse correnti non autoritarie. Avevano inoltre espresso la speranza che attraverso la contro-cultura contemporanea queste tendenze potessero finalmente prendere corpo in una comunità mondiale liberata. L'anarchismo sembrava l'elemento politico d'un tale movimento.

Ron Rothbard (installatosi da poco a Berkley) si convertì in maniera altrettanto entusiasta della mia. Cominciammo a guardare al mouvement in modo critico e a intraprendere qualche modesta iniziativa: Vantando il nostro anarchismo con gli amici, ordinando pubblicazioni per la diffusione locale, portando bandiere mere alle manifestazioni. Scoprimmo ben presto qualche altro gruppetto di anarchici e insieme formammo un gruppo di discussione che valutò la possibilità di aprire una libreria a Berkley. Il mio primo scritto "pubblico" fu un volantino, diffuso fra qualche dozzina di amici e conoscenti, nel quale mi sforzavo di far conoscere gli aspetti anarchici di rexroth e Snyder.

Leggendo alcuni testi anarchici recenti, Ron e io incappammo in diverse menzioni dell'Internazionale Situazionista (IS), piccolo gruppo d'una certa notorietà che aveva giocato un suo ruolo nel corso della rivolta del Maggio 1968. Mi ricordavo di aver letto qualche testo situazionista l'anno precedente, ma non l'avevo evidentemente messo a fuoco bene. Un breve colpo d'occhio mi aveva dato l'impressione che si trattasse soltanto d'una ulteriore variante dei sistemi ideologici europei (marxismo, surrealismo, esistenzialismo, ecc.) che ci sembravano giocattoli oirmai esauriti dopo la psichedelia. Nel dicembre del 1969, in una libreria, capitammo nuovamente su qualche brochure situazionista, ma questa volta leggemmo con maggiore attenzione.

Fummo immediatamente scossi dalle tecniche di propaganda e dalla grande differenza stilistica con la maggior parte degli scritti anarchici. Lo stile ci sembrava strano e tortuoso ma insieme provocante, concepito evidentemente più per demolire le abitudini e le aspettative della gente che per convertirla a una "prospettiva libertaria" vaga e passiva. restammo dapprima perplessi, ma a una rilettura cominciammogradualmente, discutendo i testi, a capirne la logica. I situazionisti sembravano l'anello mancante tra i differenti aspetti della rivolta. Mirando a una rivoluzione sociale d'una radicalità sconosciuta alla maggior parte dei gauchisti, attaccavano nello stesso tempo le assurdità della cultura moderna e la noia della vita quotidiana, riatizzando la fiaccola dei dadaisti e dei surrealisti. totalmente iconoclasti, rigettavano ogni ideologia - compreso il marxismo, l'anarchismo e lo stesso "situazionismo" - utilizzando senza scrupoli ogni idea che trovassero pertinente. Ferma restando la tradizionale opposizione anarchica allo Stato, avevano sviluppato un'analisi globale della società moderna, una pratica organizzativa anti-gerarchica e portavano un coerente attacco contro i mezzi che il sistema addotta per trasformare la gente in spettatori passivi. (Il loro nome derivava dal loro obbiettivo originario, quello di creare "situazioni" aperte e partecipative, in opposizione alla stereotipazione artistica). Infine, e non meno importante, rifiutavano energicamente ogni "politica vittimistica", vale a dire tutte le idee basate sul sacrificio rivoluzionario, la flagellazione e il culto dei martiri.

Due mesi più tradi io e Ron incappammo in alcuni volantini, di stile situazionista, diffusi da un gruppo locale dal nome affascinante: Consigli per l'Irruzione del Meraviglioso (CEM). Gli scrivemmo per ottenere un incontro. Accettarono e l'indomani incontrammo due di loro. Essi risposero in modo conciso ma lucidamente alle nostre domande, svolgendo critiche penetranti alla gran parte dei nostri fumosi progetti e disdegnando il nostro anarchismo come un'ideologia che di fatto ci impediva l'approccio alle cose essenziali. Solleciti nell'esprimere disprezzo nei confronti di tutto quello che passava per radicale, sapevano quel che dicevano, lo pensavano e non avevano l'aria di volerci compiacere. Era tuttavia evidente che si divertissero, malgrado il tono serioso. La loro pratica sovversiva, che consisteva principalmente nell'intervenire criticamente nelle più disparate situazioni, sembrava unire il rigore alla più deliziosa delle monellerie. Ci fecere comprendere che non avevano intenzione di accollarsi altri sforzi per convincerci e se ne andarono.

