Carlo Romano

Jim Thompson

Robert Polito: JIM THOMPSON. Una biografia selvaggia, Alet, Padova 2009

Le fortune di Jim Thompson cominciarono da noi davvero solo a seguito del film di Bertrand Tavernier Coup de torchon (1981) e della riproposta, da Longanesi, di Pop. 1280, ribattezzato “Colpo di Spugna”, così da collegarlo meglio al film. Col titolo originale (quello del cartello stradale di Pottsville, con l'indicazione del numero degli abitanti) era stato pubblicato molti anni prima (1966) da Mondadori in una collana non esattamente fortunata, “i rapidi”, dove comparvero una trentina di titoli (i libri della serie “Matt Helm”, allora ridotti per lo schermo, il Viaggio Allucinante di Asimov, La Maschera di Dimitrios di Eric Ambler, libri di Fred Hoyle, di Stanley Ellin, di Ross MacDonald e di altri) fra i quali anche Fatti furbo, Bugs! (Wild Town) sempre di Thompson. Ad accendere un genuino interesse non era stato sufficiente, qualche anno prima, l'uscita di un altro film - per altro diretto da Sam Peckimpah e il cui successo fu indiscutibile - tratto da un suo libro, Getaway. Anche questo fu pubblicato (nel 1972) da Mondadori, ma nel “Giallo” settimanale. Si potrebbe pensare che fu la collocazione del libro in una collana arcinota e popolare, vissuta tuttavia “con fretta” dai lettori, a rallentare l'acquisizione della fama, viceversa il grande successo internazionale (compresi gli USA) a Jim Thompson arrise più o meno contemporaneamente a quello italiano. Da allora questo autore, in forza di una credibile, non meno che nichilista, esplorazione del male, è entrato fra quelli per tanti versi imprescindibili, tanto da meritarsi l'appellativo di “Dostoevskij pulp”, affibbiatogli dal poeta Geoffrey O'Brien. La biografia di Robert Polito, onorata da prestigiosi premi letterari, costituisce un po' il vertice di questo interesse prevalentemente postumo (Thompson morì nel 1977).

L'ampiezza di questa biografia, per non parlare del tono, fa sì che la si possa paragonare a imponenti sforzi esegetici come quelli profusi da George Painter in Proust o da Richard Ellmann in Joyce, Yeats e Wilde. Una buona fetta di tale imponenza la si deve alla minuzia con cui Polito scava nelle premesse famigliari di Thompson, soprattutto a proposito dell'ingombrante figura del padre, uno sceriffo che ricorda quelli duri e corrotti dei suoi romanzi. Questa parte appesantisce non poco la lettura, ancorché si tratti di episodi degni del romanzesco, ma è nel contempo un formidabile indicatore psicologico della cui necessità ci si rende meglio conto quando Polito passa a raccontarci delle vicissitudini di Thompson nella sfera del lavoro e, immancabilmente, della sua vicenda di scrittore sfortunato, attraverso l'eterogeneo montare di libri e vita con esami approfonditi degli uni e dell'altra, per non parlare dei suoi rapporti col cinema.

Quello con Hollywood fu per Jim Thompson un rapporto complicato e insoddisfacente. E fin qui rimaniamo nell'ambito di una consolidata tradizione biografica degli scrittori americani, Per Thompson nella Mecca del cinema le frustrazioni cominciarono immediatamente e furono tali da demolire anche il più ottimista degli scrittori. Ciò accadde con un regista promettente, del quale, i due film che si citano col contributo di Thompson, rimangono, a mio modesto parere, i suoi migliori. Chiamato da Stanley Kubrick per adattare il libro di Lionel White che sarebbe diventato The Killing (Rapina a mano armata, 1956) vide ridimensionato il suo enorme contributo (nei titoli apparve come adattatore di dialoghi supplementari). Sorte migliore gli toccò con Paths of Glory (Orizzonti di Gloria, 1957) dove finalmente figura fra gli sceneggiatori. Verso la fine della vita lo contattò anche Orson Welles per adattare L'Assassino che è in Me (The Killer Inside Me, riproposto da Fanucci dopo il lontano passaggio, 1070, nel “Giallo” di Mondadori). Dal libro era già stato tratto purtroppo un film poco prima – coi diritti ceduti per una miseria alla Warner - e non se ne fece niente. Il film in questione fu diretto da Burt Kennedy e interpretato da Stacey Keach nel 1976. Curiosamente, nel film il protagonista compulsava un tomo differente, e meno significativo, da quello indicato da Thompson, che era la Psychopathia Sexualis di Krafft-Ebing. “Fogli di Via”, Novembre 2010