Charles de Jacques
non sottomesso: un Kafka non kafkiano
Michael Lowy è sufficientemente noto in Italia, perlomeno negli
ambienti radicali, essendo, fra l’altro,
stato tradotto da editori importanti come Boringhieri (Il segnalatore d’incendio - Una lettura della tesi sul concetto di storia di Walter Benjamin, per esempio). Di derivazione “trotzchista”,
si è dedicato ai rapporti intercorsi fra il marxismo e il surrealismo,
argomento sul quale proprio i trotzchisti, forti di alcuni nessi storici,
tendono a stendere la loro copertura in forma, quasi, di orgoglio proprietario.
Anche in questo caso, seppure attraverso un piccolo editore più esplicitamente
schierato e “militante” (e parimenti trotzchista quanto a derivazione) ha
goduto di una traduzione (La stella
del mattino, surrealismo e marxismo, Massari, Bolsena 2001). Ha poi
pubblicato numerosi saggi, fra i quali uno dedicato al pensiero di Che Guevara
e un altro sul giovane Marx. Si è occupato del radicalismo in ambiente ebraico,
del romanticismo rivoluzionario ed ha anche collaborato col “teologo della
liberazione” (credo si dica così, ammesso che voglia dire qualcosa e sia giusta
la collocazione) Frei Betto. Di recente si è dedicato invece a Kafka,
pubblicando da Stock (Paris, 2004) Franz Kafka, rêveur insoumis. Di uno scrittore che è ritenuto un
classico del XX secolo, speciale nel descrivere la condizione umana, sembra che
si sia trovata una volta per tutte la giusta interpretazione quale eccellente,
persino definitivo, esaminatore
dell’orrore metafisico, dell’insensatezza burocratica, dell’assurdo quotidiano.
Lowy non si accontenta di questa lettura e nella fattispecie lo aiuta la sua
formazione, altrimenti ideologica, nel definire un Kafka davvero nuovo nel
substrato libertario - certamente già conosciuto attraverso le note e meno note
tracce biografiche ma qui precisato al meglio –
e nell’accoglimento dell’ebraismo. Un Kafka che dunque è sottratto
all’ordinario alone metafisico è già di per sé una bella novità e Lowy vi tiene
testa con lo scrupolo dello studioso. Veramente un Kafka non sottomesso
al banale “kafkiano”.