restammo sbalorditi ma anche stimolati. Sebbene non fossimo sicuri di essere d'accordo su tutto, la loro autonomia era per noi già una sfida. Se distribuivano dei volantini coi loro peculiari punti di vista, perchè non fare altrettanto? Tornati a casa di Ron, fumato un joint, ci mettemmo ognuno per se a stendere un volantino. Il mio fu un collage di motti anarchici e situazionisti seguito da una lista di libri raccomandati; quello di Ron era una satira conytro i sistemi che trasformavano la rivoluzione in un banale spettacolo. Ne tirammo 1500 esemplari e li distribuimmo in Telegraph Avenue, nei pressi dell'Università. Benché si trattasse di un'iniziativa fuggevole, il solo fatto di fabbricare i volantini e distribuirli fu per noi appassionante.

Nel corso dei due mesi seguenti realizzammo altri volantini sperimentali. Io ne scrissi uno sul tema dei capi che distribuii durante una proiezione di Viva Zapata. In un altro feci una composizione di fumetti concernente la natura ritualistica dei combattimenti di strada a Berkley. Ron fece un riassunto del libro di Martin Buber Utopia e socialismo e si mosse criticamente nei confronti di uno sciocco intervento, durante un corso universitario, delle nostre vecchie conoscenze militanti nell'anarchismo. Erano tutte azioni assai rudimentali, ma le reazioni che suscitavano ci insegnarono poco a poco ad intervenire pubblicamente. C'era la progresssione ad esserre sempre più risoluti.

Contemporaneamente cercavamo di trovare un compromesso effettuabile fra il nostro ambiente conto-culturale e l'estremismo rigoroso dei situazionisti (nel nostro modo confuso di capirlo). Avemmo alcune discussioni coi nostri amici e all'inizio li incitammo a sperimentare qualcosa d radicale. Benché qualcuno di essi manifestasse una vaga curiosità per questo "nuovo trip", praticamente nessuno rispose alle nostre sollecitazioni, le quali, se non portavano a niente per lo meno ci servivano da chiarificazione personale. Ci eravamo ormai inoltrati a tal punto nella nostra nuova avventura da non essere più interessati a continuare certe relazioni sulla base delle passate condizioni.

Quanto agli anarchici si interruppe l'intesa. Quando gli facemmo delle critiche moderate (molto più moderate di quelle che il CEM fece a noi) essi si misero sulla difensiva. Cominciammo a renderci conto che l'anarchismo funzionava come tutte le altre ideologie, con le sue gallerie di eroi e di feticci da adorare. Dopo molti mesi di discussioni e gruppi di studio, non si era affatto riusciti a realizzare qualche ristampa interessante, meno che mai aprire l'agognata libreria. Arrivammo alla conclusione che i nostri autonomi interventi avessero più probabilità di sollecitare le persone che non la diffusione di qualche vecchio classico dell'anarchismo.

Vedevamo raramente quellidel CEM, ma eravamo informati delle loro squisitezze scandalistiche - teorizzate in un opuscolo, sull'uso dello scalpello sovversivo - che combinavano la tattica situazionista del detournement con una punta di surrealismo e di William Burroughs. Si presero gioco, fra l'altro, del militante "sacrificale" con un volantino che mostrava la corcifissione degli "otto di Chicago". Andavano di porta in porta, in un'asettica periferia, a distribuire un volantino che esortava gli abitanti ad abbandonare tutto per ritrovare la vera vita. Interruppero un'apparizione di Godard con dei pomodori putrefatti e dei volantini bilingue. Distribuivano dei pacchetti di Tradingcards, "grandi momenti nel vuoto" (finire in un imbottigliamento, correre al supermercato, guardare la TV), con su dei personaggi stereotipati (dirigenti, mendicanti, negozianti hip, ecc.).

Incontreammo anche gli emmissari d'un gruppo del Massachusset anch'esso influenzato dai situazionisti: Consigli per l'esistenza consapevole (CCE). Era un gruppo meno gradevolmente surrealista del CEM, tuttavia intenso, intransigente e iconoclasta. Il loro esempio rafforzò la sfida di mettere in discussione il nostro passato con tutti i suoi idoli.

Uno dei rari eroi che mi rimase fu Gary Snyder. Ammettevo che la maggior parte di chi emergeva nel mouvement e nella contro-cultura era fatta di manipolatori gerarchici o di confusionari spettacolari, ma Snyder mi sembrava ancora pressoché totalmente ammirabile. In ogni modo, ero preda della falsa idea che per criticare qualcuno si dovesse essere migliori di lui, e non mi riusciva troppo bene di compararmi a Snyder.

Un bel giorno venni a sapere che avrebbe letto qualche sua poesia a Berkeley. Poco tempo prima sarebbe stato per me un grande avvenimento, ma adesso ero combattuto. Pensavo ancora che si trattasse di un avvenimento? O Snyder era "spettacolare" e contribuiva a mantenere la passività della gente? Dopo qualche riflessione decisi che il modo più conveniente di risolvere la questione fosse quello di redigere e distribuire un volantino per l'occasione. La scadenza era essa stessa una sfida, la lettura si sarebbe tenuta dopo tre giorni. Sulle prime fui prudente, ma via via mi radicalizzavo.

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Terminai il testo proprio a ridosso dell'avvenimento e feci appena in tempo a stamparne un centinaio di esemplari. Come entrai nella sala, stringendoli nervosamente, esitai. Si trattava di un gesto troppo estremo? Come osavo attaccare Snyder, lui stesso più meno anarchico? Mi sedetti un attimo e valutai l'ambiente.

C'erano molte centinaia di persone. Snyder cominciò a dire che prima di passare alla poesia voleva pronunciare "qualche parola sulla rivoluzione". Fece alcune considerazioni generiche ma tutt'altro che stupide. Quando finì gli spettatori lo applaudirono.

Fu ciò che mi fece decidere ... trovai a quel punto giusti anche gli aspetti più irriverenti del mio volantino. Lo lanciai sui convenuti e uscii, non avevo più interesse per quello che Snyder avrebbe potuto dire.

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Lasciando la sala provai la sensazione di essere tornato bambino ... La vera comprensione della prospettiva situazionista l'ebbi in quel momento.

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Quando mostrai il volantino ai membri del CEM, i quali sapevano della mia ammirazione per Snyder, uno di essi mi disse: Ah! hai rivoltato te stesso meglio di altri!" Ci mettemmo a ridere.

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Il CEM si dissolse in giugno (1970). Il gruppo era diviso fra vari orientamenti e certe contraddizioni non potevano covare a lungo senza esplodere. Isaac Cronin e Dan Hammer, due vecchi membri, andarono a New York e a Parigi per incontrare alcuni compagni dell'IS. Intanto, io e Ron fondammo il nostro proprio gruppo (noi due soli), successivamente denominato "1044", dal numero della nostra casella postale.

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Sulle orme dei situazionisti, cominciammo a colmare le nostre lacune in materia dei precedenti tentativi radicali ... Charles Fourier ... Wilhelm Reich ... Rosa Luxemburg, Anton Pannekoek, Karl Korsh, il primo Lukàcs.

E lo stesso Marx. Come la maggior parte degli anarchici, non conoscevamo praticamente niente di lui ad eccezione di qualche banalità sul suo supposto autoritarismo. Quando scoprimmo che molte delle più pertinenti idee situazioniste, come del resto certe loro fulminanti frasi, venivano da Marx, cominciammo ad affrontarlo con cura.

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Ken Knabb ha successivamente curato un'antologia americana dei testi situazionisti. Si è anche molto adoperato nella pratica Zen ed ha modificato il suo atteggiamento nei confronti di Snyder. Il più cospicuo ritorno sugli esordi giovanili l'ha compiuto in ogni caso nei confronti di Kennet Rexroth. I suoi saggi ed articoli (alcuni tradotti in francese) si possono leggere su bureau of public secrets

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